VACCINI / ECCO LA “DIAGNOSI” DEL VIROLOGO GIULIO TARRO

Vaccini ai raggi x. Una radiografia perfetta, quella effettuata da Giulio Tarro, virologo e allievo prediletto di Albert Sabin che scoprì l’antipolio.

C’era – e soprattutto c’è – un estremo bisogno di dati certi, documentazione scientifica probante, pezze d’appoggio serie per far chiarezza in un campo tanto complesso quanto delicato per la salute di tutti i cittadini.

E in un terreno minato, soprattutto dalle fake news che la fanno da padrona. O dalle spiegazioni farlocche imbastite, quasi sempre via tivvù, da tanti, troppi saltimbanchi delle Provette. Ne abbiamo una dimostrazione esemplare nel salottino domenicale di Fabio Fazio, dove domina il Verbo del Vate dei Vaccini, l’allergologo Roberto Burioni.

Fa bene a questo punto al cervello e alla salute degli italiani una disamina precisa e rigorosa come quella effettuata da Tarro, entrato per ben due volte nella cinquina dei candidati al Nobel per la Medicina, una tra le poche, autorevoli voci nel panorama scientifico nazionale sul tema di virus e vaccini.

A giugno 2020 è stato autore, Tarro, del volume “Covid-19 – Il virus della Paura”. Ora è arrivato un secondo volume, del quale abbiamo pubblicato una prima parte. Adesso è la volta dei vaccini fino ad oggi messi in campo da Big Pharma. Buona lettura.

 

 

 

IL BUSINESS DEI VACCINI A BASE GENETICA

 

Giulio Tarro

Ritengo che i vaccini siano una fondamentale conquista della Medicina e che, quando ciò è inevitabile, si debbano affrontare i rischi connessi ad una vaccinazione di massa. Per capirci, una cosa sono state le epidemie di Poliomielite (debellate dal vaccino di Albert Sabin, che è stato il mio Maestro) altra cosa è il Morbillo la cui minaccia è stata enfatizzata (ormai famosa le dichiarazioni in TV della ministra italiana della Salute che favoleggiava di centinaia di bambini morti di morbillo in Gran Bretagna) per spianare la strada, nel 2017, all’imposizione a tutti i bambini italiani di ben dieci vaccini, quasi tutti assolutamente inutili.

Nel caso del Sars-Cov-2, – lo ripeto: una infezione asintomatica nel 90% dei casi, pericolosa soprattutto per gli anziani e per la quale esistono efficaci cure – la vaccinazione di massa è stata presentata come unica speranza per scampare da una morte certa e oggi vengono presentati come “sicuri” ed “efficaci” vaccini realizzati in pochi mesi, addirittura senza nemmeno aver completato il percorso di sperimentazione (che per i vaccini, mediamente, dura otto anni). Vaccini che, addirittura, garantirebbero un periodo di immunità stimato in mesi, che non impedirebbero al vaccinato di trasmettere l’infezione e che, quindi, non si comprende come possano garantire quella “immunità di gregge” che è alla base delle vaccinazioni di massa. Tutt’altro sarebbe se questi vaccini fossero stati destinati alle sole categorie a rischio, in questo caso gli anziani. Così – verosimilmente per esigenze di business – non è stato e oggi si arriva a proporre la vaccinazione addirittura ai bambini dove la mortalità Covid è praticamente zero. A peggiorare la situazione, le caratteristiche del Sars-Cov-2 che, come tutti i coronavirus conosce continue “varianti” per fronteggiare le quali si è arrivati a realizzare, non già vaccini, ma una terapia genica, basata su RNA messaggero (noto con l’abbreviazione di mRNA) sulla quale si basano i cosiddetti vaccini prodotti dalla Pfizer-BioNTech e Moderna, sui quali è opportuno soffermarsi.

Finora i vaccini si basavano su tecnologie quali: microorganismi attenuati o inattivati, antigeni purificati, anatossine, capaci di attivare le difese immunitarie dell’organismo e proteggere, in alcuni casi, per tutta la vita, da una reinfezione. E da segnalare che i vaccini realizzati con queste tecnologie non sono esenti da rischi com’è stato, ad esempio, il “ridestarsi” del virus della poliomielite usato per la vaccinazione in Siria che, nel 2018, ha reso paralitici almeno 17 bambini. Rischi, comunque, ben conosciuti essendo i vaccini creati con le suddette tecnologie utilizzati da molto tempo. Non così per i vaccini a terapia genica.

Per l’Istituto superiore della Sanità l’uso dei vaccini a terapia genica non comporterebbe particolari rischi tanto da riportare nel suo sito, dopo la domanda “Questa tecnologia è pericolosa? Rischio modifiche al mio Dna?” la lapidaria risposta “Oltre a non avere le ‘istruzioni’ per modificare il Dna, l’Rna messaggero non entra mai nel nucleo della cellula, che è la parte che contiene il genoma, e non può quindi alterarlo in nessun modo. Inoltre l’Rna messaggero si degrada dopo pochi giorni, una volta eseguito il suo ‘compito’.” Rassicurazione che non si comprende su cosa si basi considerando che la sperimentazione di questi vaccini è ancora in corso (si concluderà nel novembre 2022) e che la stessa Ema (European Medicines Agency) non ha “dato l’OK” al vaccino Comirnaty prodotto dalla Pfizer-BioNTech (come sintetizzato dai media e comunemente si crede) ma ha concesso, il 21 dicembre 2020, una “Conditional marketing authorisation” dizione che viene utilizzata per indicare una ipotesi di autorizzazione condizionata dai pochi studi effettuati.

Ma perché mai Pfizer-BioNTech e Moderna hanno scelto la strada della terapia genica, mentre altre aziende farmaceutiche (produttrici di vaccini quali AstraZeneca, Sputnik V, Janssen, CanSino… per citare i più “famosi”) insistono con tecnologie collaudate da molto tempo? Secondo i media perché la scelta della terapia genica eviterebbe quello che viene presentato come un “elevato rischio”: il “ridestarsi” del virus attenuato o inattivato utilizzato per la vaccinazione. Come accennato a proposito della poliomielite, l’attenuazione o l’inattivazione dei virus per i vaccini, può, effettivamente, determinare un rischio, che, comunque, visti i tanti vaccini realizzati con questa tecnologia, non si direbbe elevato. E quello che è avvenuto in Siria nel 2018, è da addebitarsi, sostanzialmente, al contesto nel quale è stata eseguita la vaccinazione, caratterizzato dalla distruzione (conseguente alla guerra) dei sistemi idrici e fognari che ha permesso al virus del vaccino orale contro la poliomielite (Opv) di perpetuarsi, per più di dodici mesi, modificandosi e trasmettere così la malattia.

 

Il vero “vantaggio”, invece, dei vaccini a terapia genetica rispetto a quelli “classici” non è sanitario, bensì di business. Non manipolando virus o microrganismi patogeni, ma solo mRNA da inserire in un “contenitore” standard, gli impianti per la produzione di questi vaccini, non necessitando di costose misure di bio-contenimento e bio-protezione sono molto più economici di quelli finora usati per i “classici” vaccini ma, soprattutto, ben si prestano a riconvertirsi per produrre rapidamente qualsiasi tipo di vaccino. Ad esempio per fronteggiare le “varianti” del virus Sars-Cov-2, basta cambiare la sequenza contenuta nel mRNA e il nuovo vaccino è pronto. Certo, questo, rischia di sottoporci a vaccinazioni contro il Sars-Cov-2 per sempre. Ma cosa volete che conti   la nostra vita davanti ai 15 miliardi di dollari già ricavati dalla Pfizer/BioNTech dalla vendita del suo vaccino (che, sia detto en passant, è stato realizzato grazie a contributi pubblici)?

Tra l’altro va detto che la tecnologia mRNA sta spianando la strada a vaccini che si direbbero essere finalizzati rattoppare i buchi prodotti dai continui tagli ai servizi sanitari pubblici e alla crescente miseria che sta investendo anche i paesi occidentali. E così, ad esempio, prende corpo la proposta di un vaccino a mRNA che dovrebbe sconfiggere la carie che affligge gran parte dei quaranta milioni di homeless presenti negli Stati Uniti; o, nuovi vaccini contro la tubercolosi o, addirittura, atti a bloccare il passaggio di cocaina e nicotina a livello della barriera ematoencefalica (i già famosi “vaccini antidroga”). Una prospettiva che si direbbe non osteggiata dall’OMS (che pure ha come finalità nel suo statuto, non la scomparsa delle malattie, ma il completo raggiungimento del benessere fisico, mentale e sociale) forse perché il secondo finanziatore di questa organizzazione è attualmente la Gavi (Global Alliance for Vaccines and Immunization): un consorzio di aziende farmaceutiche, multinazionali e miliardari “filantropi”.

Ma torniamo ad occuparci del vaccino Pfizer/BioNTech, licenziato dall’EMA il 21 dicembre 2020 tra la meraviglia di tutti che lo avevano dato disponibile non prima dell’autunno 2021. Come mai questa sorprendente accelerazione? Secondo i media (cito un titolo del Corriere) ciò sarebbe dipeso dall’”enorme quantità di risorse scientifiche messe in gioco contro la pandemia”. Ma siamo sicuri che dipenda da questo, considerato le tante altre risorse scientifiche all’opera per produrre altri 71 vaccini? A mio parere, invece, a decidere la scelta di questo vaccino è stato, sostanzialmente, l’annuncio, diramato dalla Pfizer il 18 novembre, di un vaccino “efficace al 95% e con nessun effetto collaterale grave” che ha suscitato un entusiasmo generale soprattutto tra i tanti stremati da mesi di lockdown; annuncio che, curiosamente, sui media non è stato seguito dalla spiegazione su cosa significasse quell’“efficace al 95%”. Sarebbe stato ovvio, infatti, che questa affermazione fossero stata corroborata da documentazioni raccolte durante la sperimentazione; ma, come già detto, la sperimentazione di questo vaccino terminerà nel 2022 e, per affermazione della Pfizer, i dati completi saranno disponibili alla comunità scientifica solo nel dicembre 2023.

 

 

Non resta, quindi che affidarsi al documento Ema che, sotto condizione, autorizza l’uso del vaccino; documento che non si direbbe confermi quel 95% considerato quanto dichiara: (punto 4.4) che non è nota la durata della protezione offerta dal vaccino; che (4.5) nessuno studio sulla eventuale interazione con altri medicinali è stato fatto; che (5.3) essendo stati fatti studi a riguardo solo su cavie non umane, rimane ignoto il rischio di tare genetiche per i futuri figli dei vaccinati e della cancerogenicità del prodotto.

Per quanto riguarda, poi, la supposta “efficacia al 95%” del vaccino, già ora non pochi ricercatori, analizzando la scarsa documentazione resa pubblica dalla Pfizer, sono arrivati a conclusioni ben diverse. Intanto, sulla dubbia capacità del vaccino di provocare quella che viene definita “immunità sterilizzante” e cioè evitare che il vaccinato possa trasmettere l’infezione. I dati pre-clinici di Pfizer e Moderna sui macachi vaccinati si limitano a documentare che il virus non sarebbe più in grado di replicarsi nelle vie respiratorie superiori ma questo non significa affatto immunità sterilizzante e, l’impennata di contagi registrati in Israele a metà gennaio dopo una vaccinazione di massa è certamente illuminante. E se a questo si aggiunge che nulla si sa sul periodo di immunizzazione che potrebbe garantire questo vaccino, ci sarebbe da domandarsi su cosa si basi quel “95% di efficacia” che ha dato via libera al vaccino Pfizer/BioNTech.

A monte della presunta efficacia del vaccino contro il Sars-Cov-2 (virus – sono costretto a ripetermi – asintomatico nel 95% dei casi, oggi endemico e che può essere efficacemente affrontato, anche quando colpisce gli anziani, con tempestive cure) vi sono rischi. Oltre a quelli sopra elencati, e che non sono stati affrontati nella sperimentazione, ve n’è un altro che oggi viene sprezzantemente escluso (come si evidenzia dalla FAQ dell’Istituto superiore della Sanità sopra riportata): la possibilità che il vaccino possa compromettere il nostro patrimonio genetico.

La tecnologia mRna fu ideata nel 1989 quando due studiosi dell’Università della Pennsylvania, Kataline Karikò e Drew Weissman scoprirono che modificando, i nucleosidi dell’RNA, si poteva indurre l’aumento di produzione di alcune proteine e sopprimere la reazione del sistema immune verso le stesse molecole dell’RNA messaggero. Bisognerà comunque aspettare il 2012 per il primo studio su animali di vaccini e il 2017 per quattro studi clinici di fase I e II su vaccini umani a mRNA contro malattie virali. Vaccini, comunque, che non sono mai stati realizzati, verosimilmente, per la “concorrenza” rappresentata da vaccini ad antica e collaudata tecnologia e, forse, per la preoccupazione che l’RNA potesse essere accidentalmente copiato in una molecola di DNA e integrarsi così nelle cellule del soggetto vaccinato.

A questo punto, è opportuna una spiegazione.

Il DNA (o acido desossiribonucleico) è la molecola che più di ogni altra caratterizza gli esseri viventi e contiene l’informazione necessaria perché la vita si sviluppi e si diffonda, custodendo nel suo codice il risultato di miliardi di anni di evoluzione. L’RNA (o acido ribonucleico) è, invece, una biomolecola che converte le informazioni genetiche del DNA in proteine; in altre parole l’RNA partecipa alla sintesi delle proteine e alla trasmissione delle informazioni contenute nel DNA. Può il RNA o “pezzi” di questo integrarsi nel DNA? In alcuni casi questo avviene, ad esempio nei “retrovirus” (il più famoso è certamente il virus HIV, responsabile dell’AIDS) che contengono un enzima, detto trascrittasi inversa (RT), capace di trasformare il RNA in DNA nella cellula ospite e, quindi, nel suo genoma (l’insieme del patrimonio genetico che caratterizza ogni organismo vivente).

Ma torniamo a noi. La possibilità che l’mRNA del vaccino Pfizer o Moderna possa riproporre una modifica del DNA è, sprezzantemente, scartata dai fautori di questi vaccini i quali evidenziano come il mRna, dopo aver svolto il suo compito (e cioè modificare la proteina ‘spike’ dell’organismo ospite che permette al SARS-CoV-2 di infettarlo) viene rapidamente degradato senza che possa integrarsi nel suo genoma, né tantomeno modificarlo. Questa lettura – a parere di chi scrive, e non solo – è una visione semplicistica, come se il mRNA fosse una scheda elettronica, la cellula una macchina difettosa, e non esistesse nient’altro. In realtà, una volta iniettato, buona parte del vaccino resta in loco grazie alla risposta infiammatoria locale, mentre un po’, pur degradandosi, può (al pari delle cellule immunocompetenti che hanno inglobato il vaccino) entrare in circolo, raggiungendo ogni distretto del corpo dove può capitare l’incontro con qualche retrovirus o con uno dei quattro coronavirus (229E, NL63, OC43, HKU1) già presenti nel nostro organismo.

Questo scenario è ritenuto «estremamente improbabile» dalla maggior parte dei ricercatori; va da sé che aumentando il numero dei così vaccinati, indubbiamente, aumenta la probabilità. Di cosa? Le conseguenze di quanto sopra descritto, che potrebbero manifestarsi non necessariamente in breve tempo, spaziano dalla nascita di un nuovo virus, (magari più letale e contagioso del Sars-Cov-2) allo scompaginamento del sistema immunitario (che renderebbe pericolosi i tanti microorganismi con i quali conviviamo da millenni) a qualche nuova malattia.

 

Rischi certamente più contenuti sono quelli da vaccini a vettori, virali come quello di AstraZeneca, Sputnik V, Janssen, CanSino. Il vaccino Oxford-Astrazeneca contiene anch’esso le istruzioni genetiche del virus per la costruzione della proteina Spike, ma a differenza dei vaccini a mRNA , questo vaccino utilizza un frammento di DNA che contiene l’informazione per la produzione della proteina Spike: tale frammento è inserito nel DNA di un adenovirus, che funge da trasportatore, una specie di “cavallo di Troia”. Gli adenovirus sono virus comuni che in genere causano nell’uomo raffreddori o sintomi simil-influenzali; nel caso di AstraZeneca viene utilizzato una versione modificata di un adenovirus degli scimpanzé (Chadox), in grado di entrare nelle cellule ma non di replicarsi. Anche il vaccino Johnson & Johnson/Janssen), si basa su una strategia simile utilizzando però un adenovirus umano (Ad26) anch’esso privo della capacità di replicarsi nell’organismo umano.

Dopo che il vaccino viene iniettato nel braccio di una persona, gli adenovirus incontrano le cellule, si agganciano alla loro superficie, penetrano all’interno racchiusi in una vescicola e vengono veicolati e all’interno del nucleo, dove normalmente si trova il DNA della cellula.   Gli adenovirus vettori sono progettati in modo da non poter fare copie di se stessi, ma il frammento di gene per la proteina Spike di SARS-CoV-2 può essere letto dalla cellula e copiato nella molecola di mRNA che, trasferitosi nel citoplasma, farà produrre ai ribosomi la proteina del coronavirus. Può il DNA di adenovirus e il gene di coronovirus in esso contenuto interagire con il DNA della cellula ospite o, addirittura, inserirsi in esso? I ricercatori lo escludono. Speriamo che sia vero.

 

Come già detto, essendo il Sars-Cov-2 sostanzialmente pericoloso solo per gli anziani, ci si sarebbe aspettato che solo questa categoria – come si fa per la vaccinazione antiinfluenzale – fosse la destinataria della campagna vaccinale anti-Covid. Così non è stato e il target della campagna vaccinale è diventato tutta la popolazione, nella illusione che facendo sviluppare anticorpi specifici in una grande percentuale di questa si realizzi la cosiddetta “immunità di gregge” e quindi l’eradicazione della malattia. Quale dovrebbe essere la percentuale di vaccinati per eradicare il Covid? Le ipotesi degli epidemiologi variano dal 60 all’98% ma, si badi bene queste percentuali riguardano vaccinati che hanno raggiunto una definitiva immunità al Sars-Cov-2, virus che, invece, in molti casi si è ripresentato qualche mese o settimana dopo la guarigione. E stiamo parlando, si badi bene, di una immunità naturale che, generalmente, ha una durata più lunga di quella prodotta dai vaccini. E di vaccini che garantiscono una “immunità sterile”, non come quelli oggi proposti che non impediscono nemmeno all’infettato vaccinato di trasmettere ad altri il Sars-Cov-2.

Con una situazione così, che speranza c’è di raggiungere una immunità di gregge che faccia scomparire il Sars-Cov-2? A parere di chi scrive – e non solo – nessuna. Neanche se, centuplicando gli sforzi, si arrivasse ad una campagna vaccinale che coinvolgesse tutta la popolazione in una settimana (e non in un anno e mezzo come oggi si prevede per l’Italia).

Nonostante ciò, l’obbiettivo di una “vaccinazione di massa” è diventato un dogma da far rispettare a tutti i costi imponendo l’obbligo vaccinale o, surrettiziamente, una serie di vessazioni (ad esempio, divieto di frequentare luoghi pubblici come ambienti di lavoro, cinema, palestre, trasporti…) per coloro che sono sprovvisti del cosiddetto “patentino vaccinale”.

 

 

 

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