Cis, è assemblea. Fra inchieste penali, Corti d’Appello e tentati colpi di mano

Mancano esattamente 10 giorni al fatidico 22 dicembre. Il giorno che precede l’antivigilia di Natale è stato infatti prescelto dai maggiorenti di Cis spa per l’assemblea chiamata ad approvare il Bilancio 2015, atteso da oltre un anno, ma anche alcune modifiche strategiche allo statuto. Le stesse che, secondo i battaglieri soci capitanati da Emilio D’Angelo, nelle intenzioni del cavalier Giovanni Punzo e dei suoi fedelissimi serviranno a consegnare definitivamente alle banche il sogno industriale, nato negli anni ’80, di una società consortile fondata sulla volontà, sul sacrificio e sulla tenacia di circa 300 soci, tutti a capo di antiche aziende familiari del settore tessile partenopeo.

Quello che accade nel frattempo, è in qualche modo già storia. A partire dal 2005: quando, dopo anni di versamenti, i fondatori stavano per completare il pagamento del leasing ed entrare definitivamente in possesso dei loro capannoni. Ma proprio quell’anno Cis, che da creatura consortile diventa spa, smarrendo già in questo passaggio lo spirito associativo iniziale, propone – o, secondo molti, impone – ai soci la stipula di un sub-mutuo, essendo nel frattempo entrata in possesso del titolo di intermediario finanziario (che lascerà immediatamente dopo aver completato l’operazione).

Comincia da qui un declino dagli effetti devastanti. Per i soci, naturalmente, visto che in direzione ‘ostinatamente contraria’, cioè col vento in poppa, procede invece negli anni successivi l’escalation di Punzo, che poco dopo entra nella Nuovo Trasporto Viaggiatori, quella dei treni Italo fondata insieme agli amici Luca Cordero di Montezemolo e Corrado Passera, cui si aggiunge Diego Della Valle.

Treni NTV in manutenzione all'Interporto Campano. In apertura Gianni Punzo e, sullo sfondo, il Distretto Nolano.

Treni NTV in manutenzione all’Interporto Campano. In apertura Gianni Punzo e, sullo sfondo, il Distretto Nolano.

Punzo diventa il primo fornitore del nuovo gigante ferroviario attraverso l’Interporto Campano, mentre il suo impero vede crescere anche Vulcano Buono e la Banca Popolare di Sviluppo. A quel punto – sintetizzando le ricostruzioni che vengono in queste ore portate avanti da team di esperti – il Cis sarebbe diventato, anno dopo anno, niente altro che la cassaforte da cui attingere decine e decine di milioni per finanziare le sigle del suo arcipelago, in primis il ben più interessante (per Punzo) Interporto.

Quei sub mutui da lacrime e sangue, stando alle recenti analisi basate su dati contabili, sarebbero andati in realtà a finire nelle casse di Interporto attraverso generosi finanziamenti (oltre 40 milioni), mentre Cis continuava a sprofondare nelle voragini debitorie.

Fino a quando, nel 2012, compreso ormai l’andazzo, molti soci decidono di vederci chiaro. Interrompono il pagamento delle rate e chiedono conto formalmente ai dirigenti di quanto sta accadendo. Salta fuori così un’altra polpetta avvelenata, anzi due: la batosta dei derivati, imposti dalle banche finanziatrici con le catastrofiche conseguenze già tristemente note; e i tassi praticati dagli istituti concessori delle somme, in molti casi da autentica usura. E non basta ancora, perché alle banche era stata concessa dalla dirigenza Cis l’ipoteca sull’intero complesso. Vale a dire sui capannoni pagati dai soci per oltre vent’anni al fine di realizzare il sogno del riscatto finale, oggi ormai per molti di loro precluso.

A quel punto sbarazzarsi di partner scomodi e, contemporaneamente, liberare le aree su cui sorgevano i loro capannoni (magari per espandere Interporto), poteva diventare un gioco da ragazzi. Nel 2014 Cis spa chiede ed ottiene in tempi record il fallimento di 30 aziende socie. Sul lastrico, oltre agli imprenditori, finiscono almeno mille famiglie tra occupati diretti e indotto. Ma, soprattutto, sotto i piedi finiscono la dignità e il genio imprenditoriale di un’intera categoria produttiva, mortificata dentro un vortice che, alla fine, ha sapore beffardo: quello di un gioco delle tre carte.

Torniamo ad oggi. Anzi, a quanto potrà accadere nell’assemblea del 22 dicembre. E partiamo dai numeri. «Sono 740 milioni i debiti accumulati dal Distretto, oltre i 140 di Vulcano, ovvero 880 milioni di debiti», attacca subito Emilio D’Angelo, presidente del Patto di Sindacato Cis sul suo seguitissimo blog. E aggiunge: «Tutto il progetto industriale si fonda sul recupero di una vasta area di 100.000 metri quadri di capannoni, un terzo del CIS, che sarà destinata al compattamento ed alla riconversione industriale in area Interporto».

La convocazione per l'assemblea Cis apparsa sui quotidiani

La convocazione per l’assemblea Cis apparsa sui quotidiani

Parole che non lasciano spazio a dubbi sulle roventi questioni che saranno sul tappeto il 22. Quando un altro punto nevralgico riguarderà le previste modifiche all’articolo 6 dello statuto. Considerato dai soci fondatori – in testa D’Angelo, che non a caso guida anche il Comitato per il NO alle modifiche dello statuto – l’architrave della originaria struttura consortile e dello spirito comunitario che ha animato la nascita del Cis. In base all’articolo 6, che ora i ‘punziani’ vorrebbero modificare, le azioni della società possono essere possedute o trasferite esclusivamente a persone fisiche o giuridiche intestatarie di contratti di leasing o proprietari di capannoni nel Cis. Una norma, questa, inserita ab origine per impedire manovre speculative sugli immobili, destinati solo ad attività d’impresa. Con la modifica dell’articolo 6, eliminando tale clausola, si dà di fatto via libera all’ingresso delle banche e ad ogni altra destinazione degli immobili, compresa quella, già più volte invocata, sintetizzabile nello slogan ‘muoia il Cis, viva l’Interporto’.

«Per liberare le aree Cis necessarie ad ampliare Interporto – sibila un imprenditore che per lungo tempo ha orbitato nel Distretto – inizialmente vennero avanzate proposte ad alcuni soci i quali, avendo accettato, ricevettero anche in denaro la differenza fra il debito maturato con Cis spa e il valore reale del loro capannone. Un sistema che però avrebbe determinato i dovuti esborsi di denaro da parte della società. Da qui potrebbe essere maturata la scelta di ricorrere alle istanze di fallimento, con un triplice risultato: mandare a casa soci dissenzienti, far passare i loro capannoni direttamente alle banche creditrici e fare piazza pulita di quelle aree. A costo zero».

Il presidente di Confedercontribuenti Carmelo Finocchiaro

Il presidente di Confedercontribuenti Carmelo Finocchiaro

Ed anche queste ipotesi, insieme ad altri giganteschi ‘buchi neri’, sono ora al vaglio degli esperti Confedercontribuenti, la sigla nazionale guidata da Carmelo Finocchiaro che sta passando ai raggi X il bilancio Cis 2015, lo stesso che dovrà essere approvato – o meno – dall’assemblea di fine dicembre. A cominciare dai conflitti d’interesse, come quello del professionista che ha convalidato la richiesta di omologazione dell’accordo con le banche dinnanzi alla Sezione Fallimentare del Tribunale di Nola. Altro passaggio, questo, avvolto dalle ombre. Perché, si legge in una nota di Confedercontribuenti, «il giudice Eduardo Savarese che ha concesso l’omologazione, respingendo la nostra documentata opposizione, è lo stesso che fra 2014 e 2015 aveva decretato i fallimenti a catena delle 30 aziende fondatrici del Cis, proprio su istanza della società guidata da Punzo». Tanto che i legali di Confedercontribuenti, a tutela delle imprese Cis (comprese quelle dichiarate fallite), hanno già presentato il ricorso alla Corte d’Appello di Napoli contro la decisione della Fallimentare nolana. Anche perché nel respingere l’opposizione il giudice Savarese adduceva motivazioni riferite alla società Interporto e non al Cis. Cui veniva invece concessa l’omologa senza che questa società avesse almeno presentato, come prevede la legge, il bilancio 2015. Documento che infatti è solo ora in fase di approvazione nella imminente assemblea.

Tanta carne a cuocere, come si vede, anche per la Procura della Repubblica di Napoli, dove il pubblico ministero Maria Teresa Orlando, che sta procedendo sulla base del circostanziato esposto presentato da Finocchiaro sul caso Cis, dovrà valutare questi ed altri profili di una vicenda che continua a suscitare sconcerto e perplessità. Ad esempio, i passaggi di denaro che sarebbero intercorsi non solo dalle casse di Cis a quelle di Interporto, ma anche verso la Banca Popolare di Sviluppo, fino a qualche tempo fa roccaforte di casa Punzo.

 

 

 


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