“Un grattacielo di 15 piani scavato sottoterra. Una stazione, con i binari a 50 metri di profondità dal livello del suolo illuminati da un cono di luce a forma di vortice”.
Non è l’incipit di un racconto di Edgar Allan Poe o la prima scena d’un film di Dario Argento. E’ la mirabolante accoglienza dedicata da Repubblica Napoli alla “spettacolare stazione di Chiaia della linea 6 della metropolitana, nel cuore della city, a due passi da piazza del Plebiscito”. Un pericoloso scempio ambientale che metterà a rischio monumenti, arte & palazzi nel ventre di Napoli, secondo Riccardo Caniparoli, geologo e profondo conoscitore dei delicati equilibri che regolano la vita del sottosuolo partenopeo, stratificazione su stratificazione.
Proseguiamo con la fanfara di Repubblica. “Il cono di luce profondo 50 metri (Chiaia è la stazione più profonda di quelle esistenti, compresa Toledo) proietterà la luce fin giù ai binari, con una piazza intermedia, con un piano in vetro calpestabile che sarà attraversato anche da chi non prenderà la metro”. Ecco altre pennellate sui dati tecnici: “sono stati scavati 60 mila metri cubi di terra, riempiti con 30 mila metri cubi di calcestruzzo e 2 milioni 200 mila chili di ferro. ‘I binari si trovano 18 metri sotto la falda acquifera – afferma Giancarlo Ertola, direttore di cantiere – per scavare abbiamo utilizzato 6 pompe per allontanare 12 litri d’acqua al secondo. Abbiamo trovato scheletri, resti dell’acquedotto del Serino. Ora i reperti sono conservati nei depositi’. Tutti i ritrovamenti finiranno nel parco archeologico che nascerà a fianco della stazione di piazza Municipio”. La stazione, secondo le previsioni, sarà ultimata nel 2019.
Commenta Caniparoli: “I lavori per la realizzazione della Linea 6 hanno già provocato grossi danni al patrimonio artistico e monumentale di Napoli. Basti pensare a cosa è successo in molte chiese, da Santa Brigida a piazza Santa Maria degli Angeli fino a San Pasquale; per non parlare delle ripercussioni sulla Galleria Umberto e il Teatro San Carlo, e sullo stesso Palazzo Reale eternamente ingabbiato, con elevati costi quotidiani per le casse dello Stato. Tali operazioni violente nel tessuto urbano della città non possono non avere degli effetti negativi, come è successo ad esempio con il crollo di un’intera ala di palazzo Guevera alla Riviera di Chiaia e i danni irreversibili prodotti in tutta l’area della villa Comunale, uno dei rari polmoni verdi della città”.
Prosegue la diagnosi di Caniparoli: “quanto è successo già agli edifici potrà verificarsi ancora di più quando passeranno i treni, a causa delle forti vibrazioni. Ma i rischi si allargano a tutte le aree circostanti. Nel caso del grattacielo rovesciato da 15 piani, si creerà un effetto ‘cassa armonica’, con forte amplificazione delle stesse vibrazioni”. Una sorta di microsisma continuo. Per non parlare, poi, proprio dei rischi moltiplicati in caso di scosse simiche vere e proprie: e tutto perchè con spericolate acrobazie urbanistiche si mette a repentaglio i già precari equilibri idrogeologici di una città dal tessuto così complesso e stratificato come quello di Napoli.
Vale la pena correre rischi del genere, sventrare un città e spendere cifre colossali? “Sicuramente no – è il parere del geologo – Napoli è una città del tutto inadatta a una linea metropolitana a tale impatto. Le opere andavano fatte in superficie, a cielo aperto, senza impattare con quel sottosuolo così articolato e delicato, il che ha implicato anche costi faraonici. Per fare un altro esempio, erano molto più logici dei collegamenti attraverso cabinovie a flusso continuo per collegare le zone collinari con quelle del centro storico. Come ad esempio hanno fatto a Parigi”.
Compasso d’oro della stazione “con il grattacielo sotto terra” è Uberto Siola, per anni assessore Pci nelle giunte Valenzi del dopo terremoto e preside alla facoltà di Architettura, a inizio anni ’80 progettista del mega villaggio monstre di Monteruscello, la Pozzuoli bis realizzata a tempo record sull’onda di un bradisisma taroccato dall’allora Protezione civile, e uno dei più colossali affari per il decollo delle imprese di camorra.
Una vera lumaca, invece, il metrò a Napoli, con una posa della prima pietra addirittura 40 anni fa, primavera 1976, e le ruspe dei ‘ruspanti’ dei Casalesi impegnate negli scavi d’esordio. Da allora un fiume di danari pubblici spesi, vagoni di miliardi di lire prima e di euro poi.
Fino all’ultima, fresca tranche via Cipe. Sugli 11 miliardi e mezzo stanziati, infatti, 1 miliardo e 800 milioni arriverà in Campania, e la parte del leone – al solito – la farà il metrò, inghiottendo 129 milioni per il completamento della tratta Dante-Garibaldi-Centro Direzionale della Linea 1, e 115 per l’ultimazione di quella Mergellina-Municipio della Linea 6.
Alcuni mesi fa, in un reportage sui lavori romani, Sergio Rizzo titolò sul Corriere della Sera: “il metrò più caro del mondo”. Non conosce quello di Napoli. Così come poco lo conosce il numero uno dell’Anac, il partenopeo Raffaele Cantone, che – a quanto pare – fino ad oggi non ha acceso i riflettori su affari, sperperi & corruzioni fiorite rigogliosamente per i quarantennali lavori del metrò made in Napoli: con tanto di varianti, sorprese geologiche, revisioni prezzi al seguito.
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