Compagni si nasce

Nonna Dora lo guarda commossa, è il suo primo nipote e glielo regala Francesco, primo dei suoi sette figli. Vorrebbe battezzarlo con il nome di Pio XII, papa imperante fino agli anni cinquanta, al battesimo Eugenio Maria. Ispirata da fede profonda e dal colore dei capelli del neonato tendenti al rosso, Dora alza gli occhi al cielo e profetizza “Diventerà un cardinale”. “Ma guardalo”, replica il figlio militante nel Partito comunista, “E’ un predestinato a seguire le orme del padre, ha già il pugno chiuso, un vero compagno”. Effettivamente il piccolo tiene la manina stretta, posizione tipica dei neonati e nella sua testolina c’è probabilmente la domanda “ma quando mi fanno poppare?

Ivan ha sedici anni. Ha concluso il ciclo delle ginnasiali nella “scuola di “famiglia”, che ha diplomato più generazioni di parenti. L’anno della licenza ginnasiale ha concluso un ciclo di studi faticoso. Un paio di episodi gli mettono in testa il proposito di proseguire gli studi altrove. L’insegnante di latino e greco è un’attempata nubile con i capelli ritti in testa, neppure un filo di trucco sulla pelle e un suo fastidioso tic. Spinge di continuo gli occhiali da miope sul naso. Incrocia nei corridoi della scuola Ivan, un braccio intorno alle spalle di una ragazza della quinta C. Scandalizzata, il giorno dopo lo punisce con un vendicativo 4 in latino e una nota sul registro.

“Sciopero”. Il passa parola trova l’accordo della maggior parte degli studenti e non tanto per le motivazioni avanzate dagli organizzatori, evidentemente pretestuose, quanto per l’opportunità di stare lontani per un giorno dalle aule e dalle interrogazioni. Sulla soglia d’ingresso della scuola il preside, noto per manifestazioni di autoritarismo sfrenato, urla agli studenti indecisi di entrare in classe e minaccia la sospensione degli assenti, definiti anarcoidi e sfaticati.

Fuga precipitosa di Ivan, verso altri lidi. Primo giorno di scuola, liceo Gian Battista Vico, lezione di italiano, in cattedra il professor Di Lillo, etichettato come comunista. L’esordio: “Solo un pretesto se oggi parliamo del Manzoni e dei Promessi Sposi. Proverò a farvi condividere il significato della nobile parola cultura che non equivale come vorrebbero farvi credere alla conoscenza di molte cose, ma a saper costruire sistemi di giudizio nei confronti di persone e fatti”. Uno choc. Senza mai allontanarsi dal contenuto del capolavoro manzoniano il professore traccia un percorso articolato che coinvolge storia, filosofia, scienza, politica.

Non è un caso se dopo un paio di mesi, e l’integrazione al nuovo modo di affrontare l’apprendimento, avvalorata da Gaspare Papa, docente di storia e filosofia ed esponente della segreteria napoletana del Pci, Ivan entra nella sede di Via Fiorentini e si iscrive alla federazione giovanile comunista.

Gli propongono di perfezionare l’adesione con uno stage alla scuola di partito delle Frattocchie e lo sguardo compiaciuto del padre lo accompagna idealmente dove sarebbe voluto andare quando si è iscritto al Pci. In giorni per lui indimenticabili, Ivan subisce consapevolmente il carisma di Ingrao, la veemenza di Pajetta, la statura politica e umana di Berlinguer, giovane dirigente della federazione giovanile. Di lì alla piena maturità fisica e mentale, Ivan diventa uno degli innumerevoli attivisti che alla domenica sacrificano il riposo settimanale e di buon mattino portano l’Unità casa per casa, si rendono utili a chi ha bisogno, di qualunque cosa.

In tempo di elezioni spende ore di sonno per affiggere i manifesti e impedire agli attacchini della Dc, della destra, di coprire o strappare i propri. Alle feste dell’Unità è uno dei cento volontari impegnati nella riuscita della manifestazione, del servizio d’ordine, per la logistica dei compagni arrivati da Roma per dare il loro contributo politico dal palco. Tocca il cielo con tutte e cinque le dita della mano quando il segretario della federazione gli chiede di accompagnare uno dei segretari nazionali alla sede della CGIL, prima tappa prima di raggiungere la Mostra d’Oltremare dov’è in corso la festa e sono in attesa del comizio d’apertura in centomila. Ivan, in auto, si impone di non rivolgergli la parola e cerca di intuire dall’espressione dello storico dirigente se a quel livello la tensione per l’evento è visibile o se al contrario l’esperienza l’ha esorcizza.

“Come ti chiami?” Ivan stenta a credere che si interessi a lui. “Ivan”. “Perché un nome russo?” “Mio padre. E’ comunista”. “E tu?” “Anch’io, Ti…, vi…, ti ho conosciuto alle Frattocchie molti anni fa”. “Cosa pensi del partito a Napoli?” “Non so che dire, è una domanda troppo impegnativa, ma se posso, credo che sia in una fase di cambiamento e non so se in meglio”. “Che vuoi dire?” “Mi sembra che si metta in discussione l’ideologia comunista, che alcuni dirigenti vogliano traghettare il partito verso obiettivi e alleanze non ortodosse”. In risposta un sorriso e un cenno con la testa di disapprovazione, ma nessun commento.

A Ivan, che dopo anni di militanza è membro della segreteria, non va giù l’aria che tira in federazione. E’ la notte dei lunghi coltelli e il compagno venuto da Roma, richiamato da una lunga crisi del gruppo dirigente locale, snocciola una relazione evidentemente concordata a livello nazionale. Legge con tono autoritario l’elenco di segretari di sezione da sostituire. Ivan non può crederci. Tutti via i vecchi compagni con un passato di operai e di lotta per il lavoro, impegnati nel sindacato, storici riferimenti nei quartieri. Al loro posto la generazione di giovani rampanti, ideologicamente tentati dalla svolta migliorista che ha preso il sopravvento a livello nazionale.

L’addetta della Federazione prende nota della richiesta di Ivan di un colloquio riservato con il segretario. Passano i giorni e l’appuntamento non arriva, ma procede spedito il processo di “rinnovamento” e include ruoli di prima rappresentanza. Cambiano i segretari regionale e della Camera del Lavoro, molti leader dei consigli di fabbrica, il responsabile dell’ufficio stampa, parte dei probiviri. La relazione d’apertura del congresso provinciale è connotata per intero sulla strategia del segretario nazionale che introduce, seppure con cautela, l’idea di alleanze che possano mettere fine all’isolamento del partito, all’eterno ruolo di opposizione, all’isolamento, alla frustrazione del Pci.

Il disorientamento di quella difficile fase diventa perplessità, poi rabbia quando la chiusura dell’Italsider fa perdere alla città il più grande insediamento operaio senza contropartita in termini di occupazione e di riconversione. Dopo l’Ilva l’intera area ovest di Napoli assiste all’agonia del comparto industriale di Bagnoli e Pozzuoli. Stessa sorte toccherà a Napoli est.

E il partito? Ivan s’interroga sul mancato ruolo del Pci e se dopo la fase di involuzione se ne era allontanato, la vicenda Italsider e la “rivoluzione” socialdemocratica del partito concludono una lunga crisi di identità con la fine di un rapporto che non ha più ragione di essere, per incompatibilità.

E’ uno scrittore affermato Ivan e in pochi giorni completa il suo ultimo libro. Anticipa con amara capacità divinatoria la lenta, inesorabile perdita d’identità del Pci che toccherà il suo culmine con il renzismo.


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