36 ANNI DAL TERREMOTO DELL’IRPINIA / UCCISI DUE VOLTE

36 anni dai morti dell’Irpinia, 7 anni e mezzo trascorsi dalla tragedia dell’Aquila.

Corpi finiti sotto le macerie di uno Stato che da anni è solo un’espressione storico-geografica: ma ormai sempre più lontano dalle coscienze dei cittadini. Tetra impersonificazione dei poteri criminali, di volta in volta travestiti in abito finanziario, oppure economico, sempre politico, molto spesso istituzionale.

Pensate che quei cadaveri abbiano avuto lo straccio di una giustizia? Una qualche sentenza che abbia inchiodato i responsabili alle loro colpe? Macchè. Tutti in gloria. E, oggi, in beata prescrizione.

E’ freschissima, al sempre dormiente e “assonnato” tribunale dell’Aquila, l’ondata di prescrizioni andata in scena – nel più totale silenzio mediatico – per non pochi processi, colpo di spugna scattato come una mannaia per i familiari e come un miracolo per i killer ai primi di ottobre, in coincidenza con i “rituali” sette anni e mezzo per la gran parte dei reati, che si prescrivono entro quel termine. Processo sepolto sotto cumuli di inerzia, ignavia, superficialità, inefficienza, ignoranza, pressapochismo: nel migliore dei casi. E neanche il brandello di una sentenza di primo grado (si contano sulle dita quelle comunque pronunciate per la tragedia): anche solo per una “questione morale”. Niente. Uccisi due volte.

Sono 36 gli anni tristemente suonati in memoria delle vittime del terremoto del 1980 che devastò l’Irpinia. Bazzecole e pinzellacchere le condanne inflitte all’epoca, soprattutto dal tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, competente per territorio (la procura si trovava proprio del cratere devastato).

Ma soprattutto suona come un autentico ceffone sulla faccia dei morti la maxi inchiesta e poi il processo farsa sui mega affari del dopo sisma, affari portati a segno proprio speculando su quella tragedia, in una ricostruzione-truffa che non ha creato alcuno sviluppo, ma solo arricchito correnti di partito, lobbies, colletti bianchi, faccendieri e decretato il decollo della camorra imprenditrice.

De Mita e Pomicino in una foto d'epoca

De Mita e Pomicino in una foto d’epoca

Un post terremoto taroccato, costruendo non solo aziende in montagna, secondo il vangelo dell’allora segretario Dc Ciriaco De Mita; ma soprattutto inventando di sana pianta una inesistenze ricostruzione dove nulla era successo, come in tutto l’hinterland partenopeo, sommerso sotto un diluvio di miliardi (quasi oltre la metà del totale dei 70 mila stanziati, lievitati a dismisura nel corso dei decenni), per la regia di ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino, passato poi a dirigere l’orchestra dei fondi pubblici prima come presidente della commissione Bilancio (detta “ ‘O Sportello”), quindi come titolare dello stesso strategico dicastero.

Pensate che qualcuno abbia fatto qualcosa per assicurare alla giustizia i responsabili della rapina del secolo? Che una sentenza abbia mandato in galera l’ombra di un responsabile? Niente, tutti viole mammole. Impuniti e contenti, miliardi nei paradisi fiscali e chissenefrega dei cadaveri sotto le macerie e dello sbandierato (e tradito) sviluppo della Campania.

Il segreto? Aver adottato ‘O Sistema milanese, quello inventato dal pm Antonio Di Pietro: e cioè tutti inquisiti per il binomio corruzione-corruzione. Perfettamente inadatto, soprattutto per una realtà come quella di Napoli e dintorni anni ’80: quando era chiaro anche ad un bimbo delle elementari che il vero, reale capo d’imputazione doveva essere quello di “associazione a delinquere” che non si prescrive nei canonici sette anni e mezzo. E se possibile con l’aggiunta di un “bis”, ossia associazione di stampo mafioso”, per l’evidente partecipazione (secondo stime attendibili ha incamerato un quarto dei profitti) delle imprese di camorra.

Della invasiva presenza della malavita organizzata nel dopo sisma sono zeppe le pagine della ponderosa (due giganteschi volumi) “Relazione Scalfaro” sul post terremoto; come del resto documentano le inchieste anni ’80 della Voce, sintetizzate nel volume “Grazie Sisma – Dieci anni di potere e terremoto” pubblicato del 1990 e scaricabile gratuitamente dal nostro sito.

Incredibile ma vero, nella maxi inchiesta sul dopo terremoto, durata anni, curata da ben 4 pm coordinati dall’allora giudice anziano della procura di Napoli Arcibaldo Miller (per anni poi ispettore ministeriale di via Arenula, sia con il governo Berlusconi che con l’esecutivo Prodi), non fa mai capolino la camorra! Per cui – grazie all’imputazione che non stava né in cielo né in terra di corruzione/concussione – è arrivata Speedy Prescrizione.

Alla faccia di chi, 36 anni fa, è morto sotto quelle macerie. Alla faccia di chi ha inutilmente atteso un qualche sviluppo (che ad esempio si era concretizzato in Friuli solo qualche anni prima) e invece ha visto ingrassare ladri, corrotti e camorristi.


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