Esce il 24 novembre il nuovo libro di un combattente per il giornalismo e per la verità, costi quel che costi. Parliamo ovviamente di lui, Oliviero Beha, indomito fustigatore della barbarie nella quale siamo immersi. Nostro malgrado. Forse. Ma, ancor più probabilmente, non senza la colpa di non aver fatto granché per impedire che si arrivasse alla “maleodorante palude” in cui già viviamo e in quella planetaria prossima ventura.
“Mio nipote nella giungla” (Chiarelettere collana Reverse, 176 pagine) è un potente, rigoroso e sofferto atto di denuncia del nostro tempo e, al tempo stesso, riannoda le fila del percorso che ci ha condotti fin qui. Un manuale di sopravvivenza per figli e nipoti, certo, cui forse può ancora servire conoscere fino in fondo come e perché ci si è arrivati (soprattutto, attraverso quali passaggi). Ma il nuovo libro di Beha non è soltanto questo. E’ un esame di coscienza collettivo, troppo doloroso eppure necessario, non meno delle pagine di grande giornalismo firmato Beha che lo hanno preceduto (dall’ormai mitico “Italiopoli” ai “Nuovi mostri” al “Culo e lo Stivale”, per non parlare delle memorabili trasmissioni radiofoniche e televisive al tempo di Zorro).
Chi ha provato negli ultimi vent’anni a seguire analoghe strade conosce bene sulla propria pelle il prezzo altissimo da pagare per esercitare il giornalismo fatto di verità e giustizia che ci avevano insegnato i nostri maestri. Censura, gogna, talvolta forme di autentico martirio, mediatico e personale. Che senso ha – e può mai avere avuto – documentare con rigore e crudezza la realtà, in un Paese come il nostro costellato di misteri di Stato, depistaggi, vittime sepolte sotto coltri di omertà senza avere mai giustizia?
Ai tanti che come noi stanno ancora qui a domandarselo, a tutti coloro che in questo luogo dell’Occidente non riescono a rassegnarsi, nonostante tutto, il nuovo libro di Oliviero Beha offre oggi una ragione in più per riflettere e per provare a crederci. Anche quando la salute diventa merce, la “sindrome da cucina” avanza e, con essa, la desertificazione del sapere, il clima impazzito, la memoria truccata, le camorre, il “fondamentalismo finanziario” del denaro e, sullo sfondo, la vita virtuale che viviamo al tempo di Facebook, Instagram e Snapchat. “Un oggi usurato ed estenuato, consumato ancor prima di esserci”.
“Non le do pubblicamente la mia solidarietà per non farLe danno”. Giulio Andreotti dopo la chiusura di Radio Zorro da parte della Rai.
“Non capisco come Beha possa pensare di lavorare ancora in tv, o alla radio, o in un giornale medio-grande se continua a scrivere libri come questo”. Marco Travaglio, prefazione a “Diario di uno spaventapasseri”.
“Tu, Oliviero, possiedi doti straordinarie di autentico cantore”. Dario Fo, prefazione alle poesie di Meteko.
“Con la freddezza di un chirurgo, fa un’analisi caustica e spietata, prendendo di mira i paradigmi della cultura contemporanea”. Franco Battiato, prefazione a “Il culo e lo stivale”.
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Un commento su “Beha – Perché sopravvivere al tempo di Snapchat”