Alta Velocità & Salerno-Reggio Calabria sempre sugli scudi. Una trentina di arresti fra colletti bianchi, imprenditori e faccendieri. Tornano alla ribalta alcune grandi dinasty, come quelle che fanno capo all’ex ministro berlusconiano delle Infrastrutture Pietro Lunardi e all’ex super Ragioniere dello Stato Andrea Monorchio. Ma le porti girevoli della giustizia di casa nostra non finiscono mai: il processo che comincerà il 16 dicembre a Firenze sempre sui Grandi Appalti parte già sgonfio, visti i freschi proscioglimenti per i due pezzi da novanta, l’ex uomo ovunque alle Infrastrutture e potente responsabile della struttura di “missione”, Ercole Incalza, e il progettista e amico Stefano Perotti. E altre indagini si perdono tra le nebbie. Procediamo con ordine.
La nuova inchiesta romana “Amalgama” parte da un filone di Mafia Capitale. Seguendo le tracce di danari e riciclaggi, infatti, gli inquirenti sono arrivati a una rete di favori a base di subappalti, sotto l’attenta regia – a quanto pare – di un ingegnere presente in tutti i business (oltre ai lavori per la tratta Milano-Genova della Tav e al sesto macrolotto della A3 Salerno-Reggio, anche quelli per il People Mover che collega l’aeroporto Galileo Galilei con il centro di Pisa), Giampiero De Michelis, e un costruttore calabrese con la passione per le autostrade, Domenico Gallo. L’ingrediente principale e vincente – secondo le ricostruzioni – sta tutto nei meccanismi delle ‘offerte anomale’, pilotate a piacimento e tali da estromettere i concorrenti scomodi, per favorire l’inutile, solo coreografica partecipazione dei non-interessati ai lavori.
Commenta un funzionario impegnato per anni al ministero dei Lavori pubblici: “Mancano per ora solo le varanti in corso d’opera oppure le revisioni prezzi o le sorprese geologiche, ma per il resto il copione è sempre lo stesso, da più di trent’anni ormai a questa parte. Lo stesso meccanismo, per fare un solo esempio, era stato utilizzato per gli appalti relativi alla terza corsia della Roma-Napoli: grandi concessionari, addirittura uno è lo stesso di oggi, Condotte, lavori smistati subito alle imprese che operano in subappalto e sulle quali non esiste mai uno straccio di controllo. Allora erano solo di camorra, con le sigle dei Casalesi a farsi le ossa sul campo. Adesso lungo tutti i lotti, nessuno escluso, della Salerno-Reggio Calabria, c’è una perfetta suddivisione tra clan di camorra, per la parte campana, e ‘ndrine lungo tutta la parte finale dello stivale”.
Del resto, una sentenza passata al vaglio del terzo grado e firmata dal presidente della prima sezione penale della Cassazione, Antonio Esposito, ha perfettamente radiografato la scientifica spartizione tra cosche dei lavori miliardari per la A3. Lavori eterni, mangiasoldi, lievitati a dismisura e per i quali il premier Renzi ha di nuovo ribadito la consegna finale sotto l’albero di Natale. Palle e stelle compresi.
LE INCHIESTE DI FALCONE E BORSELLINO, LE NON INCHIESTE DI DI PIETRO
Per non parlare della Tav. Sulla quale avevano immediatamente puntato i riflettori due inquirenti del calibro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che nelle loro indagini partite proprio nel 1990 su “Mafia & Appalti” (anche sulla scorta di un minuzioso rapporto del Ros), furono in grado di vedere già allora proprio nell’Alta velocità il grande business di mafie, imprese & politici di riferimento. Del resto, uno dei burattinai eccellenti si rivelerà poi Francesco Pacini Battaglia, il cui nome fa già capolino fin da subito in alcune sigle. E in una – guarda caso – si trovava gemellato a Incalza & Perotti.
Letteralmente baciati dalla dea bendata, i tre. Visto che Pacini Battaglia, l’uomo a un passo da Dio, come lo definì il suo Grande Inquisitore, Antonio Di Pietro, all’epoca pm di punta del pool di Milano, non passò neanche un giorno in galera. Incredibilmente don Tonino usò – come descrivono per filo e per segno Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato in “Corruzione ad Alta Velocità” uscito nel 1999 – un inconsueto guanto di velluto. Proprio lui, abituato a far confessare i suoi imputati, quella volta fu stranamente morbido e non fece cantare il vero, gran depositario dei segreti della prima repubblica delle Mazzette e della Corruzione.
Altrettanto fortunati, oggi, gli amici di Chicchi Pacini Battaglia, Incalza e Perotti, che la fanno franca a Firenze. Gip, gup e pm uniti nella lotta: non hanno infatti ritenuto sufficienti gli elementi raccolti – una montagna incapace di produrre un topolino – per sostenere l’accusa in giudizio: optando quindi per un tranquillizzante – per i pezzi da novanta sotto inchiesta – “il fatto non sussiste”. A farsi benedire, quindi, i pesantissimi capi d’imputazione come associazione a delinquere, truffa, turbativa d’asta, frode, corruzione e riciclaggio. Prima avevano scherzato.
E quale fine faranno le altre inchieste targate Grandi Appalti, come ad esempio il filone post G8, gli affari della Cricca, della Anemone & Balducci band? E le ulteriori indagini – sulla scorta di corposi dossier del Ros – su un altro uomo ovunque di progetti e lavori, Vincenzo Maria Greco, che dal terremoto all’Alta Velocità fino alle mirabolanti performance di “Icla” prima e di “Impresa” – sempre sotto la protettiva ala di ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino e dell’ex colonnello di An Italo Bocchino – ha macinato miliardi & appalti? Si alzerà il sipario su un altro buco nero, quello del Tram veloce di Firenze tanto caro a Renzi, finito prima tra le maglie di “Impresa”, quindi nella rete di “Fincosit” (impelagata in altri maxi appalti, come quelli del Mose)?
Intanto, arieccoci ad un’altra rodata band, quella dei Lunardi. Il nome di Giuseppe, oggi, fa capolino tra gli indagati eccellenti di “Amalgama”. Ma da svariati anni è in pista la creatura di famiglia, Rocksoil, che fa capo a Giovanna, Martina e, appunto, Giuseppe, i tre rampolli dell’ex ministro delle Infrastrutture nel governo Berlusconi: ricordate quando nel 2001 disse convinto che con le mafie bisogna convivere e che non ci impediranno di realizzare le grandi infrastrutture? Nel pedigree societario spicca il gioiello delle progettazioni per la Tav, in particolare quelle per i tunnel, come documentò anni fa un reportage delle Iene.
Ed è in prima fila, Rocksoil, anche per i lavori di una tratta strategica del metrò di Napoli, la famigerata Linea 6, che non solo ha ingoiato vagoni e palate da milioni di euro, ma ha anche massacrato l’ambiente: ciliegina sulla torta il crollo, due anni e mezzo fa, di un’intera ala di un edificio storico alla Riviera di Chiaia, palazzo Guevara. Il processo per la strage sfiorata è ora in corso a Napoli.
E I NON CONFLITTI DELL’EX MINISTRO LUNARDI
Così dettaglia, in un provvedimento adottato a luglio 2006, l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, presieduta da Antonio Catricalà: “in data 20 giugno 2005 la Metropolitana Milanese spa, incaricata delle opere civili della linea 6 della metropolitana di Napoli (tratta Mostra-Municipio), in accordo con la Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari spa, titolare della concessione e costruzione rilasciata dal Comune di Napoli, affidava alla Rocksoil (società interamente controllata dall’Immobiliare San Marco srl, di proprietà dei signori Giuseppe, Giovanna e Martina Lunardi, figli dell’ing. Pietro Lunardi, ex ministro delle infrastrutture e dei Trasporti) l’incarico di collaborazione alla progettazione esecutiva” di alcuni interventi.
Attenzione alle date: il 2 dicembre – ammette Catricalà – è lo stesso ministero delle Infrastrutture guidato da papà Lunardi a sottoporre al Cipe (di cui fa parte) una “nota informativa” sugli stessi interventi ritenuti necessari: ben compresa la Linea 6 e la progettazione affidata ai Lunardi junior. Il brindisi finale avrà luogo il 21 marzo, in compagnia delle rondini che festeggiano la primavera.
Tutto ciò – secondo l’imperturbabile Catricalà – non ha però niente a che vedere con alcun conflitto d’interesse! Forse tra padre e figli non corre buon sangue, e certo i rampolli hanno ottenuto l’incarico “nonostante” il padre. Per chi deve garantire “mercato e concorrenza” tutto ok!
Ma chissenefrega. Del resto, nel pozzo di san Patrizio del metrò made in Napoli hanno fatto fortuna in tanti. Dai ruspanti Casalesi fine anni ’70 con le loro pale meccaniche nei primi cantieri, alla crema dei mattonari partenopei e non solo: in pole position la Giustino costruzioni protagonista dei lavori per quella terza corsia, la Vianini di casa Caltagirone, la parmense Pizzarotti. Senza lo straccio di una “VIA”, la valutazione d’impatto ambientale necessaria anche per una veranda, e sotto il vigile sguardo di Gianfranco Pomicino (cugino di ‘O ministro e per un ventennio big di Palazzo San Giacomo con la supervisione proprio sul metrò) e del presidente di Metronapoli, Giannegidio Silva, prima per anni al timone della pomiciniana Icla. Verranno mai accesi i riflettori dell’Anac di Raffaele Cantone sui maxi sperperi del metrò più caro al mondo (il doppio di quello romano), 350 milioni di euro a chilometro e un fiume di danari che non si ferma mai ? Altri ne arriveranno a vagoni dopo le promesse del premier Renzi in occasione dello “storico” incontro con il sindaco Luigi de Magistris…
Il nome dei Lunardi, poi, è in prima fila nella pur affollata “lista Anemone”, fitta di oltre 400 nomi tra vip & papaveri. Così ricostruiva a maggio 2010 Francesco Viviano su Repubblica: “E’ un elenco che raccoglie tutti gli interventi edili (di ristrutturazione e ricostruzione) affrontati da Diego Anemone in uffici pubblici e appartamenti privati della nomenklatura nazionale. Palazzo Chigi, la residenza privata di Berlusconi a palazzo Grazioli, le abitazioni degli ex ministri Pietro Lunardi e Claudio Scajola, prime e seconde case in città e in montagna”. Più in dettaglio, a proposito del compasso d’oro: “Lunardi ha sempre dichiarato che – è vero – gli è capitato di utilizzare le imprese di Anemone, ma soltanto per trascurabili lavori nella sua casa di campagna nei pressi di Parma”. Invece – viene documentato – “nel suo ‘sistema gelatinoso’ risultano lavori di ristrutturazione nel palazzo di via dei Prefetti (acquistato da Lunardi a bassissimo costo grazie ai buoni uffici di Anemone e forse grazie al suo denaro), a Cortina d’Ampezzo (una casa di montagna del ministro) e nell’ufficio di via Parigi; infine in via Sant’Agata dei Goti, dove c’è un appartamento venduto nel 2004 da una società del figlio di Lunardi a ‘Iniziative Speciali’ della madre di Claudio Rinaldi, commissario per i Mondiali di nuoto”.
Ricca di altre sorprese, quella istruttiva “lista dei 400”. Tra i fortunati troviamo Alberto Donati, genero di Ercole Incalza; la “Sarappalti Alessandria”, società riconducibile a Giandomenico Monorchio, nonché lo stesso ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio. Il lifting edilizio, cadeau del premuroso Anemone, riguardava un immobile ubicato nel cuore di Roma, via Sistina, a un passo da piazza di Spagna. Ci manca solo un ritocco alla fontana.
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3 pensieri riguardo “ALBERGO GRANDI APPALTI, DALLA TAV ALLA A3 / ENTRA LUNARDI JR, ESCE INCALZA”