PROCESSO PER IL SANGUE INFETTO /
CONTINUA A NAPOLI LA SCENEGGIATA

Strage per il sangue infetto. Continua al tribunale di Napoli la sceneggiata. Udienza lampo, quella del 10 ottobre, per la verbalizzazione di una sociologa. Direte: che ci sta a fare? Eppure, per il pm Lucio Giugliano la sua testimonianza ci azzecca, eccome. Peccato sia stata di poche parole. “Non sono mai stata in un’aula di tribunale” ha timidamente osservato, potendo dire poco o nulla circa la storia degli emoderivati killer che hanno ammazzato, negli anni, migliaia di persone.

La giovane sociologa, evidentemente fresca di laurea, aveva lavorato con il professor Pasquale Angeloni, un esperto di emoderivati, le cui ricerche erano servite per impiantare la prima accusa, davanti al tribunale di Trento a fine anni ’90. E anche la scorsa udienza – due settimane fa – era filata via, oltre che tra sbadigli, nella più perfetta inutilità: ascoltate una dottoressa che aveva ugualmente lavorato con Angeloni e addirittura una segretaria, due minuti per dire “io tenevo il registro degli appuntamenti e aprivo alla porta”. Eppure, questi grossi calibri sono i primi testi chiamati a deporre dall’agguerrito pm. Che già aveva voluto – d’accordo parti civili e difensori degli imputati – come teste d’apertura il quasi Nobel Piermannuccio Mannucci: altro tempo buttato al vento, per il palese conflitto d’interessi che coinvolge Mannucci, spesso relatore – gettonato – ai simposi nazionali e internazionali organizzati da Kedrion, la corazzata di casa Marcucci i cui funzionari (attuali ma soprattutto ex, visto che dai fatti sono trascorsi oltre vent’anni) sono oggi alla sbarra nel processo partenopeo.

Malati per il sangue infetto in attesa di giustizia da decenni. In apertura un'aula penale del tribunale di Napoli

Malati per il sangue infetto in attesa di giustizia da decenni. In apertura un’aula penale del tribunale di Napoli

Stesso copione tra due settimane: verrà ascoltato, tanto per completare il quadretto dei collaboratori del professore, Eugenio Sinesio, ematologo, sentito come teste 23 anni fa dalla procura di Roma proprio sui primi bagliori di un’inchiesta capitolina sui traffici di emoderivati. Molto duro, all’epoca, Sinesio, che venne anche querelato per un’intervista concessa all’Adn Kronos in cui dettagliava le manovre affaristiche a livello ministeriale, con tanto di moduli precompilati. Quell’inchiesta, poi, è confluita nel filone base avviato a Trento e passato, dieci anni fa, a Napoli. Una incredibile peregrinazione di documenti, faldoni e fascicoli, molti dei quali – strategici – andati perduti o finiti a marcire (come ha anche di recente mostrato la replica di una puntata de “I dieci Comandamenti”) negli scantinati del centro direzionale di Napoli, dove è acquartierato il tribunale.

Ma la sceneggiata non termina qui. Visto che con ogni probabilità la verbalizzazione di Sinesio non durerà più di tanto, gli avvocati di parte civile e lo stesso giudice, Antonio Palumbo, hanno sollecitato il pm a convocare altri testi, anche per dare un minimo di speditezza ai letargici ritmi processuali. Scartabellando nella lista testi, dal cilindro del pubblico ministero sono usciti due nomi: tali Piergentili e Germani, già sentiti a Trento. Ma a quanto pare le loro competenze non sarebbero quelle giuste: si interessano, infatti, soprattutto di immunoglobuline, e poco di emoderivati. A questo punto, il flemmatico pm ha promesso che avrebbe verificato le loro competenze e, in alternativa, convocato altri due testi.

Prima di ultimare l’udienza, il giudice ha ascoltato, per qualche minuto, uno dei tre consulenti nominati a fine luglio, Pier Luca Zangani, che ha chiesto (anche a nome dei due colleghi) una proroga di 30 giorni per effettuare la perizia richiesta sulle cartelle cliniche dei contagiati da sangue infetto e verificare il famoso “nesso eziologico tra assunzione di un certo emoderivato e insorgenza della patologia”. La classica ricerca dell’ago nel pagliaio, dopo venti e passa anni, con cartelle spesso sparite e in cui comunque è ben difficile trovare il nome della casa farmaceutica che ha prodotto quel farmaco (killer) assunto. Tanto perchè si possa giungere – in modo pressochè scontato – alla classica formula de “il fatto non sussiste”, con gran gioia degli imputati, che stavolta potranno gonfiare il petto e dire, “assolti senza neanche la prescrizione”.

E per l’ennesima volta, giustizia sarà sfatta…

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