“Nella preparazione della Costituzione il Governo non ha alcuna ingerenza: può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma nel campo del potere costituente non può avere alcuna iniziativa. Neanche preparatoria”.
“Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti. Estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formazione del progetto”.
“Se si affida al Governo o ad una commissione di tecnici non facenti parte dell’assemblea la preparazione del piano, la sovranità popolare viene menomata”.
Sarebbero bastate queste tre, semplici frasi e il principe dei giuristi Gustavo Zagrebelsky avrebbe messo in clamoroso, macroscopico fuorigioco il suo avversario Matteo Renzi nel super confronto davanti ai microfoni de La 7. Invece ha preferito parlare di parrucconi.
Le parole che avete letto sono state scritte, e pronunciate, da qualcuno che di Costituzione ne capiva, avendola inventata, Piero Calamandrei, il cui nome è finito sulla bocca di profani del calibro di un premier a totale digiuno di quella Carta, conosciuta al massimo attraverso i libri dello stesso professor Zagrebelsky con il quale ha interloquito. Per la disperazione di tanti italiani che avrebbero voluto – e vorrebbero – capirci qualcosa.
E per capirci qualcosa, purtroppo, occorre tornare a quelle parole di Calamandrei, che con grande acume Ferdinando Imposimato ci ha ricordato all’indomani del faccia a faccia e soprattutto del farneticante commento di Eugenio Scalfari pubblicato domenica sulle colonne di Repubblica.
Le parole Calamandrei hanno una enorme pregio: quello della semplicità e della chiarezza, in una materia di grande interesse pubblico ma ammazzata da politicanti, tecnicisti e parrucconi, appunto.
Ci voleva Calamandrei per sottolineare un dato che, da solo, fa tutta la differenza: il gioco è truccato, la partita è taroccata. Proprio come succede nel calcio: non solo se l’arbitro è venduto, se fa chiaramente il tifo per una squadra, ma anche se viene permesso ad una formazione di giocare in dodici, oppure di utilizzare un calciatore non in regola. E’ successo, per una quisquilia, a inizio campionato: il Sassuolo, che aveva vinto sul campo una partita con il Pescara, ma utilizzando, per i dieci minuti finali, un giovane della squadra Primavera non in regola con le autorizzazioni, ha poi perso la partita a tavolino.
Qui la questione è un appena un po’ più grossa, e riguarda i destini del nostro stupendo ma sventurato Paese, governato da bande di lanzichenecchi e orde di unni/visigoti che si alternato al banchetto.
REGOLE “REGOLARMENTE” CALPESTATE
Sarebbero bastate queste parole, dicevamo, per alzarsi dal tavolo e abbandonare il confronto: visto che l’avversario non ha le carte in regola e nasconde gli assi nel taschino. Oppure per portarlo avanti, ma avendo fatto capire con chiarezza e rigore – morale, giuridico, scientifico – che la partita è truccata, che chi mi sta di fronte non è legittimato, non dovrebbe trovarsi lì ma altrove, a dirigere il governo (incarico per il quale non è stato mai neanche scelto dal popolo dopo una normale elezione) e osservare la partita sulla Costituzione da spettatore, senza intervenire neanche di un millimetro, come osservava Calamandrei.
Invece, un premier a tutto campo, solo nelle forme british (“con tutto il rispetto”, “ho studiato sui suoi testi”), ma nella sostanza autore di tackle e falli da cartellino che più rosso (è il solo caso di rosso per Renzi nella vita, ne siamo sicuri) non si può.
Ma quale arbitro può mai sanzionare l’espulsione dal match del premier? Nessuno.
Così come sorge spontanea la domanda: ma chi ha mai scelto il professor Zagrebelsky, ottimo docente, esimio studioso, parruccone a tutto tondo, per quel confronto tivvù che può orientare le scelte dei cittadini? Mistero. Se esiste un comitato per il NO, a questo punto, quale tipo di organizzazione si è mai dato? A perdere? A non saper comunicare? Oppure esistono tanti comitatini sparsi e senza un minimo di dialogo tra loro stessi?
L’interrogativo si propone con ancora maggior forza dopo il fresco (di giornata, 5 ottobre) ricorso al Tar per il “quesito” referendario stesso e Mattarella fa subito il pompiere pro Si). Che, al suo primo comparire, avrebbe suscitato non solo perplessità, ma seri dubbi di legittimità anche in uno studente fuori corso di giurisprudenza. E forse allertato qualche allievo di psichiatria per manifesta circonvenzione d’incapace (considerando quello italiano un popolo assolutamente bue) o, ancora, un laureando in economia, per la palese “truffa in commercio” portata a segno, con un Renzi che per incanto prende le sembianze di una Vanna Marchi in forma smagliante.
Il quesito referendario è palesemente taroccato: come chiedere – si dice a Napoli – all’acquaiolo se l’acqua che vende è buona. Come mai il comitatone, i comitatini del No non si sono svegliati prima dal letargo? Che facevano i parrucconi se non rimirarsi davanti allo specchio e caso mai contare i soldi come faceva Paperone nella sua piscina? Distratti a quel punto?
UN CORTILE FILOSOFICO GIURIDICO
Nel cortile filosofico giuridico si stanno tuffando con disinvoltura in tanti: soloni, mezzibusti & fauna varia.
Apre il tema, appunto, il Vate supremo, l’uomo che ormai dialoga solo con l’inquilino del piano di sopra e ogni tanto inciampa sulla cruda terra: Eugenio Scalfari, prossimo interprete, per Woody Allen, del monologo “Io e Dio”. Da Platone ad Aristotele, un meraviglioso viaggio negli iperurani: e il già epico autogol alla Niccolai, sull’oligarchia come miglior forma di democrazia. Attaccato – il fondatore – perfino sulle colonne della sua amata Repubblica (ormai della Banane). Un piccolo neo: altro che oligarchia – come dice parruccone 1 – siamo in piena, totale dittatura. Il pensiero unico elevato a potenza massima. La totale omogeneizzazione nel più basso livello mai toccato, la più assoluta cloroformizzazione, il più clamoroso annichilimento della parvenza di una opposizione. Un magma indifferenziato, indistinto, per cancellare – perfetta profezia orwelliana – qualsivoglia idea diversa, non omologata, non schierata col Capo (l’avesse fatto il Berlusca!).
Una delle rare fotografie fedeli di quel tragico confronto l’ha scattata Aldo Grasso sul Corsera, disegnando lo sguardo nel vuoto del conduttore, Enrico Mentana, rotto a tutte le conduzioni: “Per trovare una lettura inusuale – scrive Grasso – ho preferito concentrarmi sul conduttore, osservando come poco a poco abbia dato segni di prostrazione, una cosa impensabile per il più brillante dei nostri giornalisti. La colpa di questa caduta è, spiace dirlo, del prof. Zagrebelsky. Che ha commesso alcuni errori fondamentali per la tv. Il primo è di esservi presentato di cattivo umore (forse non ha più voglia di discutere di questi temi). Ma non si può iniziare un dibattito reclamando, di fatto, le scuse dell’avversario (“Rilevo inoltre che il premier ha cambiato idea su gufi, rosiconi e parrucconi: altrimenti non avrebbe perso tempo, stasera, con uno di loro…”).
Tornano in mente le parole di Clamandrei; e invece ovvendamente voteano le pavole del pvofessove pavvuccone. Continua Grasso nella sua purtroppo realistica radiografia: “se parti col il piede sbagliato è difficile rimediare. Il secondo errore è quello di aver voluto fare scientemente il professore, evitando gli snodi politici e trattando Renzi come uno scolaretto. Va anche bene, se però dietro l’abito accademico, dietro i tecnicismi non facesse capolino una certa aria culturale che in tv è controproducente (infelice il riferimento a Bokassa)”.
Certo più adatto, il prof, per un ruolo con Antonioni in un film sulla incomunicabilità. O per un Kiarostami doc dove l’erudito disperato dopo un lungo peregrinare in auto s’appende al ciliegio.
Dopo quell’impari confronto, ecco il diluvio. Il bestiario che, come un dilagante blog, occupa ogni spazio. Incalza Renzi, non contento del 2 a 0 deciso dal capo supremo degli arbitri, Scalfaro: “adesso sfido anche D’Alema e Grillo”. Ci ha preso gusto.
Torna sulla scena del crimine Repubblica, che inaugura una serie di interventi per il Si e per il No, nel più perfetto stile bipartizan. Aprono il tema Salvatore Settis, ex direttore della Scuola Normale di Pisa e archeologo, a suo agio per parlare di una Carta ormai irriconoscibile dopo tante lacerazioni; e l’inossidabile Giorgio Napolitano, che invece del giusto letargo sceglie di far continuo ingresso in campo, anche a piedi uniti, per il Si (e tirando le orecchie al suo discolo Matteo, troppo irruente). Seguono poi il sunto del Bignami firmato da Nadia Urbinati sulle differenze tra democrazia e oligarchia; quindi la riflessione di un filosofo partenopeo in cerca d’autore, Roberto Esposito, che propone una stimolantissima variazione sul tema: “Ma io dico no all’obbligo di schierarsi sul referendum”. Qualcuno, per favore, chiami il 113: se non è stato ancora abrogato per via referendaria.
UN GUITTO PER AMICO
Scende in campo la fanfara di Roberto Benigni, intervistato dalle Iene: non fa ridere, ancor meno pensare: il nulla più totale. Eppure è la gemma della inguardabile nuova stagione griffata “Iene” (ai confini della realtà tra sviolinate ai vigili del fuoco e raccapriccianti inni alla chemio), la non- intervista, neanche demenziale, al nostro Oscar dei campi nazisti. Ma il toscanaccio che ha amato Ciampi come ‘il su babbo’ fa di più: serio, dice che bisogna votare Si. Per par condicio sarebbe il caso di chiedere il parere ad un clown che ancora conosca il suo mestiere, nei pochi circhi rimasti in circolazione (sperabilmente senza “animali” al seguito).
Il sindaco arancione di Napoli, Luigi de Magistris, mettendo per un attimo fra parentisi i suoi impegni come futuro “alcalde” di tutto il Mediterraneo” (la premiership in Italia come anti Renzi gli è troppo stretta), commenta pacioso: “Zagrebelsky ha stracciato nei contenuti il presidente del Consiglio, che ha cercato di metterla in propaganda per essere efficace. Questa riforma è scritta talmente male che solo un costituzionalista come Zagrebelsky può provare, impiegando giustamente molti minuti, a spiegarla con molta calma”. E poi l’autocandidatura: “Ecco, un confronto, io stesso con Renzi, lo farei volentieri”, proclama tramite le colonne di Repubblica Napoli.
Un altro ex sindaco era sceso in capo prima del faccia a faccia del secolo: Massimo Cacciari, ospite di Lilli Gruber per Otto e mezzo. Restano mitiche le parole del professore lagunare, per anni primo cittadino a Venezia.
“La riforma costituzionale? Uno schifo. Scritta con i piedi. Ma io voto Si”.
Un Si, allora, turandosi il naso?, ha osato replicare candida la Gruber.
“Macchè turandosi e turandosi il naso. Qui se Renzi perde il referendum cade il governo. E l’economia va a picco”.
Secondo il Sartre in gondola, quindi, gli italiani devono votare Si ad un referendum che approva una modifica di legge che fa schifo. Tanto val la pena di aggiungere schifo allo schifo.
C’è un vecchio proverbio, a Napoli, che recita così: “per far dispetto a mia moglie mi taglio il ca…”. Da poco, si vede, l’hanno adottato a piazza San Marco.
P.S. In questo articolo non siamo entrati nel merito del referendum. Non abbiamo, per fare un solo esempio, parlato di un Senato fintamente eliminato, invece taroccato – nei progetti del Sì – con esponenti dei consigli regionali che magicamente diventeranno anche impuniti per legge; un Senato, come dice Settis, che avrà tra gli inquilini territoriali anche un ex presidente, Napolitano, che ci sta come il cavolo a merenda.
Abbiamo solo voluto ricostruire il perimetro di gioco ed evidenziare qualche minima regola. Come ribadì perfino il padre della Dc, Alcide De Gasperi. Il quale – ricorda Imposimato – “all’Assemblea Costituente intervenne sull’articolo 7 della Costituzione circa i rapporti tra Stato e Chiesa: non come capo del Governo, ma come semplice deputato”.
Robe impensabili, oggi, dove l’ingrediente base dei minestroni politici è proprio il ‘conflitto d’interessi’. La sceneggiata che il partito di D’Alema-Renzi recita da vent’anni…
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