Pensavate che le Farmatruffe fossero morte e sepolte? Archiviate dopo le performance da prima Repubblica griffate Poggiolini-De Lorenzo? Che le ricche case farmaceutiche avessero deciso di imboccare la strada della trasparenza e dell’etica finanziaria? Neanche per sogno, anzi. I metodi si sono fatti ancor più “scientifici” (un po’ come nel mondo degli appalti appalti per infrastrutture pubbliche), tanto per fregare meglio fisco, concorrenza (sic), e soprattutto i cittadini, costretti a pagare caso mai dieci volte tanto una medicina.
Fresca la maxi condanna a 10 anni di galera inflitta in primo grado dal tribunale di Firenze a Lucia Aleotti, numero uno del colosso Menarini mentre al fratello, suo vice nello staff societario di vertice, sono toccati 7 anni e mezzo. Intanto è iniziato il processo per appropriazione indebita e frode fiscale a carico di un altro pezzo da novanta, Diana Bracco, in sella all’omonima azienda, numero due di Confindustria Lombardia e della Camera di Commercio di Milano, nonché star di prima grandezza all’ultimo Expo di Milano in qualità di presidente
Partiamo da casa Aleotti. Il padre-patròn Alberto, morto a maggio 2014, fu tra i protagonisti della Farmatruffa all’epoca di Tangentopoli e finì col patteggiare tre anni per corruzione. E fu l’ideatore del sistema – secondo gli inquirenti avviato un quarto di secolo prima – quasi “perfetto” per frodare il sistema sanitario nazionale, facendo ricorso in modo massiccio a fatturazioni fasulle e, soprattutto, a società e conti esteri. Uno scrigno, in particolare, è finito sotto la lente degli 007, ossia un conto segreto acquartierato nel tranquillo paradiso del Leichtenstein, Banca LGT. Quel conto, insieme ad altri 9 mila (tra fondazioni, società e persone fisiche), venne fuori quasi per caso otto anni fa, perchè i servizi segreti tedeschi comprarono quella lista super riservata da un funzionario di Lgt, profumatamente pagato, 5 milioni di euro la ricompensa pattuita.
Frenetica l’attività della Aleotti dinasty nell’effettuare “serrate attività di pressione su esponenti politici, negli anni 2008-2009”, anche per neutralizzare e contrastare le iniziative di alcune regioni che “avevano adottato delibere a favore di farmaci generici”. Fitto l’elenco dei vip da “attenzionare”: da Silvio Berlusconi all’ex ministro Claudio Scajola, da Gianni Letta all’allora assessore alla sanità per la Toscana (e oggi Governatore) Enrico Rossi: una cinquantina i “contatti” attivati, secondo gli investigatori e in particolare il Nas. Tra i più gettonati, l’ex senatore Pdl Cesare Cursi, al vertice della commissione Industria e commercio di palazzo Madama, finito sotto inchiesta: l’ha passata liscia, Cursi, perchè il Senato ha negato l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche, in grado di documentare l’attività corruttiva svolta dai rampolli Aleotti nei suoi confronti. Come, del resto, l’ha fatta franca l’inconsolabile vedova Aleotti, lady Massimiliana Landini, assolta: può godersi con tutta tranquillità l’immensa fortuna accumulata dal marito e a lei transitata, 10 miliardi di euro e rotti, che la pone al secondo posto nella hit 2016 stilata da Forbes delle Paperone d’Italia.
Pesantissimi i reati che inchiodano i Menarini boys: riciclaggio, corruzione e frode fiscale, un bel tris; mentre è caduta l’accusa di truffa nei confronti delle aziende sanitarie, circa 200, che quindi non verranno risarcite. Si consolano gli avvocati della difesa: “la Menarini è del tutto fuori dal processo perchè è caduta l’ipotesi di truffa ai danni del servizio sanitario nazionale. Nessun problema, quindi per i quattromila dipendenti del gruppo e per i novemila dell’indotto”. E aggiungono: “contesteremo in appello il reato di riciclaggio perchè quei soldi erano legali, riportati in Italia da Alberto Aleotti grazie allo scudo fiscale”. Quel provvedimento governativo che – permettendo di raggranellare un po’ di liquidità – consentì il rientro e il “lavaggio legale” di tanti capitali. Come quel miliardo e 200 mila euro finito nei conti correnti degli Aleotti e ora confiscato.
In soldoni a tutt’oggi lo Stato – e cioè i cittadini, i contribuenti – ci rimette. Mancano all’appello quasi 900 milioni di euro, frutto dei sovrapprezzi comunque pagati – truffa o non truffa – dalle Asl: in cambio c’è una mancia lasciata sul tavolo, 100 mila euro, destinati come risarcimento alla Presidenza del Consiglio, che in tutta la storia c’entra ben poco.
Da una farmastory all’altra, eccoci a casa Bracco. E’ cominciato a metà gennaio il processo a carico della Super Lady delle pillole, rinviata a giudizio dal gup del tribunale di Milano Alessandro Santangelo su richiesta del pm Giordano Baggio. Una vera bazzecola, nei confronti dei riciclaggi made in Aleotti, i reati contestati: appropriazione indebita e frode fiscale da appena 1 milione di euro.
Vere noccioline per un’imprenditrice abituata a maneggiare barche di milioni. E anche yacht: visto che uno dei canali per nascondere gli attivi aziendali era proprio quello di aumentare il volume di fatture per spese personali. E così acquisti di imbarcazioni di lusso, ville con vista sui faraglioni di Capri o sulle colline della Provenza. Tutto fa brodo per camuffare gli utili del piccolo arcipelago societario: Bracco spa, la corazzata di famiglia. Bracco Real Estate srl (tanto per far mattoni), Bracco Imaging spa, Spin spa, Ceber srl. Il tutto con l’aiuto di due amici architetti, Marco Isidoro Pollastri e Simona Adele Calcinaghi, titolari dello studio Archilabo di Monza e rinviati anche loro a giudizio (un po’ salate le parcelle, 3 milioni di euro per i progetti di ristrutturazione di cinque immobili). Nonchè del presidente di Bracco Real Estate, Pietro Mascherpa, che ha preferito patteggiare davanti al gup una multa da 45 mila euro. “Una scelta personale”, l’ammissione sottoscritta da Mascherpa, secondo lo staff legale di lady Bracco.
Lo stesso giorno della notizia della maxi condanna Aleotti (10 settembre), il Corriere della Sera dedica mezza pagina tutta miele a un’altra lady di ferro nel settore della distribuzione farmaceutica, Ornella Barra, soprannominata proprio “la Thatcher delle Pillole”, al vertice, col marito Stefano Pessina, del colosso “Walgreens Boots Alliance”, cui la Voce ha dedicato un’inchiesta alcuni giorni fa. Tutto per celebrare il “decimo posto nella speciale classifica di Fortune delle donne più potenti al mondo”, partendo da una piccola farmacia a Lavagna, in Liguria. “Chi conosce la storia della creazione di questo impero – pennella Massimo Sideri – sa che è tutto iniziato molti anni fa, quando i due imprenditori erano alla guida di due aziende piccole e hanno deciso di dividersi il mondo”. Mitico.
Emozionanti le parole del “chief operating officer” in gonnella riportate nel titolo del Corsera: “Il merito al primo posto, anche per noi donne”. Dopo l’esplosiva rivelazione, leggiamo alcune frasi di Barra-Tatcher: “Personalmente mi dedico con grande energia a diffondere una cultura orientata all’impegno, alla flessibilità, al dovere. Senza dimenticare anche la volontà di lavorare duro. La nomina nella classifica è un riconoscimento importante, che mi gratifica non tanto personalmente, ma a nome di tutta l’azienda. Perchè è grazie a tutte le persone che lavorano con professionalità e passione, che possiamo raggiungere traguardi sempre più soddisfacenti”.
In attesa del brevetto dell’acqua calda, imperdibile il finale di Sideri: “Il messaggio è chiaro ed è che bisogna puntare su tre cose: merito, merito e merito”. Cin cin.
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