Terremoti, natura ostile

Gli uomini non amano la natura. La violentano, hanno scarso e sporadico rispetto per il mare, le foreste, il cielo delle città oppresse dallo smog, complici della scomparsa di specie animali, non tutelate, abbandonano aree fertili ritenendole improduttive dal punto di vista del profitto, incompatibili con la fatica richiesta dal lavoro agricolo rispetto ad altre attività del mondo industriale, escluse dal contesto urbano che offre opportunità culturali e ludiche. Tutto vero, gli uomini non amano la natura, ma la natura quando è responsabile di eventi catastrofici sembra non amare gli uomini. Un caso estremo di violenza subita dalla terra è il terremoto. Conseguenza di una disastrosa imperfezione evolutiva del pianeta, di quanto è sottostante alla superficie è il devastante movimento delle cosiddette faglie. Si allontanino o si avvicinino, l’esito è egualmente distruttivo. Parte dell’umanità si difende edificando case con criteri antisismici, la scienza di settore è impegnata nella ricerca decisiva di segnali premonitori del sisma, l’organizzazione dei soccorsi perfeziona la macchina dell’emergenza, ma poco può fare se nei luoghi colpiti dal terremoto le spallate sbriciolano case, chiese, edifici pubblici, strade, costruite con materiali incapaci di opporsi all’insulto. E’ quanto accade sulla dorsale degli Appennini, con paesi e città arroccate su monti e colline, esposti alla violenza dei terremoti nella loro fragilità di antichi insediamenti. Ne hanno fatto le spese la Sicilia, Messina fu devastata, il Friuli, l’Irpinia, di recente l’Emilia e ancora prima l’aquilano. La mappa del pericolo, con le sue macchie di esposizione, si allarga anno dopo anno, ad ogni passo in avanti della ricerca dei geologici e ormai disegna l’intera estensione della dorsale nord-sud del paese. Impressionante. Ora è toccato al territorio di Rieti, senza alcun preavviso. In piena notte intere borgate rase al suolo, strade franate, uomini, donne e bambini schiacciati dal crollo di tetti, mura, interi edifici, centri antichi appiattiti a terra da quanto è avvenuto alle 3 e 36 minuti di una notte maledetta. In funzione, tra mille difficoltà, la macchina dei soccorsi ha operato con l’efficienza consentita dall’evento, dagli ostacoli all’accesso delle zone colpite, impedito da frane e macerie. Sono accorsi volontari da ogni parte d’Italia, uno accanto all’altro vigili del fuoco, forestale, soccorso alpino, polizia, carabinieri, enti assistenziali, medici e infermieri. Il sindaco di uno dei paesi terremotati ha ricordato in lacrime la tragedia delle vittime della sua piccola comunità, conosciute una per una: “Cosa c’è nel futuro della sua terra”, gli hanno chiesto. Con la voce rotta dal pianto ha risposto “Quale futuro. Penso al nostro passato, cancellato in una notte. E’ quanto ci rimane.” Lo dice e con la mente, con il cuore evoca il terribile precedente dell’Aquila dove dopo tanti anni è tutt’altro che conclusa la ricostruzione. “Figuriamoci per un piccolo centro come il nostro” dice commosso il sindaco. Dalle macerie voci strozzate dalla polvere, di aiuto. Dopo tante ore dalla scossa si lavora nelle macerie, con cautela, a mani nude, si sottrae ai crolli pietra dopo pietra per estrarre i sopravvissuti. Intorno l’angoscia negli occhi e nei silenzi di chi non ha più casa, paese, storia. Si ricomincia con la solidarietà, le tendopoli, gli ospedali da campo, ricoveri più capienti per la preghiera e la messa, gli impegni del governo, gli appelli televisivi a donare due o cinque euro. Il papa prega per le vittime del sisma, il presidente della repubblica esprime il cordoglio dell’Italia, i media sono mobilitati con la cronaca minuto per minuto della tragedia. Raccontano di bilanci provvisori delle vittime, di decine di dispersi e proseguiranno nel conteggio doloroso di morti, feriti, orfani, sfollati. La natura conferma il suo rapporto problematico con l’umanità.


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