E’ arrivato l’uovo di Colombo. A servirlo in tavola Repubblica, che da mesi sta portando avanti una roboante campagna pro vaccini, comunque e per chiunque, senza se e senza ma. Stavolta scopre l’America, anzi l’India.
20 agosto, ecco il titolo del quotidiano diretto da Mario Calabresi, “L’appello dei medici. ‘Lo Stato produca il farmaco salva-vita contro l’epatite C”. Questo l’incipit: “Solo il 5 per cento dei malati a cui è stata diagnosticata l’epatite C è stato curato con il superfarmaco che ha dimostrato di essere efficace in oltre il 90 per cento dei casi”. Peccato che il costo della cura sia un po’ elevato: 41 mila euro a ciclo, un albero della cuccagna per la casa farmaceutica statunitense Gilead, che ormai – con il business del suo taumaturgico vaccino – è diventata una vera e propria finanziaria, come viene denunciato dagli stessi vertici dell’Aifa, l’Agenzia italiana per il farmaco: il che è tutto dire.
Ed è dagli stessi Usa che arriva una significativa traccia. Un fresco rapporto elaborato da “Americans for tax Fairness” sottolinea che da quando Gilead ha introdotto “il suo farmaco da mille dollari al giorno per l’Epatite C, il suo margine di profitto è aumentato vertiginosamente, mentre l’aliquota fiscale è scesa del 40 per cento”. Quando si dice la fortuna…
Mentre la ministra Beatrice Lorenzin si gode la luna di miele tra i faraglioni capresi – dove sbocciò il suo idillio con il fresco marito partenopeo, dirigente Rai e figlio del sindaco socialdemocratico 1984 che governò appena cento giorni Picardi – sono in fibrillazione alcuni Ordini dei Medici. Da Torino arriva un suggerimento: “se c’è la volontà di affrontare il problema una strada c’è. La soluzione è produrre il sofosbuvir come generico a un prezzo ragionevole e accessibile”. La cosiddetta ‘tutela del brevetto’ a questo punto sarebbe aggirabile perchè nel caso di un’emergenza pubblica si può far ricorso all’escamotage della ‘licenza obbligatoria’.
COSA FA LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI ?
A questo punto, lo Stato in prima persona può produrre il farmaco. O almeno, nella super emergenza, lo può acquistare da chi lo produce già da un pezzo. Come la lungimirante India, che da anni ha deciso di battere una strada ovvia ma da noi impossibile, per via di Big Pharma e dei suoi colossali interessi volti a tutelare non la salute pubblica ma solo i suoi interessi privati. Del resto, gli States sono maestri in questo campo, con un’industria del farmaco ormai in testa alla hit – per fare un solo esempio – nei finanziamenti “presidenziali”, ossia a entrambi i candidati, una sorta di par condicio: precedendo ormai l’industria petrolifera e quella delle armi.
Da Nuova Delhi è partita la riscossa dei paesi emergenti (ma non ancora emersi): e le autorità locali hanno deciso di fregarsene di Big Pharma, mettersi in proprio, sviluppare ricerca (che lì – quella seria – viene finanziata per via pubblica) e produrre farmaci: in primis gli strategici vaccini. Un ciclo di sofosbuvir, che Gilead fa pagare – come neanche il peggior strozzino della Terra – 41 mila euro, in India costa appena 1000 euro: 41 volte di meno. Eppure, i padroni di Gilead non vengono portati davanti ad alcun tribunale – imperando la legge del dio mercato – per furto, rapina, estorsione e via di tale passo: a questo punto l’Aja, e il suo troppo pigro tribunale, farebbero bene a svegliarsi dai torpori e a perseguire i reali crimini contro l’umanità, e non quelli inventati dal mainstream occidentale.
Non solo India, comunque, tra i paesi che hanno deciso di aprire gli occhi, almeno su alcuni versanti della salute. In Egitto, ad esempio, stanno facendo lo stesso: e il prezzo è ancora più basso, 800 euro per il ciclo completo.
Da noi, invece, il buio più completo. Come ha documentato l’Authority per la Concorrenza, “il settore manca di trasparenza”, domina le legge di Big Pharma, il mercato è spartito tra alcune case, soprattutto a stelle e strisce, e i profitti – considerati da alcune alici nel paese delle meraviglie molto bassi – stanno lievitando a vista d’occhio: il prossimo anno, infatti, è già previsto un raddoppio secco e aumentano le “sovvenzioni” pubbliche. Mentre la grancassa a favore dell’obbligatorietà dei vaccini – senza se e senza ma – procede a ritmi che più serrati non si può, come dimostra la campagna di Repubblica appena salito alla guida Mario Calabresi. Altrettanto recente l’ultimo diktat partito dall’Ordine Nazione dei Medici, che ha espressamente parlato di “sanzioni, fino alla radiazione” dei medici, soprattutto quelli di famiglia, che in qualche modo osino mettere in dubbio l’utilità dei vaccini. E sono altrettanto recenti i casi di alcuni ambulatori del nord – dalla Liguria al Veneto – che si sono visti stracciare la convenzione per essersi azzardati ad esporre semplicemente un piccolo avviso, per i familiari, teso a far verificare le condizioni dei propri figli prima di procedere al vaccino.
E i pochi che parlano di “trasparenza” nel settore, di “qualità” certa dei prodotti, di “verifiche attente circa la somministrazione”, vengono trattati da appestati. E neanche prese in considerazione le concrete proposte che avanzano.
Emblematico il caso dell’oncologo partenopeo Antonio Marfella, da anni in prima fila per denunciare i colossali rischi per la salute delle popolazioni campane che vivono nella Terra dei Fuochi, e nella morsa killer dei rifiuti tossici che stanno facendo crescere in maniera esponenziale le morti per cancro e non solo. Da anni, sempre Marfella, praticamente nel deserto sta portando avanti una battaglia sul fronte dei vaccini: non solo per una scelta consapevole, ma soprattutto perchè i tutti i cittadini abbiamo la sicurezza, la garanzia circa la qualità dei vaccini somministrati ai propri figli, soprattutto la “non nocività”. Fa l’esempio, Marfella, di svariati casi di partite di vaccini, negli ultimi anni, risultate non idonee, non a norma. Proprio perchè le aziende farmaceutiche, spesso e volentieri, per far quadrare i conti, e per vedere lievitare i propri utili, non badano tanto per il sottile.
E quindi ha costantemente suggerito Marfella: “quale strada migliore, per assicurare trasparenza del mercato, qualità, sicurezza e non nocività dei prodotti, costi contenuti, se non un intervento diretto da parte dello Stato?”. Aggiungendo: “L’India lo sta facendo da un pezzo: perchè non facciamo come loro, e caso mai per intanto non importiamo da loro quei farmaci più sicuri perchè pubblici e a prezzi non da rapina?”. Un ragionamento fatto mesi fa – e già ripreso dalla Voce – che non fa una grinza. Abbiamo infatti ricostruito che non sarebbe la prima volta di un intervento del genere, per le nostre casse pubbliche. Per fare un solo esempio, la strategica e sempre più attiva Cassa Depositi e Prestiti, asso nella manica del governo Renzi, guidata dall’ex prodiano e super esperto di finanze Claudio Costamagna (trascorsi eccellenti anche alla corte di Goldman Sachs), perchè non pensa ad un intervento una volta tanto mirato, come nel settore dei vaccini, di enorme interesse per la collettività?
KEDRION, LA REGINA DEL SANGUE
E per la generosa Cassa, oggi alle prese anche con le acrobazie bancarie targata Atlante 1 e Atlante 2, non sarebbe comunque l’esordio in campo sanitario. Visto il precedente illustre con la partecipazione azionaria – un 10 per cento abbondante – in casa Kedrion, la corazzata della famiglia Marcucci che ha il quasi monopolio in Italia nella produzione e commercializzazione di emoderivati e una posizione di tutto rilevo nella hit internazionale: soprattutto dopo gli ultimi colpi messi a segno in Russia, con l’accordo appena sottoscritto per la realizzazione di un grosso stabilimento, nato sotto il segno dell’incontro di giugno, a San Pietroburgo, tra il nostro premier Matteo Renzi e zar Putin.
Kedrion, infatti, vede la sua buona stella sempre più luminosa: Andrea Marcucci – passato alla storia con il suo “canguro” parlamentare in occasione della Cirinnà – è infatti “l’antenna di Matteo al Senato”, come lo etichettano i colleghi di palazzo Madama. La sorella, Marilina, all’inizio 2000 coeditrice della gramsciana Unità – oggi finita tra le suppellettili di casa Renzi, bilanci rosso fuoco, almeno quelli, e vendite da giornale del bar – si rimbocca le maniche tra antenne locali e festival “culturali”, soprattutto in Versilia. Il fratello Paolo, invece, è al timone di Kedrion, la gemma di un impero costruito dal patriarca Guelfo a inizio anni ’70, grande amico di Sua Sanità Francesco De Lorenzo: un legame “sigillato” con la candidatura del giovanissimo Andrea alla Camera, nel 1991, sotto le protettive ali del Pli guidato dall’Altissimo (Renato) e nel collegio di Firenze spalleggiato proprio dall’amico ministro. Dal Pli al Pds, poi Ds e ora Pd, per il rampantissimo Marcucci junior il passo è stato più che breve.
Hanno ora qualche gatta da pelare, in casa Kedrion, per via di un noioso processo che si trascina da vent’anni e si celebra proprio in questi mesi a Napoli: quello per la strage del “sangue infetto” che iniziò a Trento. Alla sbarra l’ultranovantenne Duilio Poggiolini, il re Mida al ministero targato Sua Sanità, e alcuni funzionari delle aziende che popolavano, a fine anni ’80, l’impero del sangue di casa Marcucci: aziende che, in compagnia delle consorelle estere (americane, tedesche e inglesi) hanno dettato la loro legge, indisturbate, nella più perfetta deregulation: mercato selvaggio, fiumi di profitti sulla pelle degli ignari cittadini, infettati a migliaia per via di quelle trasfusioni “allegre”, con sangue spesso e volentieri non testato.
Una sola, fino ad oggi, la testimonianza clou al processo di Napoli: quella del super ematologo Piermannuccio Mannucci, che nella tre ore di interrogatorio su vita e storia degli emoderivati in Italia, mai incalzato dal pm che ha fatto solo quattro domande di carattere generale, sul tema caldo della provenienza di quel sangue ha così dichiarato: “mi dicevano che era tutto ok, sangue testato e sicuro. Mi assicuravano che proveniva dalle massaie americane e dai campus universitari degli Usa, dove gli studenti donavano sangue per fare un po’ di soldi”. Candido come un giglio, il quasi Nobel Mannucci, che ha spesso partecipato a simposi nazionali e internazionali promossi da Kedrion sul tema degli emoderivati: ricevendo il rituale “gettone”, tanto che – ai meetings americani – in calce al suo lungo pedigree veniva correttamente scritto “in conflitto di interessi”.
Quel conflitto grosso come un macigno che il tribunale di Napoli non ha visto, chiamandolo a testimoniare come esperto super partes.
Ma la catena delle perizie – per un processo cominciato vent’anni fa – è solo all’inizio: nel corso dell’ultima udienza prima del break estivo, infatti, tre esperti hanno ricevuto l’incarico di verificare i “nessi di causalità” tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgenza della mortale patologia. “Come trovare l’ago in un pagliaio – commenta sconsolato il parente di una delle vittime – dal momento che le cartelle cliniche dopo tanti anni non esistono più. E se ci sono, al massimo riportano la prescrizione e assunzione del farmaco. Figuriamoci se tra quelle vecchie scartoffie si ritrova il nome della casa farmaceutica che l’aveva prodotto”.
Ai confini della realtà.
Ma si tratta della giustizia di casa nostra. E di una della più vergognose storie italiane di diritti calpestati. Alla faccia dei morti, dei familiari delle vittime. Un tripudio annunciato per la prescrizione salvatutti. Oppure la celebrazione di “un fatto che non sussiste” più, dopo vent’anni e passa di nebbie, sabbie, spostamenti di sede, capriole nel capo di imputazione, rinvii, continui cambi di giudici e collegi.
E il tutto, nel più totale silenzio dei media. Nazionali e locali. Chissenefrega dei morti ammazzati da sangue infetto. La prossima udienza, per chi abbia voglia di saperne qualcosa sulla pagina più infetta della Giustizia di Casa Nostra, si terrà lunedì 26 settembre, ore 10 e 30, tribunale di Napoli.
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