Ecco il parere di Michela Kuan, biologa e responsabile per i temi della vivisezione della LAV, a proposito del fresco di stampa “Cavie – sperimentazione e diritti animali” edito dal Mulino e scritto da Gilberto Corbellini e Chiara Lalli. Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato un commento di Bruno Fedi, cofondatore del Movimento Antispecista e già docente di Medicina e Chirurgia alla Sapienza di Roma.
E’ da poco uscito il libro “Cavie?” che vede gli autori Corbellini e Lalli impegnati in una lunga dissertazione a favore della sperimentazione animale che, come cita la presentazione del testo, “smaschera con lucidità incoerenze, ideologismi, autoinganni delle posizioni contrarie alla sperimentazione”.
Non si sono fatte attendere le recensioni positive del libro, che alimentano, quelle sì, inganni e falsità, cadendo in ovvi luoghi comuni e stereotipi sostenuti dai vivisettori da decenni, come l’inesistente divieto totale di fare vivisezione o l’assurda giustificazione dell’uso di animali a fini scientifici se paragonati al numero di quelli uccisi per scopi alimentari (oltretutto con quale presunzione, poi, gli autori affermino che chi difende gli animali usati per la sperimentazione, si cibi invece degli altri, non si sa).
Sebbene sia altrettanto orribile l’allevamento di animali destinati all’alimentazione, non può essere usato in alcun modo come giustificazione per legittimare la brutale consuetudine di mettere elettrodi nel cranio di animali vivi o sottoporli a operazioni senza anestesia, definendo “scienza” quella che è a tutti gli effetti una barbarie che non porta a risultati applicabili all’uomo.
Le posizioni espresse dai filosofi sono importanti e dovrebbero fornire un contributo che fonda sull’etica e sul giusto rapporto tra l’uomo le altre specie e l’ambiente, ma purtroppo non è così.
Lascia stupiti, infatti, che chi dovrebbe difendere la nobiltà della nostra anima si metta a dare giudizi a sostegno dell’utilità del modello animale, basandosi su considerazioni di parte e soggettive o alludendo all’utilità della sperimentazione su cavie nel passato. Quando inizieremo a guardare al futuro invece?
Estendere i diritti a uomini e animali non rappresenta un proliferare di leggi inutili o di posizioni animaliste estreme. E’ semmai vero il contrario. Continuare a difendere il massacro di centinaia di milioni di vittime ricorrendo a modelli che non sono mai stati scientificamente validati, rifiutare di leggere e considerare i dati statistici ufficiali che mostrano come fallisca in oltre il 95% delle volte, e non promuovere le stesse leggi che indicano come totalmente prioritari i metodi alternativi, è un triste e inaccettabile arresto del diritto, della morale e dell’etica di cui è intrisa la nostra specie e che non può e non deve prescindere dall’opera dell’uomo.
Lo stesso Darwin con la sua teoria evoluzionista sicuramente non giustificava il dominio della specie né tantomeno il ricorso ad animali per curare l’uomo, casomai il contrario visto che è stato uno dei più grandi fari della storia nel delineare il percorso specie-specifico evolutivo correlato all’adattamento ambientale (principio esattamente in antitesi col pretendere che un topo da laboratorio fatto ammalare artificialmente possa dare risultati validi per una specie filogeneticamente così lontana e oltretutto sottoposta a esposizioni di fattori ambientali così radicalmente diversi da una gabbia sottoterra con parametri standard).
La libertà di pensiero e la giusta informazione dovrebbero prevedere dei dibattiti che illustrino entrambe le posizioni relative a un problema o un fenomeno, mentre gli organi di stampa riportano in preferenza le posizioni a favore della necessità del modello animale, in cui troppo spesso i sostenitori sono coloro che fanno test su animali e quindi danno pareri interessati e di parte.
Come ribadisce il professor Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Firenze, “noblesse oblige”: noi, specie neurologicamente più evoluta rispetto alle altre, abbiamo un obbligo morale verso i più deboli. Ricordando, infine, il grande patologo Pietro Croce: “sperimentare sull’animale in funzione della medicina umana è come giocare alla roulette che, quando vien fuori il numero fortunato, il primo a stupirsene è chi ha giocato”.
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