Tragedia EgyptAir nei cieli del Mediterraneo: è attentato islamico, o c’è lo zampino dei Servizi a stelle e strisce? Una scenario bollente, quello Usa in vista del voto: con le clamorose notizie che da alcune settimane rimbalzano tra i social media sul ruolo di Bush & Cruz senior nell’assassinio di John Kennedy a Dallas e le mail da pre-impeachment che turbano i sogni di lady Hillary Clinton, con l’incubo Haiti sullo sfondo. Mentre il Washington Post nella nuova versione made in Beezos sguinzaglia una ventina dei migliori segugi – e il suo Messi, al secolo Bob Woodward, mister Watergate – per scavare sul passato a luci rosse e il presente arcimiliardario di Donald Trump: fino ad oggi senza cavar significativi ragni dal buco.
Resettiamo tutto e vediamo di ricostruire le infuocate tessere del puzzle in vista del voto che il prossimo autunno deciderà i destini della superpotenza yankee.
LA TRAGEDIA DELL’EGYPTAIR / UNA NUOVA USTICA ?
Partiamo dall’EgyptAir esploso con 66 passeggeri a bordo, una nuova Ustica, con tanto di misteri che già affiorano dalle acque a nord delle coste egiziane, nonostante le solite “certezze” strombazzate dai media, rituali grancasse di intelligence e servizi più attrezzati. Ecco una pista alternativa, che rimbalza con insistenza tra alcuni siti di controinformazione negli stessi Usa. “E’ un chiaro segnale alla Francia e a quei paesi europei che si stanno opponendo alla strategia americana di contrapposizione alla Russia di Putin, attraverso il sistema di Missili che dovrebbe avere disco verde entro un paio di mesi, ma al quale ancora oggi la Francia si oppone”. E’ di qualche giorno fa, 18 maggio, l’ultimo no francese all’approvazione del “Trattato Nord Atlantico” per l’allestimento del sistema di “difesa” (sic) targato Nato (leggi Usa) da installare in alcuni paesi, con la pole position della Romania (il maxi quartier generale a Deveselu, nella Romania meridionale, investimento da 800 milioni di dollari, lavori iniziati a ottobre 2013 e in fase avanzata, una gigantesca base radar), poi a seguire Polonia (un grosso sito per “intercettori”) e Turchia (anche stavolta multiuso: radar e intercettori); ma senza dimenticare incursioni altrove, ad esempio in Spagna, con la localizzazioni di unità logistiche navali dotate di lanciamissili ad altissima capacità distruttiva. Insomma, un bell’arsenale per fronteggiare – e soprattutto attaccare – Putin e le sue minacciose brame neo imperialiste…
Analizzano alcuni esperti statunitensi: “Germania e perfino Italia sembrano sulla stessa lunghezza d’onda della Francia, intenzionati a resistere alle pressioni americane. La situazione ricorda un po’ quella dopo gli attentati, con una Francia e un Belgio colpiti da attacchi militari molto sofisticati sotto forma di terrorismo. Sembra lo stesso copione, ora. A luglio si terrà in Polonia, a Varsavia, un importante summit della Nato e gli americani vogliono arrivarci con il sì della Francia e di tutti i paesi europei, affinchè sottoscrivano il Trattato per i missili”. Ma l’ultimo no francese è di appena qualche giorno fa, 18 maggio. “Non è una questione tecnica – sottolineano alcuni ufficiali transalpini – ma politica. E poi bisogna accertarsi che non sia la solita manovra americana di pensare solo ai suoi interessi e coprirsi con l’ombrello formale Nato”. E qualcuno, addirittura, si lascia sfuggire: “Un sistema, quello dei missili in Romania e non solo, troppo costoso, inefficiente e totalmente sbagliato”. Più chiari di così. E a Varsavia si preannuncia “guerriglia”, a meno che in corner gli Usa non riescano a “convincere” gli alleati caso mai estraendo qualche magico coniglio dal cilindro…
GLI “IMPROVVISI” RITIRI DEI CANDIDATI CRUZ E RUBIO
Passiamo al mai chiarito caso Kennedy e ai due freschissimi gialli Cruz e Rubio, i due candidati repubblica spariti in un baleno dalla scena anti Trump. Partiamo dalla primavera di fuoco: dopo il flop contro Trump ad aprile, Rafael Cruz si ritira. Ma getta la spugna, secondo non pochi analisti, perchè qualche giorno prima Trump aveva puntato i riflettori sul padre, Ted Cruz, cubano, grande amico di George Bush, accusandolo di essere in qualche modo uno dei burattinai di Lee Oswald, l’assassino di Dallas. Ed esibisce una foto del ’63 che li ritrae insieme. Un quotidiano, il National Enquirer, fa analizzare la foto a tre superesperti in “facial recognition”: due danno parere positivo, uno non si esprime. Ted non smentisce, parla solo di un Trump “patologico” in vena di “conspiracy theory”, il figlio-candidato riesce solo a dire “non era lì in quel momento”, poi si ritira dalla scena. “Basta esaminare la storia di Rafael Cruz per districarsi nel giallo – sottolinea un analista – era uno dei giovani rivoluzionari castristi e poi è venuto negli Usa dove è stato preso sotto la protezione dei Bush. E parla da solo il memorandum scritto dall’Fbi dopo l’assassinio di Kennedy, basta saper leggere…”.
Copione non tanto diverso per Marco Rubio, il senatore della Florida altrettanto rapidamente “sparito” dal palcoscenico presidenziale. Appena dopo le rivelazioni sui suoi burrascosi trascorsi a luci rosse, la sua “estroversa omosessualità”, i suoi sex parties di gruppo “alla schiuma” (i cosiddetti “foam sex parties”), raccontati dall’avvocato, investigatore e blogger Gary Welsh, che lavora a contatto di gomito con un altro tra i migliori cronisti d’assalto, Wayne Madsen, ex agente della Nsa e oggi seguitissimo blogger. Proprio come Welsh, attivista nell’Indiana, una vita per la trasparenza in politica e soprattutto in occasione delle sempre “opache” elezioni a stelle e strisce (non solo sul versante dei finanziamenti, ma su tutto il maxi apparato e il mainstream che si muove intorno). E così il beniamino del Tea Party, Marco Rubio, uno dei prediletti dall’establishment repubblicano, si autoesclude dalla corsa, è out.
Non fa in tempo a godersi il suo “scoop”, Welsh, che pensa bene di farsi fuori: non dalle elezioni, ma da questa vita. Venti giorni fa, il 2 maggio, viene trovato “suicida” in una stanza di Indianapolis. Non solo Rubio tra le sue ultime performance; ma anche il caso Cruz, l’assassinio Kennedy e l’attentato alle Torri Gemelle, compresa una “pericolosa” inchiesta sul vero ruolo di Mohamed Atta, il capo commando dell’11 settembre che – come ha documentato Ferdinando Imposimato in un rapporto per la Corte dell’Aja – era in “ottimi rapporti” con i vertici Cia. Quanto basta.
Ecco cosa ha scritto in una mail al suo editore l’aspirante suicida Welsh, lo scorso 11 aprile: “Grossa bagarre sui legami di Cruz con Oswald a New Orleans. Ho sempre pensato a quei legami del vecchio Cruz con la Cia, come del resto quelli della madre Eleanor, almeno fino alla sua laurea all’Università del Texas e poi al suo primo lavoro in un’industria petrolifera come programmatore informatico ”. Quelle industrie petrolifere così care alla famiglia Bush, impegnata fino al collo nel business dell’oro nero (e non solo, of course).
“Suicida” Welsh, come non pochi giornalisti ficcanaso che costellano le cronache giudiziarie a stelle e strisce: Philip Marshall, Michaele Hastings, Deborah Jeane Palfrey (“The DC Madam”), Gary Webb. “Le storie dei due Gary – viene sottolineato – sono molto simili: il due volte Pulitzer Gary Webb aveva scritto il celebre “The Dark Alliance” scoprendo i colossali traffici di cocaina e i proventi usati per finanziare la guerra ‘sucia’ in Nicaragua, e tutto orchestrato dalla Cia. Un vero botto. E poi anche lui ha ficcato troppo il naso nell’attentato delle Torri Gemelle, indagando sul ruolo svolto dalla Cia. Con ogni probabilità troppo. Ma era molto depresso, la moglie lo aveva lasciato….”. Da qui l’anomalo suicidio: due colpi in testa. Evidentemente, da cadavere, per essere sicuro della propria fine, ha pensato bene di spararsi un altro colpo. Caso archiviato: suicidio.
Hanno dato notizia, i grandi media di casa nostra, di queste “strane” e gialle vicende Usa? E hanno fatto mai cenno ai forti interessi “umanitari” di casa Clinton per il destino delle sfortunate popolazioni haitiane, colpite da una tremenda catastrofe nel 2010? A quanto pare no.
IL GRANDE CUORE DEI CLINTON E IL CASO-HAITI
Vediamo, allora, un altro “giallo”, la bomba Haiti che potrebbe deflagrare – proprio in prossimità del voto – a casa di Hillary.
Ecco un report arrivato alla redazione della Voce. “Vi ricordate l’attacco di Bertolaso a Hillary e Bill Clinton nel gennaio 2010? Bertolaso disse: ‘ad Haiti gli Usa confondono l’intervento militare con l’emergenza’. Fu il momento più coraggioso di attacco aperto da parte europea contro l’apparato Clinton/Bush/Soros/Wall Street. I Clinton direttamente e attraverso la loro Fondazione – ora sotto i riflettori degli inquirenti – avevano messo gli artigli sulle carni dell’Haiti martoriata del dopo terremoto, intendevano farci tanti soldi impadronendosi delle donazioni e instaurando il loro governo fantoccio, con a capo Michel Martelly”. A quel punto cominciano le manovre made in Clinton per demolire Berlusconi, colpevole di essere molto legato ai nemici storici degli americani, Putin e Gheddafi.
Strategico, nella vicenda Haiti, il ruolo giocato da Bill Clinton, il futuro super ministro dell’Economia, se la moglie Hillary arriverà al voto e trionferà su Trump. Venne scelto come “inviato speciale” delle Nazioni Unite per coordinare gli interventi umanitari e come co-chairman della Commissione creata ad hoc per la ricostruzione del Paese. Una postazione strategica, quella, per orchestrare al meglio il diluvio di fondi “umanitari” in arrivo: mezzo miliardo di dollari via “U.s. Red Cross” e, soprattutto, i 16 miliardi di dollari stanziati da USAID, ossia l’United States Agency for International Development, un’autentica “valanga di danaro”, come venne subito definita dall’ambasciatore Kenneth Merten. Il copione della “ricostruzione” post terremoto ricorda non poco lo scempio della Campania post sisma 1980 e anche quello andato in scena all’Aquila dopo la tragedia del 2008, con Bertolaso a tutto campo come vertice della Protezione civile: un Bertolaso che conosce a fondo quei meccanismi e stavolta punta l’indice contro la gestione targata Clinton.
I lavori vengono appaltati ad alcune grosse imprese “amiche”, come la Warren Buffett Berkshire Hathway, già impegnata anni prima con i lavori per l’emergenza post uragano Katrina, una star delle disgrazie altrui e delle proprio fortune, non molto abile nel realizzare abitazioni a regola d’arte (“molte erano costruite così male – notarono alcuni esperti – che dopo poco fu necessario ricostruirle daccapo”) ma capacissima nel drenare risorse pubbliche, e soprattutto umanitarie. Realizzate anche fabbriche fantasma, e fatte promesse da sogno: come quella del “parco industriale” a Caraco, un maxi progetto da 225 milioni di dollari, per creare la bellezza di 60 mila posti di lavoro. Peccato che a tutto il 2015 ne siano stati attivati meno di 5 mila sul totale promesso: ma contemporaneamente sono state chiuse 400 piccole imprese agricole.
Non è finita. Perchè proprio dal suolo haitiano, o meglio dal sottosuolo, arrivano altre sorprese. E’ valutabile oltre 20 miliardi di dollari il “tesoro” racchiuso nelle viscere del Paese, il bottino rappresentato dalle riserve auree. Ma i lavori per estrarre tanto ben di Dio – si sa – costano, non solo in termini di opere minerarie, ma anche per quanto concerne la sicurezza ambientale, la tutela della salute e via di questo passo. No problem: a tutto pensa, con la benedizione di un contratto multimilionario, un’azienda amica, riconducibile all’imprenditore Tony Rodham, che ha la fortuna di essere il fratello di uno strettissimo collaboratore di Hillary alla Segreteria di Stato. I casi della vita.
Un intervento continuo e scientifico, quello del “Re e della Regina di Haiti”, come battezza i Clinton Jonathan Katz nel suo imperdibile “The King and the Queen of Haiti”: con l’appoggio di Brasile, Francia e Canada – documenta Katz – la Clinton Foundation è riuscita ad inventare un “Sistema” a prova di bomba per gestire risorse & democrazia, arrivando anche all’elezione del fantoccio Martelly (non è parente, a quanto pare, dell’ex vicesegretario del garofano craxiano, Claudio), sommerso da una valanga di voti comprati da capitali privati e fondi “caritatevoli”.
E le bollenti “e mail” delle quali viene ora accusata Illary Clinton e che potrebbero costarle molto caro, sempre che gli inquirenti vogliano approfondire la vicenda, riguardano in buona parte proprio il caso Haiti. Per fare un solo esempio, è del 19 gennaio 2010 un messaggio della first lady, a quel tempo Segretario di Stato, in cui viene affermato: “noi dobbiamo monitorare i media e negare ogni nostro coinvolgimento. La giornalista di Al Jazeera Judith McHale ha scritto che quello che stiamo facendo ad Haiti è lo stesso che abbiamo fatto a Baghdad. Io le parlerò e farò in modo di mettere a punto un efficace sistema di controllo”. Evviva la democrazia Usa! Così rispettosa della libertà di stampa e dei diritti dei cittadini ad essere informati…
GLASNOST? CERTO NON DALLA BUSH-CLINTON BAND
Eccoci, per finire, a qualche previsione. Desecreterà o no Barack Obama il Rapporto bollente sull’11 settembre? Verrà fatta chiarezza sulla figura di Mohamed Atta e sui suoi rapporti con la Cia? Così la pensa un analista statunitense: “non mi aspetto niente di positivo dall’amministrazione Brzezinski-Obama. Le vere rivelazioni non penso verranno da una desecretazione orchestrata da improbabili ‘illuminati’. Se i segreti, che d’altra parte sono orami conosciuti da tanti, avranno diritto di cronaca ufficiale, questo avverrà in seguito ad un cambio di rotta politica, un cambio di strategia coincidente con la defenestrazione dell’apparatato Bush-Clinton. Altri tipi di rivelazioni e declassification sono molto improbabili. Un metodo molto usato da agenzie angloamericane, specie ultimamente, è quello delle ‘rivelazioni controllate’ – Hillary ne è stata una grande fautrice – come mostra il recente scandalo dei conti segreti a Panama, scoperto da questo fantomatico International Consortium of Investigative Journalists”. Poi, a proposito del nuovo “nemico” saudita (e anche pakistano) entrato strumentalmente nel mirino Usa: “Proporre come fa la Casa Bianca che i sauditi o i pakistani (o una volta il povero Gheddafi) siano gli sponsor, al più alto livello, di operazioni terroristiche tipo 11 settembre, fa sorridere. Se questi hanno avuto un ruolo, è il ruolo loro assegnato da servizi inglesi, americani e israeliani”. Ancora: “mi sembra che alcuni grandi prestigiatori stanno scaricando la colpa sui più tonti, tipo sauditi e pakistani, i primi perchè si sono indeboliti a tal punto che la Casa Bianca preferisce un’apertura all’Iran piuttosto che la palla al piede di questi corrotti feudatari che pretendono di ribellarsi contro il padrone. Naturalmente con Obama, e Biden, la priorità è quella decisa da Brzezinski: Russia, Cina! E una delle condizioni base per isolare la Russia è staccare l’Iran da Mosca. In nome di questa necessità, la Casa Bianca è disposta a vendersi gli ex fedeli sauditi. Anche se non c’è alcuna sicurezza che gli iraniani si lasceranno abbindolare. Ma il corteggiamento continua”.
Per finire, sul variegato e “terremotato” scenario Usa, il parere di Maurizio Blondet, che fa trapelare un finale thriller della presidenza Obama. “Una delle ipotesi è che il gruppo dei militari che apparentemente assistono con i loro suggerimenti The Donald (Trump, ndr), ritengono sia urgente far sì che Obama se ne vada dalla Casa Bianca prima della fine del suo mandato a novembre, e ridurre al minimo la transizione che lascerebbe gli Usa senza un governo vero fino ai primi mesi del 2017. Essi vedono l’allarmante accelerazione dei fatti compiuti e delle provocazioni, fra cui il riarmo dei jihadisti in Siria, che coi missili a spalla americani hanno abbattuto tre caccia siriani, l’ammasso frenetico di truppe e armamenti Nato ai confini della Russia, le continue provocazioni aeree contro Mosca; forse hanno ragione di temere che qualcuno, che ha il controllo sulla Casa Bianca, mentre Obama fa le valigie, stia correndo per avvicinare più di quanto crediamo un conflitto mondiale, nucleare compreso? Forse stanno ‘consigliando’ a Obama di lasciare ‘spontaneamente’ la presidenza un po’ in anticipo per dedicarsi al suo amato golf?”.
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Un commento su “BOMBA HAITI PER I CLINTON, INTANTO L’EGYPTAIR…”