Ogm, la battaglia ricomincia e vanno in campo le corazzate mediatiche per “spiegare” al popolo bue tutte le ragioni della ricerca e, soprattutto, della mega industria pro organismi geneticamente modificati. Apre le danze la Rai con Presa diretta, segue Repubblica con due paginoni per combattere gli “oscurantisti” che osano preoccuparsi di salute e ambiente. Mentre è partita la caccia alle streghe e soprattutto ai ricercatori che – dati alla mano – mettono in dubbio le “qualità” di quei prodotti miracolosi. Insomma è bagarre, anche sul fronte politico, dove è nato un potente partito trasversale illuminato sulla via degli Ogm, e i 5 stelle unici sul fronte del “No”. Ma ecco, più in dettaglio, alcune tessere del complesso mosaico, in forte movimento.
Partiamo dal 19 aprile e dal servizio, due pagine, di Repubblica Salute firmato dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, dal titolo che è già tutto un
programma: “Troppe bugie sugli Ogm”. E un sommario ancora più eloquente: “21 milioni di euro per il biotech agricolo. Ma solo a tecniche nuove che non hanno dato ancora risultati. E comunque non nei campi. Così si uccide la ricerca italiana. Tra le migliori al mondo”. Torna ad uno dei suoi cavalli di battaglia, la senatrice, dopo un paio di mesi dedicati alla promozione della “sperimentazione animale”, senza la quale – sostiene – “la medicina muore”, anzi “torna allo stadio tribale”. Tre fondi tra gennaio e febbraio (uno in prima, due pagine per la solita “Salute” e un “Commento” da un’intera colonna) per sparare contro i retrogradi e ottuagenari scienziati in pensione e animalisti che osano contrastare, con argomenti scientifici, la “vivisezione”, una parola che fa inorridire le sensibili, delicate orecchie della senatrice. La quale, ad aprile, scende in campo – è proprio il caso di dirlo, come vedremo fra poco – nella battaglia pro Ogm.
Ecco, infatti, il Verbo targato Cattaneo: “con 21 milioni di euro la legge di Stabilità ha finanziato ‘il più importante progetto di ricerca pubblica fatto nel nostro Paese su una frontiera centrale come il miglioramento genetico attraverso le biotecnologie sostenibili’. Così lo ha definito il ministero delle Politiche agricole (retto dal renziano Maurizio Martina). Un passo avanti per una comunità scientifica in carestia da venti anni, ma insufficiente. Al progetto mancano infatti due parole, ‘campo aperto’, ossia la possibilità di studiare liberamente le piante nelle condizioni di campo che le decimano. Escludere quelle parole significa investire in ricerca per non applicarla”. Prosegue il Vangelo secondo Cattaneo: “Ma a ‘liberare’ la ricerca pubblica italiana è intervenuto un giornalista, Riccardo Iacona, e la Rai che hanno dedicato una puntata di ‘Presa diretta’ a sfatare miti e restituire dignità ai ricercatori che erano all’avanguardia nella ricerca sul miglioramento genetico delle nostre piante”.
Nel mirino della senatrice, in particolare, la legge del 2005, “oscurantista”, a suo parere, capace di “buttare al rogo decenni di ricerche pubbliche”, “bloccare la ricerca italiana che prima della legge era tra le più avanzate al mondo”, penalizzare le industrie impegnate nel settore: insomma un vero disastro, al quale la fresca normativa rimedia solo in parte – secondo Cattaneo – perchè non prevede le due magiche parole.
Esattamente un anno fa, infatti, la farmacista-senatrice (è laureata con laude in Farmacia) fu la vera animatrice di un ordine del giorno presentato al Senato (e poi ritirato) per dare un nuovo impulso agli Ogm, in particolare “per spingere – denunciarono i 5 stelle in un convegno promosso proprio al Senato – la sperimentazione in campo aperto degli Ogm in agricoltura, che vorrebbe dire sostanzialmente contaminazione e messa a repentaglio delle colture di eccellenza”. Sottolineò, in quella occasione, la pentastellata Elena Fattori: “sin dall’inizio della legislatura ci stiamo battendo per dire no agli Ogm in agricoltura, ma dall’altra parte si stanno armando con corazzate imponenti che fanno emergere dubbi su quanti interessi stiamo mettendo a repentaglio con la nostra battaglia. Le multinazionali sono potenti e manovrano la macchina politica e quella amministrativa, oltre che quella economica. Tutti concetti che sono lontani dalla salvaguardia dell’agricoltura e dei cittadini”.
Quell’ordine del giorno partorito da Cattaneo era stato sottoscritto dai capigruppo al senato del Pd, Luigi Zanda, e di Forza Italia Paolo Romani, dai vertici dell’Ncd, ossia il presidente Renato Schifani e il suo vice, Laura Bianconi. Insomma, destra e sinistra (sic) unite nella lotta pro Ogm!
Tanto più caldo – già allora, un anno fa – il clima perchè “le due norme principali sugli Ogm in agricoltura e nel commercio a livello europeo, la direttiva 18 del 2001 e il regolamento 1829 del 2003, sono in fase di restyling e dietro alle modifiche – puntarono l’indice i pentastellati – possono nascondersi manovre e speculazioni, soprattutto per le possibilità maggiori che hanno le multinazionali di opporsi alle restrizioni finora esistenti. Sembra che gli interessi privati di chi vuol fare la voce grossa, appunto le multinazionali, sia in cima agli interessi dei burocrati di Bruxelles che si ramificano anche a livello nazionale. In Italia i sostenitori degli interessi Ogm si stanno organizzando trasversalmente a livello politico e possono contare su vere bocche di fuoco a livello comunicativo”. Dopo un anno la straconferma di quello scenario.
DALLA SENATRICE-FARMACISTA AL VERDE PENTITO
Non solo il Cattaneo pensiero, comunque, nel paginone di Repubblica. Ma anche le confessioni di un ambientalista pentito, il britannico Mark Lynas, che arriva “a scusarsi con la comunità scientifica e con quella agricola per i danni che ho arrecato loro da attivista anti Ogm”. Racconta delle sue attuali esperienze da autentico missionario pro Ogm, al fianco dei contadini del Bangladesh per produrre una melanzana geneticamente modificata “che permette loro di eliminare i pesticidi più tossici che causano gravi danni alla salute e all’ambiente”; oppure africani, per propalare il Verbo Ogm capace di far crescere piante “resistenti alle malattie”.
Autentiche balle, commenta Marcello Buiatti, professore emerito e per anni docente di Genetica all’università di Firenze: “Molti scienziati che parlano di Ogm non hanno mai visto una pianta in vita loro. Purtroppo quando ci sono mega interessi economici in campo, questo incide sulla informazione, regolarmente negata o distorta”.
E che il clima stia cambiando – con una battaglia che si fa sempre più dura – lo dimostra anche la recente vicenda di un gruppo di ricercatori napoletani della facoltà di Veterinaria, colpiti da un vero e proprio killeraggio “scientifico” dopo la pubblicazione di alcuni studi sugli Ogm. Come ha documentato la Voce (vedi), tutto parte dall’onnipresente occhio della Cattaneo, che letti gli studi del team coordinato da Federico Infascelli, ravvisa “qualcosa di strano”, chiede lumi al Rettore dell’Università di Napoli (e al timone della Crui, ossia la Conferenza Nazionale dei Rettori) Gaetano Manfredi, il quale nomina ad horas una commissione d’indagine che in quattro e quattr’otto emette il verdetto: falso scientifico! La Voce scopre che la denuncia – incredibile ma vero – era partita dal docente a stelle e strisce dell’Università della Georgia Wayne Parrott, a libro paga delle multinazionali Ogm (i “Monsanto Mafia Scientists”), ed è stata suffragata da Enrico Bucci, uno 007 specializzato in ‘ricerche taroccate’ nelle grazie della senatrice a vita (ha scritto la prefazione, fra l’altro, al suo ultimo libro, “Cattivi Scienziati – La frode nella ricerca scientifica). L’atroce crimine? Aver ritoccato, secondo il j’accuse, alcune immagini con photoshop: e chissenefrega se i risultati delle ricerche sono ok, ripetibili e quindi ri-dimostrabili. Per la serie, chi tocca gli Ogm muore, quanto meno viene linciato dalle lobby e baronie accademiche: colpirne uno per educarne cento.
Ma ecco alcune ultime cifre su Ogm & dintorni. Attualmente il mondo Ogm è dominato dalle 6 sorelle, sei multinazionali (capofila la già vista Monsanto) che detengono il 90 per cento del mercato internazionale delle sementi e una percentuale solo appena inferiore di quello relativo agli agrofarmaci. Il prezzo delle sementi – tanto per smentire la favola dei benefici per la collettività e per gli stessi contadini – negli ultimi cinque anni è cresciuto del 300 per cento circa (in misura maggiore quello della soia rispetto al mais) ed il mercato statunitense è ormai praticamente monopolizzato da mais e soia geneticamente modificati. E sempre per sfatare la favoletta: in vent’anni le aree coltivate con Ogm sono centuplicate, mentre la sottonutrizione, nello stesso periodo, è diminuita di appena il 5 per cento. Quanto ai costi di produzione e alle rese, altri numeri sconfortanti: per produrre biocarburanti si consuma il 50 per cento in più dell’energia fornita, mentre le produzioni zootecniche consumano molte più calorie di quelle che rendono. Cifre e dati del tutto antieconomici: ma per i colossi targati Ogm conta il monopolio, e soprattutto la riduzione in totale dipendenza – una moderna schiavitù – dei contadini di mezzo mondo, costretti a comprare ogni anno i diritti (le royalties) delle sementi utilizzate.
Commenta Bruno Fedi, fondatore del Movimento Antispecista. “Sotto il profilo scientifico, ossia se gli Ogm possano nuocere alla salute, ad oggi non c’è alcuna certezza. Come parimenti non esiste certezza del contrario, cioè che siano innocui. Quel che è certo è che sotto il profilo economico sono letali per i contadini di vari continenti”.
Rincara la dose Buiatti, del quale a seguire pubblichiamo un ampio studio. “Il potere delle multinazionali sta distruggendo intere porzioni del Pianeta”. E per tornare ai “campi aperti” tanto cari alla senatrice a vita, osserva: “quello del campo aperto è una sorta di cavallo di Troia per rimettere in discussione l’intera questione degli Ogm e andare a una ricerca sempre più controllata dalle multinazionali. E’ del tutto pretestuoso imbracciare l’argomento della distanza fra coltivazioni per dare nuovi spazi e risorse alle colture Ogm che nel nostro paese i cittadini per fortuna rifiutano. Si distruggono, altrimenti, le tipicità dei prodotti e vengono messe a repentaglio le più elementari sicurezze alimentari acquisite”.
Va al nocciolo del problema un altro studioso da anni impegnato in ricerche oncologiche, e anche sugli effetti degli Ogm, Mariano Bizzarri, a capo del dipartimento di Medicina sperimentale alla Sapienza di Roma: “Per inserire un gene dobbiamo violentare il seme, spezzare il nucleo, spezzare il cromosoma e inserirvi un gene che in condizioni normali non sarebbe mai potuto arrivare là. Ben diversamente da quanto accade, ad esempio, con gli innesti, dove mettiamo a contatto due specie vicine che, se sono fertili, danno un frutto, realizzando una fusione in cui si uniscono i cromosomi. Nella violenza dell’ingegneria genetica, invece, dobbiamo attaccare il gene a un veicolo. In natura ci sono delle barriere che la tecnica tradizionale non infrangeva, mentre spezzando il nucleo, ad esempio, noi possiamo immettere il gene del pesce nella fragola. Per fortuna la gente comincia a capire queste cose e non vuole farsi colonizzare da chi ha ridotto tutto a finanza e impresa monetaria”.
ECCO, DI SEGUITO, IL SAGGIO DEL PROFESSOR MARCELLO BUIATTI SUGLI OGM
Letteralmente gli “organismi geneticamente modificati” sono esseri viventi, dai fagi e batteri alle piante, agli animali e quindi anche agli umani, in cui è stata modificata parte del genoma con l’inserzione di frammenti di DNA attraverso una serie di processi noti ormai da tempo. Questo tipo di operazioni è facile soprattutto nei batteri, organismi relativamente semplici che vengono modificati utilmente inserendo geni nel genoma principale, come ad esempio quello molto utile della insulina, che può essere quindi estratta, purificata ed utilizzata in medicina. Analogamente sono state inserite altre molecole che producono sostanze utili per l’industria ma anche geni che producono proteine pericolose passibili di essere essere usate per la costruzione di pericolosissime armi biologiche da tempo “costruite” ma per fortuna non ancora usate, che si sappia.
Questi metodi hanno effetti diversi se invece di batteri si modificano geneticamente organismi complessi come le piante, gli animali e quindi anche gli esseri umani. Questo perché anche una sola cellula geneticamente modificata interagisce in modo non del tutto prevedibile con altre cellule di un tessuto che a sua volta può cambiare l’organismo intero che è collegato con altri esseri viventi. Qualcosa di simile avviene anche nelle piante che vengono geneticamente modificate utilizzando diversi metodi, i primi dei quali sono stati l’uso di un batterio (Agrobacterium tumefaciens) in grado di inserire frammenti di DNA nelle cellule vegetali, e il cosiddetto “cannone”, una macchina che “bombarda” le cellule vegetali con frammenti specifici di DNA che si inseriscono così nel genoma della pianta. In ambedue i casi non solo un frammento ma molti segmenti di DNA si possono inserire in più di una cellula della pianta ricevente. Si attivano così una serie di eventi non del tutto prevedibili perché non si sa quanti frammenti “alieni“ sono entrati nelle cellule, come hanno interagito con il genoma ricevente, che effetto hanno avuto le proteine prodotte dal gene introdotto sul metabolismo cellulare, che interazioni si attivano fra la cellula modificata e le cellule vicine; e ancora, la pianta stessa, così cambiata, interagirà con l’ecosistema in modo imprevedibile. In particolare, se si tratta di un ecosistema agrario non sarà completamente prevedibile l’effetto delle piante transgeniche sull’agricoltura e il loro risultato per gli agricoltori e le comunità umane che utilizzano i prodotti agricoli transgenici.
Per tutte queste ragioni non è quindi affatto strano che dai primi anni ’80 del 1900 solo quattro piante geneticamente modificate (soia, mais, colza, cotone) hanno avuto un grande successo a livello mondiale e adesso coprono l’immensa area di 171 milioni di ettari nel Pianeta. Analogamente i caratteri che sono stati introdotti in queste quattro piante sono solo due, la resistenza a diserbanti (soprattutto per la soia) e la resistenza ad insetti specifici per mais e cotone.
Che io mi ricordi la prima pianta transgenica introdotta nel mercato è stata il pomodoro “Flavr Savr”, una pelle durissima e quindi resistente a batteri e funghi che inducono marcescenza. Tuttavia questo pomodoro fu ritirato rapidamente per la assenza di sapore e la durezza della buccia, che ricordo molto bene perché lo ho allora assaggiato con un certo disgusto. Di fatto, quindi, l’unico fatto positivo di questo prodotto transgenico era la minore marcescenza derivante da una pelle durissima del frutto davvero sufficiente per la riuscita nel mercato. Dopo di questo sono state provate poche altre piante GM, la più interessante delle quali, il cosiddetto “Golden Rice”, avrebbe dovuto avere un’alta concentrazione di pro-vitamina A, in teoria particolarmente molto utile in Paesi in cui ce ne fosse carenza. Purtroppo la concentrazione di questa vitamina era talmente bassa. per cui chi avesse voluto usare il riso in modo efficiente avrebbe dovuto ingerirne più di un chilo al giorno. Per questo il Golden Rice non è mai entrato veramente sul mercato, nonostante i continui annunci – sempre falliti – di nuove varietà con alto contenuto vitaminico da parte dei produttori.
Ci si potrebbe chiedere quindi come mai, nonostante questi risultati scadenti e la incapacità di immettere nel mercato nuovi OGM, la superfice occupata da queste piante sia così smisurata, tanto che le maggiori industrie che producono OGM (Monsanto, Dupont, Syngenta e altre minori) hanno acquistato un potere economico enorme e controllano gran parte degli utensili e di molti prodotti di uso agricolo fra cui le macchine agricole e altri attrezzi controllati da alcune grandissime imprese sementiere. Questo fenomeno investe contemporaneamente anche le più grandi case farmaceutiche di Big Pharma, anch’esse apparentemente incapaci o non interessate alla produzione di un numero sufficiente di nuove medicine, rispondendo alla continua comparsa di nuovi patogeni di ogni tipo a livello mondiale anche per gli effetti sempre crescenti del cambiamento climatico globale.
Non è a caso, quindi, che i rapporti fra le maggiori imprese produttrici di piante geneticamente modificate (Monsanto, Dupont, Syngenta) e le grandi farmaceutiche siano intensi, semplicemente perché il successo globale dei due giganteschi gruppi viene dal cambiamento globale delle economie che non si basano più sulla legge della domanda e dell’offerta, ma fanno parte della rivoluzione finanziaria che ormai rappresenta la maggior parte delle economie totali. In entrambi i casi (industrie Ogm e del Farmaco) il ritorno finanziario non viene dalla ricerca e dalla produzione di nuovi e migliori prodotti, ma dai guadagni derivanti dalle royalties di quelli ormai obsoleti. Detto questo, credo che la battaglia che molti stanno conducendo contro le piante geneticamente modificate debba essere aggiornata e modificata rapidamente, se vogliamo avere successi reali contemporaneamente per le economie reali legate alla materia e per i prodotti necessari per le vite.
Infatti l’obiettivo su cui si discute è quasi soltanto il possibile pericolo per la salute umana derivante dalla ingestione di piante geneticamente modificate, mentre si discute molto poco o niente degli effetti per la quantità e qualità di cibo disponibile nei diversi Paesi, derivanti dallo stato delle agricolture e degli enormi effetti economici e per l’ambiente derivanti dal potere finanziario delle multinazionali del settore.
I PERICOLI PER LA SALUTE
Sono solo due, come detto, le modificazioni genetiche presenti nelle piante adesso sul mercato e cioè la resistenza a diserbanti e la resistenza a insetti specifici. La resistenza ad insetti deriva essenzialmente dalla inserzione di un gene di un batterio (Bacillus Thuringensis) nelle piante coltivate. In natura, dopo che il Bacillus Thuringensis (nella forma di spore e/o cristalli) è stato irrorato sulla vegetazione ed é ingerito dalla larva, giunge nell’intestino medio dove i cristalli si degradano in tossine che si legano ai recettori presenti sulla parete intestinale e provocano delle ulcere attraverso le quali il contenuto intestinale (succhi gastrici + spore) si diffonde nel resto del corpo provocando la morte delle larve più sensibili, mentre quelle meno sensibili iniziano a germinare dando origine ad un alto numero di batteri che invadono il corpo della larva portandola a morte in due-quattro giorni. La causa della morte è una proteina. La “proteina Cry”, che nell’intestino della larva viene parzialmente degradata, ne rilascia una parte piccola e potenzialmente tossica ma solo se si complessa con un recettore specifico e il complesso esce nell’intestino della larva dell’insetto. Le molecole della tossina si uniscono ed escono dalla cellula dopo aver aperto una rottura della membrana cellulare che distrugge la cellula stessa. L’effetto cumulativo di questo processo in molte cellule porta poi alla distruzione dell’intestino della larva ospite. Per quanto riguarda gli effetti sugli umani, sono molto discussi, ma vanno citati i lavori di Stephanie Seneff del MIT e diversi altri nell’ambito dell’USDA, come la studiosa Nancy Swanson (U.S.Center for disease control – CDC – del Dipartimento Agricoltura USA), ma anche i medici ed epidemiologi della Sherbrook University e dell’ Hospital di Quebec che hanno osservato la presenza della proteina Cry in un’alta percentuale di donne gravide ecc. In genere i dati degli Stati Uniti e quelli del Canada sono tuttavia derivati dallo studio del rapporto fra l’incidenza di una serie di malattie, fra cui anche l’autismo e la prevalenza di piante Bt nella zona. Infine va notato, ed è probabilmente questo l’oggetto di preoccupazione dello USDA, che dalla prima introduzione delle piante Bt molte specie di erbe infestanti sono diventate resistenti alla tossina, che ha inquinato le acque provocando cambiamenti consistenti degli ecosistemi locali.
Il secondo – e per ora più importante prodotto di ingegneria genetica – è la costruzione di piante resistenti ai diserbanti che sono nate contemporaneamente alla produzione di un diserbante potentissimo dal nome di “Round Up Ready”. La molecola fondamentale del Round Up è il Glifosato, che colpisce il pathway dell’enzima dello shikimato 5-enolpyruvylshikimato 3-phosphato (EPSP) sintasi, ed elimina tutte le piante che non sono resistenti. Le piante resistenti prodotte da Monsanto hanno incorporato nel loro genoma una forma di questo enzima che rende la pianta non sensibile al Rpund Up, ottenuta mediante il ceppo di Agrobacterium CP4. In questo caso la pianta più utilizzata e resistente al Round Up ready è la soia, che copre a livello mondiale lo spazio maggiore delle agricolture.
Dal punto di vista dei pericoli per gli animali e gli umani, gli eventuali problemi delle piante geneticamente modificate non derivano dal processo di ingegneria genetica ma dal Round Up Ready su cui sono stati fatti studi onnicomprensivi, soprattutto sul il glifosato e altre molecole “adiuvanti” che compongono il prodotto. Per quanto riguarda la molecola del glifosato, questo è stato considerato “probabilmente pericoloso” dalla OMS, ma ci sono una serie di studi che indicano come il pericolo maggiore siano gli adiuvanti e cioè una serie di altre molecole che fanno parte del Round Up. Sul mercato ci sono numerosi adiuvanti che possono essere utilizzati insieme ai diserbanti come surfattanti, concentranti degli olii, fertilizzanti azotati, agenti umidificanti e che facilitano la penetrazione nelle cellule, aiutata dagli olii derivati da petrolio, olii vegetali. Alcuni fertilizzanti liquidi possono anch’essi essere usati come adiuvanti della penetrazione degli erbicidi.
Per quanto se ne sa, il pericolo viene proprio da questi adiuvanti in quanto possono modificare le membrane cellulari e i recettori che vi si trovano ed hanno una importanza fondamentale per il rapporto di riconoscimento fra cellula e cellula: processo, questo, di enorme importanza perché è noto che singole cellule tendono a moltiplicarsi e possono quindi entrare in processi carcinogeni. Questo è probabilmente il dato che preoccupa di più, perchè diversi studi hanno dimostrato l’aumento di tumori in presenza di diserbanti e dei loro adiuvanti in topi.
E’ interessante notare che il lavoro di chi ha fatto queste ricerche è stato attaccato pesantemente dalle imprese produttrici e gli scienziati che hanno fatto tale scoperta hanno dovuto ritirare un loro lavoro, però stato pubblicato e accettato da una parte consistente esperti e addetti ai lavori. Questi ed altri dati ci dicono che ci sono effettivamente casi negativi, non per l’utilizzazione dei metodi di ingegneria genetica in quanto tali, ma per i metodi e gli scopi specifici, in particolare per la resistenza ad insetti e la resistenza a diserbanti. Quanto detto, ci chiarisce la notevole difficoltà dell’uso dei metodi di ingegneria genetica, dimostrata dal numero bassissimo di prodotti utilizzabili sul mercato che, ripeto, sono dopo tanto tempo quattro piante modificate con un qualche successo sul mercato solo per due caratteri.
I GRANDI INTERESSI SULLA PELLE DEI CONTADINI
Come mai – ci si domanderà a questo punto – le grandi imprese che hanno prodotto solo quattro piante modificate per due soli caratteri prodotte nei primissimi anni ’80 sono riuscite a coprire ben 171 milioni di ettari con questi OGM? La risposta sta nella drastica modificazione del sistema economico-finanziario e in particolare nei sistemi brevettuali. Per molto tempo la unica vera forma brevettuale delle piante era quella della UPOV (International Union for the Protection of new Varieties of Plants) a cui facevano riferimento i costitutori di varietà di piante che usavano i metodi tradizionali di selezione. Secondo la UPOV, un agricoltore che volesse utilizzare una specifica varietà pagavano una volta sola il costitutore, perché negli anni successivi potevano utilizzare i semi ottenuti nel suo terreno dalle prime piante acquistate. Non solo, ma lo stesso agricoltore poteva incrociare due diverse varietà e ottenerne di nuove libere dal brevetto originario.
La situazione è cambiata drasticamente verso la fine del Novecento, in particolare in Europa, dove nel 1998 è stato introdotto, su spinta delle pressioni delle imprese produttrici e del concetto della “sostanziale equivalenza fra vita e non vita”, il sistema americano della “Legal Protection of Biotechnological Invention”, tradotto in Europa con la “European Patent Convention”, molto simile al sistema statunitense. Da allora, un agricoltore che “compra” il diritto di usare una nuova varietà, in particolare derivante da una pianta geneticamente modificata ,dovrà ogni anno pagare di nuovo i cosiddetti “intellectual property rights” al produttore della pianta modificata originale. Non solo, ma basterà la presenza di una sola pianta GM in un campo perché l’agricoltore paghi le royalties di tutto il campo.
Ora, i brevetti delle grandi multinazionali non sono solo piante geneticamente modificate, ma anche molti altri oggetti e strumenti che hanno a che fare con le filiere agricole, il che chiarisce la forza economica di Monsanto @ Co, una forza talmente grande che ha permesso l’introduzione degli OGM, e in particolare della soia geneticamente modificata resistente al Round Up, in molti grandi paesi, soprattutto dell’America latina, in cui i piccoli contadini sono stati cacciati e spediti nelle favelas delle grandi città, oppure sono diventati braccianti a basso costo delle enormi fazendas delle imprese controllate dalle multinazionali.
Ci si potrebbe chiedere che senso abbia la coltivazione di soia resistente al diserbante, ma la risposta è semplice: in questo modo le direzioni delle fazendas hanno potuto eliminare la mano d’opera umana che effettuava il diserbo delle coltivazioni di soia, che ora si può ottenere semplicemente passando con un aereo sulle fazendas e irrorando il terreno con il Round Up, un composto molto pericoloso per la salute umana. Con la coltivazione di una sola pianta si sono perse non solo le numerosissime varietà locali di piante e i loro semi, ma anche i linguaggi locali, scomparsi in un pot-pourry di “non lingua” delle favelas, come si può vedere nel sito “Terralingua”, che da anni effettua il monitoraggio su biodiversità e linguaggi, due fattori la cui perdita significa la distruzione delle società locali e dell’ambiente.
Al momento, i due paesi colpiti con maggior durezza dalle multinazionali sono Argentina e Brasile, ma anche il Paraguay, che è stato “colonizzato” nonostante i contadini locali abbiano provato a resistere con le armi e si siano difesi perdendo molte vite. In Argentina, ma soprattutto in Brasile, va considerato anche il danno ambientale determinato dalla distruzione delle foreste effettuata per coprire il terreno con le piante GM. Ho avuto il piacere, poche settimane fa, di incontrare una delegazione brasiliana che mi chiedeva delucidazioni proprio sugli OGM e sulle conseguenze della loro copertura dei terreni ed eliminazione delle foreste, fondamentali non solo per quel Paese, ma in genere per il mondo intero data la enorme importanza della riduzione di CO2 assorbita dalle piante. A livello mondiale, inoltre, è da segnalare l’uso enorme delle monocolture di soia in America latina, mais in Messico, cotone in India (la estensione della colza geneticamente modificata è minima almeno fino ad ora). Questo significa la distruzione della biodiversità agricola e non solo, vista l’eliminazione delle foreste con il loro immenso patrimonio vitale per la sopravvivenza del Pianeta.
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