Calcio e Tv: accordi sotterranei

All’appello, nell’aula dei cattivi che infoltiscono le truppe agguerrite dei corrotti, potevano rispondere “assente” i colossi che monopolizzano il calcio televisivo? E’ un no secco la risposta giusta. Lo dimostra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che mette a nudo un accordo illecito tra network in competizione per accaparrarsi i diritti di ripresa degli incontri di calcio dell’intero pacchetto di gare dei campionati A,B e D. Il patto, sostiene il Garante, sostituì il risultato regolare dell’assegnazione in base alle offerte presentate e all’esito dell’asta relativamente alla serie A. Il verdetto dell’Antitrust è specialmente punitivo nei confronti di Mediaset Premium, condannato a pagare la bellezza di 51,4 milioni di euro. Nove milioni la cifra che sborserà Infront Italy, società leader in Italia nella gestione dei diritti sportivi TV, media e pubblicitari, uno dei più importanti operatori a livello mondiale del settore. Se la cavano, si fa per dire, Sky, multato per 4 milioni e la Lega Calcio, poco meno di due. Secondo l’Autorità garante per la concorrenza e per il mercato è stato violato l’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. E’ arduo entrare nel merito del sopruso compiuto da Mediaset con la complicità di Infront Itally, ma in concreto si tratta di un travisamento dell’asta che ha penalizzato la televisione di Murdoch privando di consistenti quote di abbonamenti alla pay tv il network Sky che si era garantito legittimamente l’esclusiva per il digitale terrestre e via satellite del campionato di serie A, poi violata da un accordo sulla spartizione con Mediaset premium che preclude la possibilità di altri editori (per esempio Eurosport) intenzionati a competere per i diritti. La tv di Berlusconi , con la spartizione contestata, si è così assicurata una posizione dominante, forte dei diritti esclusivi di trasmissione delle partite di Champions League, grande attrattore degli appassionati di calcio.

 

Carcere di lusso ma per il massacratore nazista non basta

Ipotesi non visionaria: quanto costerebbero allo Stato italiano migliaia di richieste di risarcimento dei detenuti che sopportano trattamenti disumani nelle carceri del Paese? La domanda è generata dal caso di Anders Behring Reivik, il sanguinario neonazista autore del massacro di settantasette giovani laburisti nel centro di Oslo, durante la loro festa annuale. Reivik è ospite del carcere di massima sicurezza di Skien, in isolamento perché giudicato pericoloso. La “cella”? Un locale arioso di oltre trenta metri quadrati, super accessoriato: spazio letto, spazio lavoro con televisione, dvd, playstation, computer, doppi servizi. Manca solo la vasca idromassaggi e il comfort della massaggiatrice, il personale trainer. Per il resto dalle nostre parti sarebbe considerata una detenzione super confortevole, lussuosa. Non per il magistrato che ha emesso la sentenza nella causa intentata dal mostro neonazista allo Stato norvegese, condannato a risarcire il pluriassassino con trecentotrenta mila corone e a pagare altre trentacinquemila corone di spese legali. Le motivazioni, accolte da Reivik con il braccio teso nel saluto nazista, si basano sul trattamento considerato disumano della sua detenzione perché privata di caffè caldo e alimentata con cibi precotti riscaldati nel forno microonde, perché costretta all’isolamento e ad altre privazioni. Tanto di cappello al rispetto della Norvegia per i diritti dei reclusi, anche se terroristi o killer, anche se riconosciuti a un fanatico sanguinario condannato solo a ventuno anni di reclusione per il massacro di settantasette giovani, ma qualche dubbio sulla sentenza di Helen Andenaes Seculik che avrebbe potuto semplicemente imporre allo Stato qualche ulteriore comfort alle condizioni del detenuto.


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