Falsi scientifici, ricerche taroccate per scalare carriere o drenare più fondi pubblici. In alcuni casi succede a Napoli; in altri, quelli più “grossi”, a quanto pare la regia è milanese. E sembra esistano un peso e tre misure: fa gran rumore, ad esempio, il caso che “non esiste”, con vere liste di proscrizione per una dozzina di ricercatori partenopei; fa poco rumore la storia di successi inventati, mentre il paziente è morto e il figlio scienziato lo scopre all’estero; messo praticamente a tacere il giallo che coinvolge pezzi da novanta del celebre e intoccabile Istituto Oncologico Europeo, fiore all’occhiello della Veronesi dinasty. Ma vediamo il tris, partendo dal primo.
A metà gennaio scoppia la bomba. Sotto accusa un gruppo di ricercatori della facoltà di Veterinaria di Napoli per una serie di studi sugli effetti degli Ogm. Un argomento ormai tabù, visto il coro mediatico e istituzionale, capitanato dal super oncologo Umberto Veronesi e dalla senatrice a vita Elena Cattaneo che l’anno scorso ha dedicato gran parte del suo fosforo a convincere il popolo bue sugli Ogm buoni e belli, così come ha inaugurato il 2016 con una mitragliata di interventi via Repubblica sulla drammatica necessità della “sperimentazione animale”, alias vivisezione, quindi tortura su cavie d’ogni tipo: “altrimenti la medicina muore” e torniamo “ad uno stadio tribale”. Ricostruiamo le tappe dell’incredibile story.
L’equipe di Veterinaria, capeggiata da Federico Infascelli, docente di Nutrizione e alimentazione animale, ha la malaugurata idea, ben 9 anni fa, nel 2007, di iniziare uno studio sul “Dna vegetale nel latte di animali alimentati con soia ogm e negli organi di capretti alimentati con solo latte materno”, nonché di osservarne gli effetti metabolici, in particolare sull’LDH. Dopo un paio d’anni i risultati vengono inviati alla rivista “Animal” che li sottopone alla valutazione di due esperti i quali, dopo alcuni mesi, chiedono al team della Federico II delle “analisi suppletive” per chiarire alcuni aspetti. Tali analisi vengono “ripetute” in un laboratorio del nord, che conferma i risultati già ottenuti. Nel 2010, quindi, la rivista pubblica lo studio. Al quale, poi, ne seguiranno altri due, uno pubblicato nel 2013 e l’altro nel 2015, rispettivamente sulle Gamma GT in alcuni organi dei capretti, e sulla presenza di immonoglobuline nel colostro (il latte prodotto immediatamente dopo il parto, più ricco di elementi nutritivi).
Ma ecco, in rapida carrellata, i fatti successivi. A giugno 2015 i 5Stelle promuovono a Roma un convegno sugli Ogm cui, fra gli altri, prende parte Infascelli. Il quale, un mese dopo, viene convocato dalla commissione Agricoltura del Senato, sempre sul tema Ogm, insieme ad altri relatori: tra cui un partenopeo, Roberto Defez, primo ricercatore all’Istituto di Bioscienze e Biotecnologie del Cnr di Napoli, super fan degli Ogm e blogger per il sito della Fondazione Veronesi. E’ presente ai lavori anche la senatrice Cattaneo. La quale pensa bene, pochi giorni dopo, di inviare una lunghissima missiva ad Infascelli e – per conoscenza – ad una sfilza di ricercatori (tra cui Defez), chiedendo alcuni chiarimenti.
Senza esaminare i dettagli tutti tecnici della comunicazione, Cattaneo tiene a precisare, vera excusatio non petita: “non ho alcun interesse sugli Ogm”. Combatte, la prode senatrice, contro “una politica che ha distorto fatti e realtà, creato falsi miti, una cappa di oscurantismo, paure infondate, sfiducia nella scienza che indaga, limitato la libertà di studio”, lo stesso refrain che ha già mandato in onda per beatificare la sperimentazione animale, ossia la vivisezione. Tutto ciò – aggiunge – perchè “venga data la possibilità a gruppi come il tuo di disporre, oltre che dei fondi necessari, di materiale sperimentale”. E rassicura, dal suo punto di vista: “mi pare chiaro che tu e il tuo gruppo offrite un’osservazione sperimentale, non lanciate un allarme, non state mettendo in discussione le scelte, sempre difficili, dell’EFSA che autorizza l’uso di derivati di Ogm nella mangimistica continentale e nazionale. State dicendo – aggiunge – che vorreste studiare ancora se vi fossero effetti a lungo termine: insomma delle ipotesi di studio, dei progetti di ricerca, non delle conclusioni preoccupanti”.
Ecco la sorpresa. Cattaneo muove un piccolo rimprovero ad Infascelli sul tono del suo intervento in Senato, non nel merito dello studio: “Se avessi ripetuto in audizione le frasi che avevate usato nel testo del vostro lavoro scientifico e se avessi segnalato che anche frammenti di Dna non ricombinante si trovano nel latte forse qualche politico sarebbe stato deluso, ma la chiarezza della tua posizione di studioso sarebbe risultata maggiormente trasparente”.
Sottolinea un ricercatore che ha ascoltato le parole di Infascelli: “nessun falso allarmismo, certo, ma il contenuto della ricerca può dare qualche preoccupazione alla lobby degli Ogm:
tirando le somme, alla fine emerge che il dato transgenico entra negli organismi presi in esami, quelli dei capretti, così come può entrare in quelli umani. Se e in che misura ciò possa essere un danno per la salute è un altro paio di maniche. Ma si sa, quella lobby è non solo potente, ma estremamente suscettibile. Chi li tocca…”. Vediamo allora sinteticamente cosa è successo a chi l’ha appena sfiorata, quella lobby.
La senatrice Cattaneo chiede alcuni chiarimenti al gruppo Infascelli, ma non ricevendo, nel mese di agosto (quando l’università è fisiologicamente chiusa) risposta, ai primi di settembre si rivolge al direttore del dipartimento di Veterinaria, Luigi Zicarelli: nella comunicazione comincia a fare espresso riferimento a possibili alterazioni delle immagini che corredano lo studio. Nessun riscontro, a breve, da parte di Zicarelli. Ed ecco che la scalpitante senatrice passa al numero uno, ossia al Rettore Magnifico dell’Università di Napoli, Gaetano Manfredi, che siede anche al vertice della Crui, ovvero la Conferenza Nazionale dei Rettori (a sua volta impelagato, Manfredi, in alcune poco chiare storie di progetti per la ricostruzione a L’Aquila, ora al vaglio della magistratura). Al rettore la senatrice chiede di accertare con urgenza la validità della ricerca, in cui intravede “problematicità e incongruenze”. Un fulmine, Manfredi, che nomina ad horas una commissione d’inchiesta presieduta da Lucio De Giovanni (direttore del dipartimento di Giurisprudenza), Vincenzo Nigro (ordinario di genetica medica alla Seconda università di Napoli) e Pasquale Verde (direttore dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr, dove ha lavorato per anni anche Defez).
LA “MONSANTO MAFIA” BAND
Nella vicenda, a questo punto, fanno irruzione due personaggi. Il primo è un docente dell’Università della Georgia, negli Usa, Wayne Parrott che su internet segnala in modo positivo la ricerca partenopea, poi fa esattamente il contrario, inviando una segnalazione-contro all’ateneo (!). Un tipo ben noto, negli ambienti accademici a stelle e strisce, Parrott, etichettato come “serial intervener in academic GMO debates” (“un interventore seriale nei dibattiti sugli Ogm”) e soprattutto membro della ristretta lobby di scienziati (una decina, capeggiati da Kevin Folta, che insegna all’università della Florida) “a libro paga della Monsanto”, il colosso degli Ogm a livello internazionale: più conosciuti come i “Monsanto Mafia Scientists”.
Il secondo è Enrico Bucci, passato dai ranghi del Cnr ad un suo “osservatorio speciale”, l’aostano “Biodigital Valley”: una sorta di 007 per scoprire falsi scientifici, Bucci, considerato un vero oracolo dalla senatrice Cattaneo, che ha scritto la prefazione all’ultima fatica scientifico-letteraria del cacciatore di Einstein taroccati, “Cattivi Scienziati. La frode nella ricerca scientifica”. A quanto pare la commissione d’inchiesta ha chiesto il parere del neo-luminare. Dichiara Bucci a “Moebius – Scienza e Società”: “Sono partito dalle immagini che originariamente erano state identificate dalla professoressa Cattaneo e poi ho esteso l’analisi a tutte le pubblicazioni del gruppo di Infascelli: il risultato è che si nota un consistente numero di manipolazioni, tutte utilizzate negli articoli di ricerca sugli Ogm”. E più nel merito: “tutte le immagini si riferivano a una tecnica particolare impiegata per studiare la presenza di frammenti di Dna o di proteine provenienti da cibo transgenico nei tessuti degli animali che ne sono stati nutriti. Nel lavoro di Infascelli si afferma che alcuni capretti modificano la propria fisiologia in seguito all’assunzione di latte di capre alimentate con Ogm. In estrema sintesi: i transgeni inseriti nel cibo si inseriscono nel tessuto animale”. A quanto pare, i software made in Bucci sono molto gettonati dalle università italiane: un piccolo business.
Un delitto arrivare a quelle conclusioni? Lesa Maestà degli Intoccabili Ogm? Ma allora perchè mai le accuse alle ricerche del gruppo Infascelli riguardano solo ed esclusivamente l’aspetto “formale”, ossia le immagini, la loro scannerizzazione, la loro riproduzione, ossia il versante di possibili difetti tecnici od errori materiali? Intimidire sulla forma, per non esporsi ad un attacco frontale sulla sostanza? Pare proprio di sì, anche leggendo alcune conclusioni della Gran Commissione di MegaEsperti: “in alcune immagini presenti in figure dei succitati articoli – viene sottolineato – sono presenti disomogeneità verosimilmente dovute a manipolazioni che non hanno riguardato l’intera pagina”. Manipolazioni che “potrebbero indicare la volontà di fabbricare un risultato sperimentale non esistente”.
L’equipe di Infascelli ha prodotto una lunga memoria difensiva, spiegando in dettaglio i criteri seguiti ed allegando una perizia redatta da due esperti in computer grafica, dalla quale si evince che “non esiste manipolazione”, “non vi sono sovrapposizioni di immagini”, “le immagini stesse sono originali”. Ma c’è un altro modo – fanno notare i ricercatori – per dissipare ogni dubbio: ripetere gli esperimenti, replicare lo studio. Ne scaturiranno – assicurano – gli stessi risultati. Perchè il gran Giurì non ha ordinato questo e ha invece usato talebanamente la scimitarra, marchiando a fuoco il comportamento di tutti i componenti, una dozzina, del gruppo Infascelli? Incredibile ma vero, la sostanza dello studio non viene attaccata nella sua valenza scientifica: paradossalmente, se lo studio fosse stato pubblicato di solo testo, senza immagini, sarebbe stato tutto ok. Ma ne siamo veramente sicuri? Ecco cosa osserva un ricercatore del Cnr: “Hanno cercato di stroncarli, e per ora ci sono riusciti, stante l’eco mediatica di tutta la vicenda, su circostanze formali. Non avendo il coraggio di attaccare la sostanza. Una sorta di avvertimento, non soltanto agli autori, per i quali è stata messa in campo una vera campagna di delegittimazione scientifica, ma soprattutto per chi avesse mai la sciagurata idea di cimentarsi in altri studi su quegli intoccabili Ogm”.
Ne sanno qualcosa in Francia, ad esempio all’Università di Caen, dove una intera equipe di biologi molecolari, impegnati da anni sul fronte degli Ogm, ha subito pesantissimi attacchi dalla lobby pro Monsanto. “Ma in quel caso – commentano alla Federico II di Napoli – l’Ateneo si è subito schierato compatto in loro difesa. Cosa che invece da noi non è successa”.
DAL MORTO CHE PARLA AI BUSINESS SUL CANCRO
Passiamo agli altri due gialli. Il primo è ambientato alla Seconda Università di Napoli, protagonista il docente associato di Chirurgia Francesco Selvaggi. La Voce ne ha scritto alcune
settimane fa (in basso il link) e si tratta di un clamoroso falso a base di scambio di persona. Ha faticato ben poco, stavolta, la commissione costituita dal rettore della SUN Giuseppe Paolisso (ex preside a Medicina e Chirurgia) a chiarire il bluff, che era stato denunciato dal figlio del paziente deceduto per il morbo di Chron, docente all’Imperial College di Londra. Il quale un bel giorno, sfogliando il prestigioso “International Journal of Surgery Case Reports” ha ritrovato, per filo e per segno, l’odissea di suo padre: solo che stavolta, nella pubblicazione, era vivo e vegeto, grazie al perfetto intervento di mister Selvaggi. Ha denunciato il figlio: “un medico che, forte di quell’articolo che lo induce a credere in un esito positivo, dovesse replicare l’intervento con le stesse modalità, rischierebbe di condannare a morte un altro paziente. Così non si uccide solo la scienza”. Parole pesanti come macigni. Sorge spontanea la domanda: possibile che l’equipe del mago del bisturi made in Sun non abbia prodotto un sol intervento degno di nota? E che addirittura s’intonino fanfare per un clamoroso insuccesso? E lo si esibisca come un trofeo all’estero? Stavolta non si tratta di pixel o di photoshop: ma di vite stroncate e poi – massimo sberleffo – scientificamente taroccate.
Ma c’è un terzo giallo – certo il più grosso e intricato – che viaggia lungo l’asse Milano-Napoli, e coinvolge un importante istituto del Cnr a Napoli e il ben più prestigioso Istituto Europeo di Oncologia targato Veronesi a Milano. La vicenda parte nel 2013 quando un biologo molecolare e ricercatore del Cnr a Napoli denuncia alla procura partenopea pesanti anomalie in alcune ricerche sul cancro. Ecco come ricostruiva la vicenda, ad ottobre 2013, il Corriere della Sera. “C’è un doping informatico che trucca persino gli studi sulle malattie? Una inchiesta delle procure di Milano e Napoli mostra come le immagini destinate a comprovare gli esiti di ricerche sul cancro, pubblicati da primarie riviste scientifiche e utilizzati per rafforzare il curriculum dei ricercatori in concorsi pubblici e per concorrere a finanziamenti erogati dall’Associazione Italiana Ricerche sul Cancro, in alcuni casi siano stati manipolati al computer con uno sconcertante photoshop”. Passate – è il caso di dirlo – ai raggi x otto pubblicazioni prodotte fra il 2001 e il 2012 dall’equipe di Alfredo Fusco, ordinario di patologia generale e direttore a Napoli dell’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale del Cnr, nonché socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei e membro della commissione scientifica consultiva dell’Airc. L’inchiesta è stata avviata da tre pm della procura di Milano (Maurizio Romanelli, Francesco Cajani e Antonio D’Alessio), poi passata per competenza a quella partenopea (l’aggiunto Francesco Greco, oggi responsabile della procura di Napoli Nord, pm Stefania Buda). Pesantissime le ipotesi di reato: falso e truffa, sulla pelle dei povericristi che poi – caso mai sicuri dei “brillanti” risultati scientifici – si affideranno ad equipe che seguiranno quei “miracolosi” protocolli terapeutici. Verbalizza ai pm una ricercatrice del gruppo di Fusco: “mi ha chiesto di modificare la figura aggiungendo quei controlli anche se non siamo riusciti a farli”. E poi: “in pratica se un esperimento riusciva una volta su dieci, io dovevo decidere che andava bene lo stesso e pubblicare l’unica volta che era venuto bene come lo si voleva far venire!”. Tarocco perfetto.
E nasce da un filone di quell’inchiesta il fresco ramo di un’indagine molto più corposa e che coinvolge in pieno i laboratori della gemma nell’impero Veronesi, l’IEO, perquisiti da cima a fondo, un paio di mesi fa, su ordine degli stessi tre pm milanesi, ossia Romanelli, Cajani e D’Alessio. Una decina, a quanto pare, gli indagati, tra ricercatori e docenti universitari, tutti impegnati, al solito, nella pubblicazione su prestigiose riviste scientifiche. E anche stavolta, come per gli Ogm, il tema è bollente: il cancro, intorno al quale – la Voce ne scrive da alcuni decenni – è proliferata una colossale industria sulla pelle dei pazienti e per la gioia di Big Pharma, centri di “ricerca” e cattedratici. Pesanti, anche stavolta, i capi d’accusa: falso in documenti informatici e truffa, sia ai danni dell’Airc che del Ministero per l’Università e la Ricerca, in quanto erogatori di cospicui e generosi (per gli “amici”) fondi pubblici. Obiettivo base dell’inchiesta, stavolta, è proprio il versante economico (del tutto assente, invece, nel primo “giallo” partenopeo): “gli inquirenti – spiegano alla procura meneghina – intendono accertare se l’alterazione dei documenti e degli elaborati scientifici sia finalizzata proprio all’ottenimento di maggiori fondi da Airc e Miur”. L’inchiesta si collega a quella napoletana anche per i metodi di taroccamento informatico utilizzati, e poi perchè si tratta sempre di studi sul cancro. Ma poterebbero esserci ulteriori collegamenti, per ora coperti dal più assoluto segreto istruttorio.
Fino ad oggi, sui media nazionali, il più assordante silenzio…
PER APPROFONDIRE:
FALSI SCIENTIFICI & RICERCHE TAROCCATE ALL’UNIVERSITA’. E UN ARTICOLO “DOPPIO” DI REPUBBICA – 14 marzo 2016
GLI ESPERIMENTI DELLA SENATRICE CATTANEO E I MEGA INTERESSI DI BIG PHARMA – 18 febbraio 2016
MORTI D’AMIANTO ALLA PIRELLI. MA VERONESI E L’AIRC NON SAPEVANO NIENTE? – 9 luglio 2015
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3 pensieri riguardo “FALSI SCIENTIFICI / DAI GIALLI NAPOLETANI ALL’ONCOLOGICO DI VERONESI”
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Interessante, davvero. Oltre a sorvolare su ogni dato oggettivo circa le manipolazioni di immagini che ho documentato a proposito di Infascelli, Lei forse non si è accorto (o volutamente omette di scrivere) che l’appartenente alla “Monsanto Mafia” è lo stesso innominato eroe che ha scoperto e denunciato gli oncologi napoletani, dando origine alle indagini che tanti suoi elogi attirano … che dice, ne vogliamo parlare oppure è troppo vero per essere riportato? Oppure certe manipolazioni di immagini scientifiche vanno bene e altre no?
siamo grati per l’attenzione ad Enrico Bucci. Il quale forse non si è accorto che nel nostro articolo nella lista dei “Monsanto Mafia Scientists” era indicato solo il nome del docente della Georgia University, Wayne Parrott, e non il suo: come è in grado di capire chiunque legga la nostra inchiesta.
Per completezza, a questo punto, e per non far torto a nessuno, ecco di seguito i nomi della “lista completa” degli scienziati stipendiati dal colosso Monsanto e che fanno capo a prestigiose università o centri di ricerca statunitensi: Kevin Folta (University of Florida), Bruce M. Chassy (University of Illinois), David Shaw (Missisipi State University), Alan McHughen (University of California), Calestuous Juma (Harvard University), Roger Beachy (Danforth Center), Ron Herning (Cornell), CS Prakash (Tuskegee University), Nina Fedoroff (Penn State), oltre al già citato Wayne Parrott (University of Georgia). Purtroppo non c’è traccia del professor Bucci.
Il cui nome, invece, è stato da noi riportato proprio in occasione di un nostro precedente articolo sui “falsi oncologici”, e nel quale riferivamo anche del suo ultimo libro, che reca la prestigiosa prefazione della senatrice a vita Elena Cattaneo (vedi link del 14 marzo 2016). Ne abbiamo, dunque, parlato. Se vogliamo tornare sull’argomento delle ricerche taroccate e dei falsi scientifici in genere, siamo ben lieti di farlo. Per documentare sul serio chi fa “fatti” (possibilmente scientifici) e non parole.