LA LEGGE TOSCANA SUL FINE VITA

Si apre finalmente la discussione sulla regolamentazione legislativa in tema di fine vita, sollecitata dalla Corte costituzionale già cinque anni fa (con la sentenza n. 242/2019). La Toscana è stata la prima regione ad approvare una sua legge sul fine vita. Finalmente qualcuno comincia a regolamentare una procedura di suicidio assistito, indicando tempi e modi per accedervi. La procedura è attivabile su specifica richiesta da parte di un paziente consapevole e in possesso dei requisiti elencati dalla legge, la procedura dovrebbe concludersi entro 37 giorni.

Ora l’attenzione è tutta rivolta alla reazione che avrà il governo nazionale, che potrebbe valutare di impugnare la norma di fronte alla Corte costituzionale, proprio la stessa corte che aveva invitato il Parlamento a legiferare sul tema. Il governo, infatti, quando ritiene che una qualunque legge regionale ecceda la sua competenza, può bloccarla e promuovere un’azione di legittimità costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione. Vedremo cosa farà in questo caso. La legge appena approvata stabilisce un preciso percorso da seguire per accedere alla procedura di suicidio medicalmente assistito. Su richiesta di un paziente in possesso dei requisiti richiesti, secondo questa norma, la struttura sanitaria che ha ricevuto la richiesta deve nominare una commissione ad hoc – con competenza sia medica che di tipo etico – che avrà a disposizione un mese per esprimersi sulla congruità dei requisiti e assegnare un medico e il farmaco da utilizzare (si potranno utilizzare allo scopo anche medici volontari e fare ricorso a fondi aggiuntivi disponibili). L’attivazione della procedura di suicidio assistito dovrà essere attivata entro e non oltre una settimana dalla fine dei due passaggi precedenti.  Ciò per restare nell’ambito dei 37 giorni previsti per il soddisfacimento della richiesta del paziente che è stato giudicato idoneo ad accedere al trattamento. In caso contrario la richiesta sarà considerata rifiutata.

Un qualsiasi cittadino in possesso, dei requisiti, potrà ora scegliere se rifiutare le terapie tradizionali o richiedere il ricorso al suicidio assistito previa sedazione profonda.

La bioetica, di fronte a un dramma come quello del fine vita, pone una serie di temi assai complessi e divisivi. Parla infatti di eutanasia, di cure palliative, di accanimento terapeutico, di rifiuto delle cure o di ricorso a specifici trapianti. Tali questioni sono tutte accomunate in una riflessione preliminare sul valore della vita umana. Riflessione che, nel dibattito attuale, ruota prevalentemente intorno alla domanda “… la vita umana è un bene fruibile che l’individuo o la società devono difendere e tutelare ad ogni costo? Oppure vi sono casi (una malattia cronica fortemente invalidante o ad uno stadio terminale, uno stato vegetativo persistente, una consapevole richiesta del paziente) in cui la vita può perdere il suo valore, non avere più senso … fino a essere percepita come indegna di essere vissuta giustificando un intervento per porvi fine”

Di fronte a tale dilemma, in genere, si pone la scelta tra la “sacralità della vita” e la scelta di vivere con “accettabile qualità” la vita che rimane da vivere. Un dilemma lacerante per chiunque si trovi a dover fare tale scelta.

I sostenitori della disponibilità della vita umana partono dalla distinzione tra vita biologica vita biografica. Identificando la prima con la vita materiale e la seconda con quella che vive una persona quando è consapevole del suo valore e quindi quando è in grado di scegliere anche come viverla e cosa farne, fino al punto di rinunziarvi quando questa non ha più il suo valore atteso.

Se c’è qualcosa da difendere sempre questa è, innanzitutto, la possibilità concreta di continuare ad esercitare alcune peculiari attività umane, come usare l’intelligenza o vivere in libertà la propria vita, inclusa la capacità di amare.

La vita, nella sua dimensione fisica, non sarebbe più in questo caso il bene più prezioso da perseguire, ma la cosa più importante diventerebbe essere in grado di perseguire le attività citate.

Si apre a questo punto una riflessione che potremmo definire del “rischio del pendio scivoloso”. La storia ci ha mostrato numerosi esempi del rischio che incombe. Quando si inizia a discriminare tra una vita degna di essere vissuta e una che non lo è più, si può anche aprire alla pericolosa possibilità di abusi di ogni tipo. E se tali discriminazioni dovessero anche essere legalizzate, si potrebbe arrivare a sterminare interi popoli o intere categorie di persone.

Non ci resta che circoscrivere la questione con un’attenta legislazione, lasciando alla sensibilità individuale la scelta definitiva, che è sempre difficile e dolorosa.

L’individuo rimane così, con la sua personale etica, l’unico soggetto legittimato a definirne i confini.

 


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