A fronte del reiterato refrain di Giorgia Meloni “non sono ricattabile”, è più che lecito chiedere alla Presidente del Consiglio di comunicare al Parlamento (e ai cittadini) chi e per cosa la ricatterebbe. Ma forse in pochi ricorderanno che quella frase fu pronunziata la prima volta nel 2022 ed era riferita a Silvio Berlusconi a proposito del caso Giambruno, compagno della Meloni e dipendente Mediaset.
Il giornalista era appena stato messo alla porta con un messaggio sui social quando Giorgia Meloni pronunziò, per la prima volta, quell’ormai celebre frase identitaria. Si era allora nel pieno di una furibonda trattativa nel centrodestra per la formazione di un nuovo governo e Silvio Berlusconi era furioso al solo pensiero di diventare, per la prima volta, un semplice comprimario in un governo destinato ad essere dominato dalla destra meloniana. Il tutto mentre Ignazio la Russa era già stato eletto alla presidenza del Senato, senza i voti di Forza Italia. Le telecamere avevano immortalato sul banco di Berlusconi un biglietto, in cui il Cavaliere definiva Giorgia Meloni “supponente, prepotente, arrogante e offensiva” insomma una che “non ha disponibilità ai cambiamenti … con cui non si può andare d’accordo”. Era ormai guerra aperta.
Ma, quando i sondaggi evidenziarono che quella frase si era rivelata molto efficace, l’attuale premier ne fece il suo reiterato refrain vincente, ossessivamente ripetuto ogni qualvolta se ne presentò l’occasione. Troppe volte, anche quando appariva chiaramente a sproposito. Proprio come in quest’ultimo caso, in cui la premier ha tentato per l’ennesima volta di scaricare le sue responsabilità sui “soliti partiti di sinistra”, anzi direttamente sul suo leader storico Romano Prodi. Ha infatti annunciato, in una irrituale diretta social, la responsabilità di Prodi nell’aver ispirato l’avvocato Li Gotti, difensore definito “di sinistra” ma in realtà con una lunga storia da ex segretario provinciale del MSI prima e di DN poi, passato infine al partito di Antonio Di Pietro “Italia dei Valori”. Secondo la premier era stato lo stesso Prodi a suggerire la denuncia contro la Meloni e i suoi ministri nel caso Almasri, il generale egiziano oggetto del “rimpatrio più veloce di sempre”. Questi noto torturatore, stupratore era il violento custode di un carcere per migranti. La scarcerazione del generale Almasri sarebbe stata la conseguenza, a dire del ministro Nordio, del mancato recapito alle nostre autorità di una nota del Tribunale Internazionale che avrebbe dovuto dettagliare le motivazioni giuridiche alle condanne comminate al torturatore egiziano. Peccato che quella nota era invece giunta puntualmente, anche se redatta in inglese, come si conviene ad un importante tribunale internazionale. Il ministro ha dichiarato che non aveva potuto prenderne visione in quanto non aveva a disposizione un interprete in grado di tradurre la missiva. Puerile scusa pronunziata per giustificare il suo provvedimento preso in fretta e furia. Questi i fatti di cui al momento si possono avere notizie. Se si considera la palese reticenza del Governo a discutere di fronte al Parlamento l’intera questione e le procedure adottate. Il tutto ci sembra francamente inaccettabile. Non si può accettare si utilizzi una improbabile ignoranza linguistica del ministro, soprattutto pensando che questi aveva esercitato per molti anni il difficile mestiere del magistrato prima di essere chiamato al governo.
Meloni aveva allora risposto alle offese di Berlusconi con quel “non sono ricattabile”, espressione che ha fatto ricordare due precedenti da non sottovalutare:
- Il primo attiene alla storia di Gianfranco Fini, allora capo indiscusso di AN che, entrato in conflitto con Berlusconi, aveva subìto una umiliante e stroncatoria gogna sul caso dell’inchiesta della casa di Montecarlo da parte prima del programma televisivo “Striscia la notizia” e poi del quotidiano “Il Giornale”.
- Il secondo è stato quello del caso di Andrea Giambruno, che era in video da giornalista quasi sconosciuto (persino agli addetti ai lavori). Era l’uomo di cui Berlusconi aveva pubblicamente detto “… è un mio dipendente”, pensando forse di poterlo utilizzare come una clava contro l’emergente rivale interna.
I sondaggi apprezzarono le parole di autonomia della premier. Il consenso nei sondaggi di gradimento da allora continuerà a crescere, ma le strade tra la Meloni e il gaffeur Giambruno si separarono definitivamente.
Per la seconda volta è capitato che la storia di Giorgia Meloni si incrocia con quella di Gianfranco Fini, ma lei si comporta diversamente e non cadde nel trappolone che le era stato organizzato. Fini non ha allontanato la Tulliani lei, più furba e attenta, ha immediatamente licenziato Giambruno.
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