Pace vicina e poi sempre più lontana per la martoriata Ucraina, in attesa che Donald Trump, il 20 gennaio, sbarchi alla Casa Bianca. A gettare ettolitri di benzina sul fuoco sono, come al solito, i verti UE & NATO. Sentiamo le ultime ‘sparate’ – è proprio il caso di dire – di lady Ursula von der Leyen, la sempre più bellicosa presidente della Commissione UE, a sua volta alle prese con la rogna giudiziaria da novanta del ‘Pfizergate’ davanti al tribunale di Liegi.
Ecco le fresche bordate della tedesca (rammentiamolo, ex ministro della Difesa nel governo teutonico): “Il 2025 sarà l’anno decisivo”, riflette consultando la palla di vetro.
Poi, come un fiume in piena: “Vladimir Putin sta raddoppiando gli sforzi per ottenere guadagni territoriali. Rafforzare in modo vigoroso l’Ucraina, in questo momento, è per noi un imperativo sia strategico che morale: il mondo sta guardano a come continueremo nel nostro sostegno a Kiev. E, proprio come la coraggiosa resistenza ucraina, dovremo essere più che risoluti”.
Quindi la volata finale e l’appello a tutte le armi: “Dobbiamo assicurarci che l’Ucraina prevalga nel conflitto contro la Russia e dobbiamo quindi metterla in una assoluta posizione di forza. L’Europa ha finora fornito a Kiev 130 miliardi di euro in armamenti di tutti i tipi. Occorre fare uno sforzo finale, andare oltre e appoggiarla fino alla vittoria”.
Un vero inno, fino alla pelle dell’ultimo ucraino, come del resto ha sempre invocato il presidente-pupazzo, Volodymyr Zelensky, ormai ‘bipolare’: un giorno vuol cominciare a ‘trattare’ con Mosca, il giorno dopo chiede più armi all’Occidente per sconfiggere le armate di Putin.
Fa eco alla sempre più invasata lady Ursula il neo Segretario Generale della NATO, Mark Rutte. Il quale giorni fa ha incontrato a Bruxelles proprio il burattino di Kiev, al quale ha promesso un aiuto sempre più massiccio da parte dei paesi dell’Alleanza Atlantica.
Ha sottolineato, gonfiando il petto, l’ex premier olandese: “La cosa più importante da fare, ora, è assicurarsi che il presidente Zelensky e la sua squadra siano nella migliore condizione possibile quando un giorno decideranno di iniziare eventuali colloqui di pace”. Pieno di incrollabili certezze, l’orange, che sottolinea “quando un giorno” e solo “eventuali” trattative tra Kiev e Mosca.
Ha tenuto a precisare il luogotenente degli interessi Usa in Europa: “Si tratta adesso di fornire a Kiev un’assistenza completa, totale, ben compresi sistemi di difesa e di offesa e ogni altro sistema d’arma”.
Gli addetti ai lavori, comunque, hanno subito rimarcato come Rutte sia stato molto scettico a proposito di una qualche data per un possibile avvio dei negoziati.
Da Rutte ai ruttini il passo non è poi così lungo, anche se arriva addirittura dalla Lapponia.
E’ la voce rauca di una infaticabile, giramondo Meloni, la nostra Giorgia’ diventata d’un baleno l’ago europeo strategico per tutte le geopolitiche possibili nel dettar la via del cammino: “Dobbiamo fornire tutto l’aiuto possibile a Kiev per la loro e la nostra sicurezza, e sconfiggere quel criminale di Putin”.
Così parlò, dalle nevi, il Vate.
IL SABOTAGGIO DELLE PRIME TRATTATIVE
Farneticazioni e parole al vento a parte, comunque più che mai pericolose con i ‘venti’ – appunto – che tirano, passiamo a cosa più serie. Ossia ad alcune ricostruzioni ‘storiche’, risalenti alla primavera 2022, quando era da poche settimane iniziato il conflitto in Ucraina e la prima trattativa possibile, ad Ankara, venne sabotata per una precisa ‘non-volontà’ occidentale, USA e Regno Unito in pole position.
Lo rammenta, con grande amarezza, l’ex ambasciatore svizzero in Turchia, Jean–Daniel Ruch, che in un articolato post, ricostruisce quei giorni bollenti. I negoziati subito promossi dal presidente Recep Erdogan, che sfociarono addirittura in una bozza di accordo sottoscritta da Putin e Zelensky, vennero sabotati dal governo Usa e da quello britannico, uniti nello sforzo di “indebolire la Russia”, come testualmente scrive, sottolineando soprattutto il ruolo svolto dall’allora primo ministro conservatore britannico, Boris Johnson. Così ricostruisce i fatti: “A sei settimane dall’inizio della guerra, nei colloqui di Istanbul, le parti erano molto vicine ad un accordo. L’Ucraina era disponibile a non entrare nella NATO, mantenendo la sua neutralità, in cambio della conservazione di buona parte del territorio, ad eccezione della Crimea”.
“Ma gli americani e i britannici hanno tolto la spina ai negoziati”, ritendendo che fosse “troppo presto per concludere la guerra”.
“Una decisione totalmente immorale”, commenta Ruch che così prosegue: “Era chiaro che la continuazione del conflitto avrebbe portato ad una inevitabile escalation, con un numero di morti che sarebbe salito a molte centinaia di migliaia”.
Una delle tante ‘controprove’? La missione ‘speciale’ a Kiev (quindi assolutamente non programmata) di Boris Johnson, che incontrò per alcune ore Zelensky consigliandogli caldamente di non scendere ad alcun compromesso con Putin. Musica per le orecchie del presidente-burattino, che non aspettava altro per continuare nel conflitto.
Ma non c’è solo la voce dell’ex ambasciatore svizzero ad Ankara a puntare l’indice e indicare i responsabili di quel vergognoso sabotaggio.
In prima fila, tra gli altri, addirittura l’ex primo ministro israeliano dell’epoca, Naftali Bennett, che oggi sottolinea, in un’intervista sul suo canale YouTube: “Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno bloccato anche i miei tentativi di mediazione nella prima fase del conflitto, non solo la trattativa di Ankara”.
L’ex Segretario Generale Aggiunto delle Nazioni Unite, Michael von der Schulenberg, dal canto suo conferma: “Un accordo era imminente, i colloqui sono falliti per motivi geopolitici dei paesi occidentali”.
Il docente di Scienze politiche alla ‘Fraie Univesitat’ di Berlino, Hajo Funket, afferma: “La pressione occidentale ha avuto un ruolo decisivo nell’interruzione di quei negoziati”.
Altra conferma arriva dall’ex comandante delle forze armate tedesche e della stessa NATO, Harald Kujat: “L’abbandono di quelle trattative ha rappresentato un disastro per la sicurezza europea e un tradimento verso l’Ucraina”. Mentre solo oggi la ‘Giorgia’ nazionale è preoccupata per la sicurezza europea…
Non è finita qui. Perché adesso arriva anche la testimonianza di un ex fedelissimo di Zelensky, ossia Davyd Arakhamija: “Dopo il nostro ritorno da Istanbul, il primo ministro inglese Boris Johnson visitò Kiev e ci disse che non avremmo dovuto firmare alcun patto con i russi e invece continuare a combattere. Durante la visita Johnson affermò, ‘Putin è un criminale di guerra e va messo sotto pressione’”.
Il ‘Foreign Affairs’ ha addirittura visionato la bozza di quell’accordo sottoscritta ad Istanbul. In essa si prevedeva “una Ucraina neutrale e non nucleare, impegnata a rinunciare ad alleanze militari e alla presenza di basi e truppe straniere sul suo territorio”. Tra i garanti della sicurezza ucraina erano compresi i paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia. I paesi ‘garanti’ avrebbero potuto offrire assistenza in caso d’attacco contro l’Ucraina, imponendo ad esempio una ‘no fly zone’ e/o intervenendo direttamente sul terreno. Inoltre la stessa bozza di accordo, mentre escludeva l’ingresso nellaNATO, non escludeva affatto, anzi contemplava un sostegno diplomatico per favorire l’ingresso di Kiev nell’Unione Europea.
Mesi fa, per la precisione ad aprile scorso, si è parlato e scritto su quella trattativa. Poi naufragata, o meglio, come detto, sabotata da USA e Regno Unito in pole position, quindi da tutti gli alleati & vassalli europei radunati sotto il protettivo ombrello NATO.
Rammentiamo, in particolare, le precise ricostruzioni effettuate da due storici e analisti politici, Samuel Charap e Sergey Radcenko, pubblicate dalla sempre preziosa e documentata rivista Usa di geopolitica ‘Foreign Affairs’. Stavolta viene minimizzato il ruolo giocato dall’ex primo ministro britannico Johnson, ma di nuovo sottolineata la precisa volontà di Putin per arrivare, prima dell’incontro decisivo con Zelensky, a delle “concessioni importanti”.
Per meglio ragguagliarvi su quella ricostruzione, vi proponiamo la lettura di un minuzioso e dettagliato pezzo pubblicato dall’Avvenire – certo non una testata bolscevica – il 16 aprile 2024, titolato Guerra in Ucraina – Putin era pronto a concessioni. Perché fallì il negoziato
Avendo un po’ di tempo per leggere in questi giorni natalizi, comunque, vi riproponiamo un reportage messo in rete dalla ‘Voce’ a poche ore dall’inizio del conflitto, in cui vengono ricostruite le ‘cause storiche’, certo non di poco conto, della guerra: ma, ovviamente, oscurate dai ‘mainstream’ e dalla totale disinformazione dei media occidentali. Dal tradimento al sabotaggio, come vedrete, il passo è moto breve.
Ecco quindi il pezzo del 23 febbraio 2023,
LO SCOOP DI “DER SPIEGEL” / I PATTI 1991 CON LA RUSSIA TRADITI DAGLI AMERICANI. OGGI PUTIN HA RAGIONE…
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