Tempesta su Saipem, il colosso per l’impiantistica petrolifera. Crolla il titolo in Borsa, con un valore azionario che in breve passa da 20 a 1, e arriva la condanna definitiva per le super tangenti in Nigeria, 600 mila euro di multa e una confisca da ben 24 milioni di euro.
Partiamo dall’ultima legnata, la fresca sentenza pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione, che conferma i provvedimenti di primo grado e d’appello. Sentenza storica, perchè si tratta di una condanna esemplare per “corruzione internazionale”. Ecco i fatti, che la Voce ha già illustrato e denunciato, per il semplice diritto-dovere d’informazione, visto che sul caso è calato il più totale silenzio mediatico: perchè, è ovvio, i padroni del vapore non vanno mai disturbati, soprattutto se sono big del parastato, come è il caso di Saipem.
Si tratta di maxi appalti per la realizzazione di impianti energetici (petroliferi e per la liquefazione del gas) in Nigeria, nell’arco temporale che va dal 1995 al 2004, un bel decennio. Scende in campo un consorzio internazionale, capitanato dal colosso Usa Halliburton, a quell’epoca guidato da Dick Cheney, futuro vice di George Bush alla Casa Bianca. Fanno parte della sigla consortile, TSKJ, oltre alla star yankee, anche la nipponica JGC, la francese Technip e la nostra Snamprogetti Netherlands Bv, che nel 2008 si fonderà con Saipem.
Gli inquirenti milanesi impegnati a ricostruire i passaggi delle tangenti miliardarie, versate dai vertice delle imprese a funzionari e pubblici ufficiali nigeriani per orientare al meglio le scelte d’appalti, dopo un certosino lavoro di ricerca riusciranno a trovare il bandolo della matassa: le “spese culturale”, molto pingui per una situazione del genere, che invece camuffano comodamente il passaggio delle maxi-mazzette. La “quota” Snamprogetti (poi, appunto, Saipem) è pari a 24 milioni di euro, sul totale tangentizio da 182 milioni corrisposto dal consorzio. Pari alla odierna condanna per Saipem, ratificata in via definitiva dalla Cassazione, ad una confisca da 24 milioni di euro, cui si aggiunge una multa da 600 mila euro.
Si tratta in qualche modo di un “saldo” dei conti con la giustizia, visto che dalle casse di Saipem (ossia Eni, fino a qualche settimana fa unico azionista di riferimento) erano già usciti fiumi di dollari, dal momento che il “consorzio di corruttori” era stato condannato dalla giustizia nigeriana e anche da quella americana: 30 milioni di dollari nel primo caso, 270 nel secondo. Le botte non finiscono qui, perchè il Dipartimento di Stato Usa è riuscito ad ottenere un altro maxi risarcimento, pari alla bellezza di 400 milioni di dollari, dopo le confessioni di Albert Jackson Stanley, il super vertice di Halliburton. Per la serie: gli americani, via consorzio, corrompono (con la Halliburton made in Cheney) e lo stesso Dipartimento, con una star Cheney a bordo, incassa: meraviglie made in Usa!
Piange il Corsera, da mesi impegnato a sollevare le sorti di un titolo in picchiata. “Il primo caso al mondo di ‘corruzione internazionale’ che arrivi a una sentenza definitiva di condanna dopo tre gradi di giudizio sino a una Corte suprema, anziché essere sbrigato da una qualche forma di patteggiamento nelle indagini preliminari: proprio l’Italia, sempre negletta nella gassose classifiche internazionali della corruzione, segna questo (a suo modo) primato ora che la Cassazione ha confermato la condanna di Saipem”. Incredibile, ma vero.
Le battaglie sul fronte estero di Saipem comunque non sono finite, perché la “società di bandiera” energetica è sotto i riflettori degli inquirenti nazionali e internazionali anche per altre due vicende di corruzione: per le mazzette algerine e per la tangente del secolo (in combutta con Petrobras) in Brasile.
Ma lo sanno, gli italiani, che pagheranno di tasca loro per le condanne della discola Saipem? Che saremo noi cittadini a sborsare i quattrini per le loro mazzette milionarie? E lo sanno che il crollo in Borsa del titolo dopo l’aumento di capitale andato in flop peserà come un enorme macigno sui nostri già comatosi conti pubblici? Sono informati i risparmiatori che a “pagare” tante acrobazie finanziarie sarà la appena entrata – nell’azionariato Saipem – Cassa Depositi e Prestiti, la nuova Iri riveduta e corretta, ma soprattutto totalmente renzizzata?
Non siamo sadici, ma qualche piccolo calcolo sul fogliettino della spesa va pur fatto: nel momento più nero per il crollo del greggio, il vertice di Saipem Stefano Cao lancia lo storico aumento di capitale: un boomerang che coglie in pieno viso Saipem, la neo azionista CDP e gli azionisti di Cdp, cioè gli italiani. Osserva un analista di piazza Affari: “Un crollo verticale, che in due mesi fa passare il valore del titolo da 20 euro ad appena 1, in soldoni. Il cordone sanitario di banche, allestito ad hoc, trasecola. Ora il titolo dalle sigle di rating è considerato spazzatura o se preferite salsiccia, junk oppure rubbish. Il piano industriale varato alla grande mesi fa è diventato carta straccia, nonostante tutti i pompaggi del caso, anche dei media. Ci vorrà presto un’altra operazione sul capitale”.
Ma chi sottoscriverà mai?”. Visto che il mercato è avvisato, potrà mai infilarsi in un tunnel senza sbocco la già “generosa” Cassa Depositi e Prestiti, anche con uno speedy Renzi nel motore?
In apertura il numero uno Saipem, Stefano Cao
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