L’IDEA DI PROGRESSO È MORTA

Il concetto di progresso ormai non esiste più, e questo vale per tutti a destra ed a sinistra. Una volta era la sinistra a considerarsi portatrice dell’aspirazione al futuro e l’unica capace di riconosceva il valore del mito del progresso, erano idee condivise da tutti i sinceri democratici. Ma questo mito sembra scomparso, soprattutto dopo alcune straripanti vittorie, negli USA di Donald Trump e in Europa di alcune destre più estreme. In Romania, ultima cronologicamente, stravince Calin Georgescu, il candidato populista della destra più radicale che vince a mani basse al primo turno le elezioni presidenziali. Trump, il più noto populista del mondo, ha imprevedibilmente vinto contro ogni previsione alleandosi con la destra più radicale. Il tycoon americano ha sconfitto Kamala Harris, simbolo di rinnovamento culturale e sociale. Lei, giovane donna di colore, democratica e portatrice dei valori dell’integrazione, delle politiche di solidarietà e fautrice di riforme sociali.

Cresce nei sondaggi, in Germania, il partito di estrema destra AfD e diventa sempre più importante la formazione populista di Sahra Wagenknecht. Potremmo continuare ancora con la lista dei movimenti populisti che mietono successi in altre parti del mondo, mentre osservatori, commentatori e importanti opinionisti, discutono e dibattono su colpe ed errori delle sinistre nei vari paesi. Ma sono discussioni inutili e poco significative perché forse più che di colpe bisognerebbe riflettere sul cambiamento degli orientamenti di massa degli elettori nelle grandi democrazie occidentali. Sarà a causa di una certa propaganda che ha inculcato negli elettori una diffusa paura o a causa della crisi economica che ha instillato nella gente comune l’ancestrale paura della guerra, della fame o dello spettro di una povertà incombente.

Il sociologo e ricercatore universitario Zygmunt Bauman, in Gran Bretagna, è un docente di storia del movimento laburista. Alla domanda sui motivi per cui la sinistra è in crisi ha risposto “… perché non esistono più i modi di vita della classe operaia”. Intende dire che il fatto che dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta (forse Ottanta), esistevano città-fabbrica come Liverpool e Manchester o come Milano e Torino, costituite prevalentemente da quartieri abitati da persone che lavoravano nelle grandi industrie. Erano quelli uomini e donne che si conoscevano fra di loro, erano vicini di casa, e i loro figli andavano nelle stesse scuole. Erano persone che condividevano sogni, vittorie, sconfitte. La sinistra, continua Bauman, nasceva intorno al loro vissuto. Le idee, di conseguenza, erano funzionali a quegli stessi vissuti. Dal momento che tutto questo non esiste più, o sopravvive in modalità residuale, è conseguentemente diventato più difficile parlare di sinistra.

Alla stessa domanda, la grande filosofa ungherese Agnes Heller risponde, da filosofa qual è, che la sinistra è in crisi perché, non esprime più una narrazione attraente. E non intende parlare di un ipotetico “mercato delle storie”, ma di una cosa più semplice. Dice che non viviamo più in una società di classe, ma in una società di massa. E la massa è fatta da uomini e donne soli. E allora, occorre utilizzare argomenti forti, nuovi, interessanti e plausibili, per convincere quelle persone del valore delle democrazie, per spiegare loro che rispettare i diritti umani è sempre un valore positivo e che le frontiere sono fatte per dialogare e unire, non per chiudersi nell’ostilità verso tutto quello che sembra diverso. Da questa drammatica condizione di solitudine si esce solo se si parte da una narrazione che parla della cura del mondo e della necessità di continuare a credere di avere un futuro.

Aggiungiamo a tutto questo che i social sono diventati formidabili moltiplicatori di solitudine. Ciascuno è solo davanti al suo device o computer, giudica ed emette sentenze, esprime improbabili opinioni da una tastiera con un semplice clic, un facile commento, senza una comunanza di corpi e di vissuti, anzi con l’esclusione di tutto ciò e quindi con l’esclusione della vita vera. Il mondo, quello fuori, con le sue contraddizioni e antinomie insanabili è altrove.

Resta la necessità di spiegare il mondo … nonostante tutto. Dargli un senso parlando dell’oggi e della speranza del domani, dei corpi e delle loro vite, lasciandoci alle spalle il vecchio vocabolario del Novecento e i fantasmi di quel mondo che fu.

Consapevoli che per fare questo non esistono più scorciatoie.

 


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