Per capire il problema della violenza degli uomini e della crudeltà frequentemente associata, niente è più esemplificativo del loro comportamento nei confronti degli altri animali. Ma soprattutto ciò che è emblematico, non è il comportamento di coloro che si comportano con crudeltà, ma quello di tutti gli altri, che ne sono spettatori.
Perché la sofferenza degli animali suscita così poche reazioni? Perché la violenza e la crudeltà sono prima di tutto biologiche, nel senso che tutti gli esseri viventi, quindi anche gli uomini, aggrediscono la “diversità”, perché si difendono da essa. Perfino le cellule, gli animali unicellulari, i globuli bianchi del sangue, aggrediscono e distruggono il “non self”, per mantenere l’omeostasi, per nutrirsi, per mantenere la salute dell’organismo a cui appartengono.
Dunque l’aggressione, o la fuga dalla diversità, cioè la violenza verso la diversità, sono biologici; quasi una reazione immunitaria, anche quando si tratta di comportamenti sociali. Ancora oggi per eccitare alla violenza un individuo, o una folla di individui, basta dire: “Lui non è come noi, è diverso!”. Su questa base biologica si innesta poi tutto l’aspetto culturale, elaborato nell’evoluzione della società: la diversità di colore della pelle, di sesso, di religione, ma anche di semplice appartenenza ad un altro club calcistico, viene trattata come le cellule trattano ciò che è immunologicamente diverso da loro.
La massima diversità viene, però, considerata l’appartenenza ad una specie diversa dall’uomo. La violenza contro la diversità viene razionalizzata, o almeno si è tentato di razionalizzarla, con la tradizione (si è sempre fatto così), oppure con la religione (il tale libro sacro dice così), oppure con l’utilitarismo (uccidere lupi e orsi è necessario, mangiare i vitelli è necessario per la nostra difesa e la nostra salute). I tentativi di razionalizzazione per giustificare i comportamenti violenti, cioè l’applicazione del principio del più forte contro gli animali, ma poi anche contro gli uomini, sono spesso grotteschi e, talora, finemente umoristici; per esempio quando si usa l’argomentazione, davvero molto fondata, che gli altri animali non avrebbero l’anima. Tuttavia, queste argomentazioni ridicole vengono accettate da tutti, perché poggiano su quella base biologica di cui ho parlato. La genetica è la base, la cultura sviluppatasi in molte migliaia di anni è ciò che ha rafforzato la genetica e reso gli uomini, prima solo violenti, veramente crudeli. Peggio ancora: gli uomini hanno teorizzato, negli ultimi millenni, che questi comportamenti sono etici, dunque lodevoli. Questo è avvenuto, sia per la morale laica, salvo poche eccezioni (Pitagora, Plutarco, Leonardo, Gandhi) sia per la morale religiosa, che ha dichiarato l’uomo diverso e superiore a tutti gli altri viventi.
Dunque, stando così le cose, la crudeltà verso i “diversi” è comunissima, accettata, così che non ci sono reazioni nella grande maggioranza degli uomini, se non rare voci isolate, che si oppongono a questa “etica della crudeltà”, affermatasi ormai da migliaia di anni.
A tutto questo si sono aggiunte le scoperte scientifiche, che hanno ancor più convinto l’uomo di essere superiore agli altri animali, mentre molte religioni hanno dichiarato incolmabile questo fossato, che ci separa dagli altri animali. Queste concezioni hanno ignorato e ignorano totalmente l’aspetto evoluzionistico, sia degli uomini che degli altri animali e addirittura ignorano l’evoluzione del pensiero. Secondo queste concezioni religiose nulla potrebbe cambiare da qui all’eternità, mentre l’esperienza ci insegna che tutto cambia continuamente, che tutto è cambiato da sempre, anche se gli effetti si vedono solo a distanza di tempo dalla mutazione. Questo è dunque un vero e proprio errore scientifico, che gli uomini correggeranno forse in migliaia di anni, se le cose andranno come sono andate finora, cioè con totale illogicità. Infatti, la semplice ammissione di quanto ho appena dichiarato comporterebbe, per molte religioni, che esse non sono depositarie di verità assolute; dunque, queste religioni non possono accettare un concetto biologico anche se evidentissimo. Nietzsche, giustamente, parla di “volontà di potenza dell’uomo”. In realtà, anche questo è un concetto fondamentalmente biologico che fa comprendere una delle cause della crudeltà. Infatti la crudeltà contro gli altri animali riafferma il diritto dell’uomo a comportarsi in questo modo, dunque lo rassicura, perché riafferma il principio di diversità e di liceità della crudeltà sul “diverso”.
Il piacere che molti uomini trovano nella crudeltà verso gli animali, ma anche verso gli uomini, è spiegato dal fatto che questa crudeltà riafferma il loro potere, anche se piccolissimo e meschino, ma che affonda le sue radici nella genetica e nel cambiamento che la genetica stessa provocò, alcuni milioni di anni fa, nella base neurologica dei preominidi. La base neurologica cambiò ed i preominidi da prede diventarono predatori.
La fondamentale differenza fra la base neurologica aggressiva degli uomini, rispetto a quella di quasi tutti gli altri animali, è nel fatto che quest’ultima ha una limitazione naturale. Gli animali mangiano ed uccidono per fame, o per paura. L’uomo uccide e fa soffrire, senza fame e senza valide motivazioni; anzi, talora, contro il suo interesse. Tutto questo rende evidente che il comportamento crudele dell’uomo ha delle basi ancestrali: si tratta di un comportamento fossile, che è stato prima difensivo, poi offensivo, ma comunque senza importanza per l’equilibrio globale dei viventi, per milioni di anni. Oggi, invece, ha perduto ogni ragion d’essere, ma è divenuto anche dannoso per l’equilibrio globale delle specie viventi (e non solo di queste) ed è, con ogni evidenza, gravemente immorale, perché la crudeltà non può essere etica.
Oggi intere specie viventi vengono cancellate, riducendo la variabilità genetica e conseguentemente la disponibilità di acqua e cibo. Addirittura viene alterato il clima. Si tratta dunque di un comportamento che viene normalmente attuato oggi, nel 2000 d.C., (ma che è una manifestazione di immoralità e di ignoranza), risalente alla più lontana preistoria umana.
Mi accorgo di essere stato troppo serioso nell’esporre il problema.
Forse sarebbe stato meglio spiegare la crudeltà con un racconto del protagonista di: “The great Mississipi fire”. Gene Hackman, racconta: «Mio padre era un povero agricoltore dell’Alabama. Un suo vicino era un negro. Un giorno il negro comprò un mulo.
Alcuni vicini cominciarono a dire a mio padre, il quale ne soffriva, che avevano visto il negro lavorare con il suo mulo… ed altre cose del genere. Un giorno il mulo fu trovato morto avvelenato. Il negro abbandonò il paese. Quando passammo di fronte alla casa del negro, mio padre mi guardò e vide che io avevo capito. Allora mio padre mi disse: “Figliolo, se non sei migliore di un negro, di che sei migliore?». Mio padre – conclude Hackman – credeva che il suo nemico fosse il negro, invece il suo nemico era la sua ignoranza e la sua stupidità».
Anch’io concludo allo stesso modo: gli uomini crudeli con gli animali credono che i loro nemici siano gli animali stessi e vogliono affermare la loro diversità, superiorità, potere, rispetto della tradizione e degli ordini dettati dalle loro religioni. Oppure credono che faccia bene alla salute mangiare carne. Invece, tenendo questo comportamento, rispettano solo una regola fossile scritta nel loro DNA, e dimostrano che il loro nemico non sono gli altri animali, ma la loro ignoranza.
* Si usa la parola “negro”, non con intenti offensivi, ma per rispettare il racconto del film.
Bruno Fedi è fondatore del Movimento Antispecista
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