Festa, sì. Senza esagerare

La scelta di andare controcorrente: scomodo è scomodo, non inutile. È faticoso e probabilmente impopolare, richiede coraggio e anticonformismo. Da Bologna a Perugia, a cento e più all’ora, l’auto targata Pd sfreccia veloce per congiungere non solo virtualmente le due città in festa per il 2 a 0 della delicata tenzone politica Schlein-Meloni, sinistra-destra. Esultanza, euforia, applausi, brindisi e perché no ‘Bella ciao’, abbracci, dita che mimano i cuoricini, volti sorridenti, “grazie a te, grazie a noi, grazie a voi”. Tutto giusto, meritato. Visibile un lungo, profondo respiro liberatorio. È la fine di un incubo, del sei in condotta sulla pagella della sinistra per scarso rendimento, culminato con il default del voto che nonostante i guai giudiziari di Toti ha riconsegnato la Liguria alla destra? È ottimismo della ragione sull’onda di questo uno-due rifilato a Fratelli d’Italia? Sì, ma cum judicio. Scorriamo la cartina dello Stivale, dalle Alpi all’Etna, contiamo su le regioni governate dalla destra e dalla sinistra. La destra vince con l’altisonante punteggio di 16 a 4. In dettaglio, per Meloni-Salvini-Tajani: Abruzzo, Basilicata, Calabria. Friuli, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sicilia, Trentino, Valle d’Aosta, Veneto. Per Schlein, Fratoianni, Conte: Toscana, Campania, Puglia, Sardegna, Emilia-Romagna, Umbria.  Ha vinto Schlein, il campo largo, il campo stretto? Alle prossime tornate elettorali, quando scenderanno in campo Campania, Puglia, Marche, Veneto, Val d’Aosta, avranno la meglio il Pd e il suo arcipelago di alleati? L’analisi a caldo del voto anti Meloni in Emilia e Umbria racconta anche la distonia di numeri sorprendenti che rifulgono nella casella Pd e sbiancano per delusione nella striscia riservata a Conte. Emilia, Dem 42,95% 5Stelle 3,55%, In Umbria, Pd 30,46%, 5Stelle 4,73%. Non suona strano l’urrà della segretaria dem per il “Successo della coesione, per la vittoria della squadra?”

Chi danneggia l’astensionismo elettorale al 50%?? Detto d’istinto, il fanatismo rabbioso, famelico, della destra, non è l’imputato numero uno del processo per la fuga dalle urne. Lo è il disamorato popolo della sinistra, orfana del partito propositivo che fu, del lavoro casa per casa, spinto a ‘lottare’ dall’elaborazione di progetti concreti, di operatività, solidale con i fragili, gli indifesi, l’energia politico-sindacale della classe operaia. L’ibrido parapolitico della sinistra sbilanciata, simil centrista per motivi di pacifica convivenza con le new entry di moderati privati della casa madre, ha il suo peggio, recuperabile, nel baratro di dove prova e venir fuori, a sbrogliare il groviglio di errori e omissioni dei 5Stelle a guida dell’ambizioso Conte, con il suo sterile incedere sul sentiero dell’ambiguità, dell’improduttivo bivio autarchia del Movimento/campo ‘largo’.  Per questo test enigmistico per esperti, di ardua soluzione, pari ai rebus arzigogolati, che pubblica nella penultima pagina la ‘Settimana, prima per diffusione’, il tempo per lavorarci è quasi esaurito. Sì, è fantapolitica immaginare una conclusione ‘cruenta’ delle sciabolate Grillo-Conte, che assecondi il detto “tra i due litiganti, il terzo gode”, ovvero l’ipotesi di un alter ego in sintonia con i dem qual è Roberto Fico, ma ancora una volta “sperare non costa niente” e consola il misero 20 per cento racimolato da Fratelli d’Italia in Umbria.


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