Da Alex Britti a Vladimir Putin.
Da Sergio Mattarella alla dinasty che fa capo al numero due delle nostre istituzioni, il presidente del Senato Ignazio Benito La Russa, fino all’onnipresente Matteo Renzi.
Di tutto e di più, di tutte le razze e tutte le specie possibili e immaginabili nel calderone da centinaia e centinaia di nomi passati ai raggi x dalla ultima super band di SPIONI, a quanto pare capeggiata dal titolare della già mitica ‘Equalizer’ (ricorda tanto il ‘giustiziere’ Denzel Washington), il presidente dell’Ente Fiera di Milano Enrico Pazzali.
E tutti a stracciarsi le vesti, soprattutto tra la band dei meloniani, vittime di complotti quotidiani orditi certo da super cupole organizzate ai massimi livelli esteri: russi soprattutto, come ha subito evidenziato lo scaltro ministro degli Esteri Antonio Tajani. Peccato, poi, si sia scoperto che appunto Putin è stato tra gli obiettivi ‘caldi’ degli 007 de noantri.
L’ennesimo episodio di una lunga catena iniziata un po’ di tempo fa con la ‘Striano story’ e proseguita con la fresca accelerazione delle ultime settimane: dal giovanissimo hacker siciliano che aveva sfondato tutte le difese delle nostre istituzioni al bancario pugliese che ha passato ai raggi vite & conti correnti di centinaia di vip. E ora la ciliegina sulla torta, per la quale sono mobilitate quattro procure (tra cui Milano e la Procura Nazionale Antimafia), nonché la super procura antimafia. Cin cin.
Eppure di dirty stories popolate da barbe finte, spioni & Servizi neanche troppo deviati sono zeppe le nostre cronache giudiziarie del passato. Come dimostra in modo plastico la spy story del 2001 che ebbe proprio al centro la ‘Voce’, vicenda esplosa giudiziariamente e mediaticamente nella bollente estate del 2007.
Riavvolgiamo il nastro e partiamo dalle news.
ECCO LA BAND
Inutile spendere troppe parole sui fatti che stanno emergendo ‘ufficialmente’ via media (con uno strano ‘silenzio’ nella prime 24 ore sulla muta Sky). Ormai di arci dominio pubblico, ben comprese le ‘starnazzate’ griffate Meloni-La Russa band.
Solo qualche dettaglio per recapitolare; quindi alcuni elementi utili su due primattori, poi considerazioni sparse; per chiudere con la Voce spiata di quasi mezzo secolo fa, primavera 2001.
Partiamo dal burattinaio ufficiale, in attesa di capire quali sono i veri mandanti, ancora of course a volto coperto. Ci riferiamo al numero uno della Fiera di Milano, Enrico Pazzali, titolare al 955 per cento della sigla al centro del mosaico spionistico, ‘Equalizer’ appunto.
Mesi fa il centrodestra ha pensato a lui come candidato per le prossime amministrative meneghine, come competitor per la poltrona oggi ancora occupata dal Pd Beppe Sala. E’ un fatto, incontrovertibile.
Dice: ma se ha fatto spiare i La Russa! Normale, voglio sapere cosa i vertici fascisti pensano di me, cosa ‘tramano’. Per la serie: centrodestra in piena crisi di nervi, al centro di trame & complotti, faide allo stato puro, notti di lunghi coltelli, come dimostrano, per fare ora un solo esempio, quelle ordite da mesi e mesi nell’odierno ombelico del mondo, il Ministero della Cultura, passato dal ministro della sub-cultura Sangiuliano Genny all’ex numero uno dell’oggi super chiacchierato ‘Maxi’, Alessandro Giuli.
Torniamo al ‘burattinaio’ Pazzali. Che, per fare ancora un solo esempio, ha fatto ‘attenzionare’ la ministra del Turismo Daniela Santanchè, a sua volta alle prese con non poche gatte giudiziarie da pelare. Per la serie: uno di destra che fa controllare una di destra, arieccoci.
Passiamo ai due primattori, per fornirvi qualche dettaglio in più sulle performance passate, soprattutto quelle, per motivi anagrafici, dell’un tempo rampantissimo finanziere Matteo Arpe, per poi passate all’uomo più ricco d’Italia, al secolo Leonardo Mario Del Vecchio, uno dei rampolli, forse il più ‘audace’, della super dinasty che fa capo al fondatore di ‘Luxottica’, la star mondiale sul fronte degli occhiali.
L’EX STAR DELLA FINANZA
Ecco le tappe principali dell’irresistibile ascesa griffata Arpe. Una story che vede il suo fulgido splendore con gli anni 2000. Proprio nel primo anno del secondo millennio, infatti, il super bocconiano viene assunto, già allora con una posizione apicale, dalla star della finanza a stelle e strisce, quella ‘Lehman Brothers’ che, 8 anni più tardi, aprirà il valzer dei crac internazionali.
Si fa le ossa per oltre un decennio, dal 1987 al 1999, nella super scuola di ‘Mediobanca’, tutto dire.
Il primo gran salto nel 2001. Quando Matteo entra subito a vele spiegate nel gruppo ‘Banca di Roma’ all’’epoca guidato dal numero uno dei banchieri di casa nostra, Cesare Geronzi, un nome che ha fatto epoca. Il suo ‘pupillo’, young Arpe, va immediatamente ad occupare una poltrona strategica, quella di amministratore delegato del ‘Mediocredito Centrale’ (MCC), la dorata costola della formidabile banca romana.
L’anno seguente è quello che fa la storia. Perché la Banca di Roma cambia pelle e diventa ‘Capitalia’, il vero numero uno tra gli istituti di credito nel Belpaese, fianco a fianco di Credito Italiano e Intesa San Paolo.
Nel 2006, dopo una lunga trattativa, non vanno a buon fine le trattative per inglobare proprio Intesa.
Andrà invece a buon fine il matrimonio con il Credito Italiano: così vola Unicredit superstar.
Un parto, però, molto travagliato. Perché porta alla traumatica rottura tra il Maestro e il Discepolo prediletto, ossia tra Geronzi e la sua creatura, Matteo Arpe.
Dopo la singolar tenzone, alla fine tutti e due lasciano la neo corazzata.
E il nostro prode Matteo decide di mettersi in proprio, nel 2007, a bordo della neonata ‘Sator’, che nasce per occuparsi di ‘private equity’ e di ‘asset management’: un vero anticipatore, visto che i fondi speculativi, gli ‘hedge fund’ negli anni seguenti diventeranno il vero Eldorado della super finanza, come si diceva un tempo, d’assalto, capaci di ‘inghiottire’, di ‘inglobare’ e di ‘riciclare’ di tutto e di più, perfetto sistema per tutte le mafie, sempre a caccia dei più sofisticati ‘lavaggi’.
Parte con la fanfara, Sator: perché sul ponte di comando può sventolare la bandiera di un economista di primordine, Luigi Spaventa che nell’organigramma risulta presidente, con Matteo nelle vesti di amministratore delegato. Ma, soprattutto, fra i soci di Sator c’è la crema del mondo finanziario pubblico e privato, che si divide la quota del 22 per cento azionario lasciato libero dal ‘timoniere’ Arpe: tra gli altri, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Fondazione Roma, CMC spa, D’Amico Società di Navigazione spa, Api Holding spa, Angelini Partener Finanziaria srl.
Parecchi, ma non sempre fortunati, anzi, gli investimenti nel corso degli anni: da ‘E-Price’ a ‘News 3.0’ (con Lettera 43in campo editoriale); dall’immobiliare con ‘Aedes’ alla moda con ‘Autre Chose’.
E anche qualche grossa grana giudiziaria lungo il percorso, con una condanna da non poco. E’ quella per il ‘caso Ciappazzi’ una dirty story finanziaria nel super scandalo Parmalat. In primo grado, nel 2011, il rampante Matteo prese un brutto ceffone, ossia una condanna a 3 anni e 7 mesi di galera. Inutile dettagliare l’estenuante iter giudiziario: basti dire che dopo anni la sentenza è stata definitivamente confermata, ma il nostro eroe se l’è cavata scansando of course le sbarre ed evitando i molto scomodi effetti collaterali, in particolare la lunga interdizione da incarichi amministrativi e aziendali. Non male.
Un’ultima news sui fatti odierni. Perché non sono ben chiare le accuse mosse nei suoi confronti dagli inquirenti. Qualcosa la possiamo desumere dalle fresche parole pronunciate dal suo legale, Davide Steccanella: “Il dottor Arpe è stupito, perché si è trattato di un incarico professionale (alla Equalizer, ndr) della famiglia limitato ad una vicenda privata successiva alla scomparsa del padre”. Boh.
Per saperne di più sulla Arpe story, vi proponiamo la lettura di un pezzo pubblicato da ‘Huffington Post’ il 9 giugno 2021, Matteo Arpe, la stella nascente che poi non è nata
OCCHIO AL RAMPOLLO ARCIMILIONARIO
Eccoci, adesso, alle prodezze dell’altra star, il ventinovenne rampollo arcimilionario, Leonardo Del Vecchio junior.
E’ il titolare, con i fratelli e la madre Nicoletta Zampinello, dell’immensa fortuna accumulata dal padre e custodita nella cassaforte di ‘Delfin’, la holding della famiglia, il cui patrimonio è valutato in circa 100 miliardi di euro. E lui, oggi, ricopre lo strategico incarico di ‘chief strategic office’ del gruppo. Cin cin.
Più che per il suo fosforo finanziario, nel mondo dei vip è noto per le sue spiccate doti da eccelso latin lover, un vero rubacuori tra le modelle più gettonate a livello internazionale, nonostante non si faccia notare per la somiglianza con Robert Redford. In ordine cronologico, è stato il ‘cavaliere’ di top del calibro di Alessia Tedeschi; quindi di Madelina Ghenea. Poi è convolato a giuste nozze – un matrimonio da favola a Saint Tropez – con Anna Castellini Baldissera, altra star delle super passerelle: è durato solo un anno, il matrimonio. Poco importa, perché poi è stata la volta della più bella del reame, Jessica Michel Serfaty. Gli ha fatto perdere la testa al punto tale da rivolgersi ai preziosi uffici di mister Pazzali e della sua Equalizer acchiappatutti per scovare il probabile amante della sua bella Jessica.
Non solo possibili corna, per le ricerche della efficientissima sigla di spioni & 007. A quanto pare, infatti, il rampollo arcimilionario l’avrebbe anche incaricata di confezionare un falso dossier sul fratello Claudio Del Vecchio, il primogenito della dinasty, col quale Leonardo junior è entrato in rotta di collisione, per evidenti motivi pecuniari nonché di leadership all’interno del gruppo (da far rivoltare il padre della sua tomba).
Non molto fitto il suo pedigree, vista anche la giovine età. Dopo studi ovviamente negli atenei Usa, il rientro in Patria nel 2017 e l’ingresso in mamma Luxottica. Un anno dopo sale sulla poltrona di comando alla ‘Salmoiraghi’, una controllata di lusso.
Sorgono a questo punto spontanei alcuni interrogativi.
Possibile essere ridotti ad una tale repubblica delle banane marce?
Possibile che band più o meno super organizzate e perfino al soldo delle mafie riescano ad entrare con tale facilità nei santuari del nostro Potere?
Ma quale cavolo di sicurezza, security o come la volete chiamare ci tutela?
Possibile che di niente debba rispondere il ministro degli Interni, un inetto totale viste le cose?
Possibile che di niente debba rispondere il ministro della Giustizia, addirittura hackerato senza pudore?
Possibile che di niente debbano rispondere i vertici dei nostri ‘Servizi’, tra i cui ranghi sono stati allevati e cresciuti con tanta solerzia gli Spioni?
Potremmo continuare con la solfa per mezzora, il succo è questo. Una vergognosa, drammatica sceneggiata di Stato, che inquieta non poca circa la reale, autentica tenuta dello Stato democratico. E almeno di quei pochi brandelli, cocci, rottami che ne sono rimasti sul campo. Povera Italia.
QUASI 25 ANNI FA, SERVIZI PERFETTI
Finiamo con la Spy story che ha visto la Voce al centro degli intrighi di Palazzo a inizio Duemila.
Ve la riassumiamo in poche parole visto che l’abbiamo già tirata per le lunghe e poi vi proponiamo un link per ripercorrono la vicenda.
A metà 2007 scopriamo, come tutti i media, che un’inchiesta portata avanti dalla procura di Miano – proprio come succede adesso – ha scoperchiato una story popolata da spioni addirittura diretti, all’epoca, dal capo del ‘Sismi’ Nicolò Pollari. Il quale, a fine 2001, aveva ricevuto un preciso incarico dal premier Silvio Berlusconi: ossia quello di attenzionare, spiare, dossierare tutta una serie di soggetti e associazioni considerate ‘antiberlusconiane’. Tra queste, in pole position, proprio la Voce, ritenuta un crocevia di ‘sovversivi’, come veniva ampiamente documentato perfino in una ‘mappa’ dell’eversione rossa. Un punto di incontro molto pericoloso, la Voce, tra giornalisti, magistrati, intellettuali, alcuni politici e via di questo passo.
Venuta allo scoperto la super connection, nei mesi seguenti, insieme a Elio Veltri e Giulietto Chiesa, finiti anche loro nel mirino degli 007, decidiamo di citare in giudizio, per gli ovvi danni patiti (anche economici, visto che c’era nel nostro caso una interferenza ai nostri danni, ad esempio, nel campo della raccolta pubblicitaria), i nostri spioni.
Il processo inizia a Perugia, visto il coinvolgimento (come vittime) di non pochi magistrati romani. Dura anni, ma non partorisce neanche un topolino. Nonostante infatti la requisitoria del pm, Sergio Sottani, effettui una precisa radiografia delle gigantesche magagne, lorsignori non subiscono niente. E sapete perché? Per la trappola del ‘Segreto di Stato’, studiata da tutte le presidenze del Consiglio, un vero muro di gomma attentamente studiato ed eretto: quelle materie, a parere di Palazzo Chigi, erano coperte da Segreto di Stato. Un clamoroso falso, un’aberrazione: perché tale Segreto può essere invocato solo quando è in ballo la sicurezza nazionale, e certo non per spiate ordinate da un premier contro privati cittadini!
Nessun colpevole, quindi. E noi, come altri, costretti a subire oltre che al danno anche la beffa in nome della Giustizia!!
Ai confini della realtà. Come del resto lo sono le odierne spy stories…
Ecco il link che vi fa leggere il pezzo messo in rete dalla Voce l’8 giugno 2022,
SERVIZI SEGRETI / IN VENT’ANNI IL COPIONE “DEVIATO” NON CAMBIA MAI. DA BERLUSCONI A DRAGHI
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