L’abbiamo più volte scritto e ripetuto più volte: il Vannacci pensiero è vomitevole, abominevole, oltretutto stucchevole. Da condannare in toto non sotto il profilo giudiziario, ma sotto quello morale, etico, e soprattutto intellettuale, perché mostra un livello culturale pari a zero e, se possibile, molto meno di zero.
Ciò detto, dobbiamo raccontarvi una fresca story che vi potrà meglio rendere l’idea della giustizia di casa nostra, ridotta in stato comatoso, anche in questo caso a livello praticamente zero, o sottozero. Parliamo della cosiddetta giustizia penale, di quella civile e – ne abbiamo adesso la conferma – anche di quella militare, che ha i suoi ‘codici’ e le sue ‘procedure’. Incredibile ma vero.
Ecco in estrema sintesi i fatti.
A quanto pare un gip del Tribunale Militare di Roma ha appena rifiutato l’istanza, avanzata dalla Procura, di archiviare un procedimento a carico del generale Roberto Vannacci per alcune espressioni contenute nel best (o bestia) seller da 300 mila copie, ‘ll mondo al contrario’, diventato un cult per folle di decerebrati.
Le espressioni si riferirebbero ad un ‘collega militare’, non si sa bene di quale grado o rango, se medio, alto o altissimo, in servizio presso le nostre Forze Armate.
Nell’atto del gip non compare alcun nome, né cognome nè niente che possa far riferimento al misterioso personaggio stellato o pluristellato.
Né risulta che un militare del nostro amato esercito abbia sporto querela penale o citazione civile per risarcimento danni al Vannacci.
Né che il solerte ministro della Difesa Maurizio Crosetto, pur ottimamente a conoscenza del caso-Vannacci, al riguardo abbia avuto mai niente da osservare.
Si brancola, quindi, nella nebbia più totale. Come nemmeno in quella Padania comunque cara al generale-leghista che, non dimentichiamolo, ha raggranellato quasi mezzo milione di preferenze alle ultime europee, insidiando perfino la leadership del riconosciuto capo tribù, il ministro dei disastri ferroviari e delle Infrastrutture che crollano Matteo Salvini, il quale riesce anche nell’epica impresa di fermare l’Italia per mezza giornata grazie a un ‘chiodo’, una vite o una rotella persa dal suo eruttante cervello.
Torniamo alle ultime acrobazie del generale. E ai possenti fendenti che gli appioppa il gip della Procura militare capitolina. Dà 10 giorni di tempo, l’inflessibile gip, a quella procura in divisa oltre che in toga per formulare l’imputazione coatta. Motivo per cui, il generale andrà certo sotto processo, non c’è via di scampo.
Per chi, come noi, mastica poco di ‘diritto militare’, facciamo notare che le imputazioni, i presunti reati, possono essere perseguiti anche d’ufficio, non solo a querela, esposto o denuncia di parte. Quindi se un gip di quella inflessibile procura viene a conoscenza di una qualsiasi pur remotissima ipotesi di reato, deve procedere come un sol uomo, come un rullo compressore. Anche se nessuno ha denunciato niente, nemmeno l’altrettanto presunto ‘diffamato’ o leso nel suo onore.
Sempre per il rigidissimo codice militare, la pena per un reato del genere va fino a 6 mesi. Ma può arrivare anche a 3 anni se alla persona, o meglio al militare offeso, viene attribuito un fatto specifico, determinato.
Da notare ancora che il presunto ‘offeso’ dovrà comparire in tribunale, quando ci sarà il processo: la qual cosa con ogni probabilità gli provocherà un danno d’immagine che avrebbe volentieri evitato, non querelando. Ma la ‘giustizia’, soprattutto in armi, non guarda in faccia nessuno: come la fortuna, è perfettamente bendata…
Dopo tutta questa peregrinazione, quindi, scopriamo che se offendi i ‘neri’, i ‘coloured’ e punti l’indice contro una razza inferiore, i tribunali militari nostrani se ne fottono altamente. Se invece scrivi qualcosa su un collega militare che neanche se ne accorge, oppure se ne accorge e se ne frega o lascia perdere, puoi passare guai neri.
Codice da foresta equatoriale, amazzonica o cosa?
Con ogni probabilità ne possiamo trovare ampie tracce nel diritto militare vigente presso l’IDF, ossia le truppe di sterminio dell’esercito israeliano guidato dal kapo’ Bibi Netanyahu. Ma solo lì, a conoscenza d’uomo.
Ciò detto, la vicenda ci porta subito alla mente quanto successe, esattamente vent’anni fa, in occasione dell’uscita del memorabile ‘Napoli Siamo Noi’ firmato da Giorgio Bocca e dedicato all’inferno partenopeo. Un sequel di quell’altrettanto memorabile ‘L’Inferno’, firmato sempre dal grande giornalista e scrittore piemontese, dedicato al martoriato Mezzogiorno devastato dalle mafie, anche e soprattutto dei ‘Palazzi’.
Ebbene, all’epoca Bocca intervistò l’ex procuratore di Napoli Agostino Cordova. Per un passaggio di quella conversazione, pubblicata nel libro, quattro pm della procura di Napoli querelarono Cordova, avanzando anche una richiesta risarcitoria da circa 100 mila euro.
I 4 dell’Apocalisse vinsero, Cordova venne condannato a quel pagamento e la ‘giustizia’ trionfò.
Nel libro quei 4 nomi non sono mai comparsi.
Compariva invece una frase, pronunciata, davanti a ben sei testimoni, dalla moglie dell’ex procuratore, che disse: “I nemici di mio marito erano in quella procura”. Proprio come era successo anni prima, in Sicilia, a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino.
La giustizia penale e civile in Italia è ormai morta e sepolta da anni. Proprio da quando sono stati ammazzati Falcone e Borsellino.
Adesso abbiamo notizia anche dei funerali di quella ‘militare’. Di cui peraltro pochi conoscono l’esistenza.
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