Il 30 settembre del 1999 si spegneva Camillo Marino, fondatore della rivista “CinemaSud” e del Festival cinematografico “Laceno d’Oro”, che lo ricordano con una pubblicazione di Paolo Speranza (Identikit di un neorealista), uscita oggi in edizione non venale, e un’iniziativa pubblica in occasione del Festival, a dicembre.
Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo uno dei capitoli del libro.
Camillo Marino non sarà ricordato dai posteri fra le grandi icone dell’intellighenzia irpina, al fianco di De Sanctis e Dorso, dei politici e degli scienziati affermatisi nel Paese e nel mondo, ma resterà vivo a lungo il suo esempio di libertà critica, di passione civile, di rigore morale.
Non un santino, dunque, ma un uomo vero, vivo e impegnato, con le sue passioni e i suoi errori, sempre pronto allo studio e all’azione, a schierarsi e ad esporsi, senza ipocrisie e compromessi.
Un mito, certo. E come tutti i miti, assolutamente alieno dalla perfezione ideale e da un’armonia winckelmanniana della figura e dei gesti, e tuttavia unico e irripetibile, capace come pochi altri di incarnare simboli e valori, di ispirare sentimenti e ricordi, di essere riconosciuto e rappresentato con tratti ora epici, ora comico-realistici, come il Nicola Palumbo di Ettore Scola in C’eravamo tanto amati.
Non si può fare a meno di andare con la mente a sensazioni, immagini, suggestioni poetiche. Bellissimi, ad esempio, sono i versi di William Morris nel finale di Terra e libertà, di Ken Loach, uno dei suoi registi preferiti, che hanno dedicato a Camillo gli amici del circolo di cultura cinematografica “ImmaginAzione”: “Unisciti alla battaglia/l’unica che l’uomo non può perdere/perchè chiunque cada e muoia/sarà l’esempio per quelli che trionferanno“.
Altrettanto naturale suona il richiamo a Don Chisciotte, nella versione di un grande poeta turco, Nazim Hikmet, comunista e idealista come Camillo: “ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati/tu continuerai a vivere come una fiamma/nel tuo pesante guscio di ferro/e Dulcinea/sarà ogni giorno più bella“.
Più che un maestro, Camillo è stato un cavaliere solitario. Spesso incompreso, isolato, qualche volta persino deriso. Per quella fede assoluta nelle sue convinzioni, l’ostilità all’establishment, la difesa intransigente di ideali estetico-politici ormai demodè (il Neorealismo, il socialismo, la civiltà contadina), per la tendenza a trasfigurare la realtà sull’onda della fantasia, per l’oratoria ridondante che tanto lo accomunavano all’eroe di Cervantes.
Alla distanza, però, quella di Camillo si è rivelata una lucida utopia. Nel cinema, nella politica, nel mondo dello sport che egli seguiva con appassionata partecipazione.
Il suo capolavoro resta il “Laceno d’Oro”, un’impresa quasi epica nell’Irpinia povera e marginale degli anni Sessanta: platee stracolme di lavoratori, professionisti e studenti; prestigiosi intellettuali, da Pasolini a Zavattini a tanti altri, disposti ad impegnarsi per l’Irpinia; decine di registi e attori “scoperti” e valorizzati; una straordinaria visibilità internazionale per Avellino e Bagnoli Irpino; un’occasione irripetibile di crescita culturale. E accanto al Festival del Neorealismo, la rivista gemella “Cinemasud”: quarant’anni di pubblicazioni, di inchieste, di lunghe battaglie, rivelatesi vincenti, contro la censura, per la trasparenza dei finanziamenti al cinema, per la difesa del realismo e dei film d’autore.
E in politica? Non ne è stato un protagonista, e non sempre ha visto giusto. La presa di distanza dal socialismo reale, ad esempio, è stata sincera quanto tardiva. Ma è stato uno dei pochissimi in Irpinia ad imbracciare le armi in nome della Resistenza, sfidando il carcere e le rappresaglie naziste. Uno dei pochi oppositori fieri e immarcescibili, ma sempre leali, ai potentati politici irpini, che ha visto franare. E ancora, un raro esemplare di socialista di sinistra ai tempi di Craxi, di cui denunciò metodi e comportamenti, su “Cinema Sud”, fin dal ’78: memorabile resta il suo intervento al congresso del Psi irpino nel ’92, quando la sua arringa contro l’allora super-ministro Carmelo Conte fu accolta dai delegati con un’autentica ovazione.
Persino sul calcio si è rivelato lungimirante: la sua opposizione, per anni quasi solitaria, ai metodi e alle scelte del temuto patron Antonio Sibilia (ribattezzato, con una delle sue definizioni più celebri, “il signor costui”) è poi diventato uno stato d’animo diffuso tra gli sportivi irpini.
Tante vittorie “in extremis”, meritate e sofferte, in un Sud spesso avaro di solidarietà e assai generoso di riconoscimenti postumi. Perchè Camillo si è rivelato, fino in fondo, coraggioso, disinteressato, coerente. E perchè forse anche dalle nostre parti cresce la consapevolezza (per dirla con una battuta di Salvo Randone nel film di Luigi Zampa Gli anni ruggenti) che occorre “qualche don Abbondio in meno e qualche don Chisciotte in più”.
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