JULIEN ASSANGE / “SONO COLPEVOLE DI GIORNALISMO”

Sono libero perché oggi, dopo anni di rifugio politico e poi di carcere, mi sono dichiarato colpevole di giornalismo. Mi auguro che l’Europa agisca subito per salvare la libertà d’espressione, che è in fortissimo pericolo”.

Queste le parole ‘forti’ usate da Julien Assange nella sua prima apparizione davanti ad un vasto uditorio dopo aver riacquistato a carissimo prezzo la libertà, e oltre quindici anni come rifugiato politico e poi galeotto.

Le ha appena pronunciate davanti alla Commissione ‘Affari giudiziari e diritti umani’ dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Un uomo, un giornalista che ha dedicato la sua vita per svelare ai cittadini-lettori – con i suoi WikiLeaks – tutti gli affari sporchi, i ‘dirty business’, messi su dagli Stati Uniti in mezzo mondo; e, soprattutto, le connection, le trame ordite dagli Usa per organizzare guerre, colpi di stato, golpe bianchi, tutto e di più sul fronte militare e per ‘esportare’ la loro ‘democrazia’ (sic) a botte di missile & bombe, come stiamo atrocemente vedendo negli ultimi anni, via Israele e Ucraina, due simboli del super potere guerrafondaio a stelle e strisce nel mondo.

Il carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Sopra, Julien Assange

Assange, dopo ben 14 anni ‘auto-confinato’ nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per sfuggire ai mandati di arresto Usa che avrebbero significato circa 150 anni di galera a suo carico, poi arrestato dalle autorità inglesi e spedito nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, vicino Londra, in attesa della estradizione verso gli Usa, alla fine è stato letteralmente costretto ad un patteggiamento che gli ha, sì, evitato la galera a vita, ma che lo ha costretto ad “autodenunciarsi per cospirazione contro gli Usa”, ammettendo quel che non ha fatto e impossibilitato a denunciare i suoi aguzzini. Uno dei più sofisticati ‘metodi’ della ‘democrazia’ a stelle e strisce per mostrare la sua ‘umanità’ impedendo all’avversario di poterla contrastare, ed obbligandolo alla resa.

Eppure Assange ha trovato ancora la forza e il coraggio, dopo anni e anni di estenuanti battaglie, per parlare davanti all’assemblea del Consiglio d’Europa, illustrando meglio quanto di terribile gli è successo e, soprattutto, denunciando con un groppo in gola i reali, enormi pericoli che corre l’informazione, ormai ridotta ai minimi termini e, se non si fa qualcosa subito e in modo concreto, destinata ad essere sempre più calpestata e azzerata dai Padroni del Vapore, gli oligarchi nel Nuovo Potere Democratico.

Ecco i passaggi salienti del suo accorato intervento, che dovrebbe far riflettere tutti.

 

PARLA IL FONDATORE DI WIKILEAKS

Ho scelto la libertà sull’impossibilità di ottenere giustizia. Voglio essere chiaro. Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo. MI sono dovuto dichiarare colpevole di cospirazione per ottenere e diffondere informazioni sulla difesa nazionale americana”.

Un patteggiamento, il suo, che ha messo fine alla incredibile detenzione, al suo calvario giudiziario, ma che, nei fatti, rappresenta anche un punto di non ritorno.

Ecco le sue parole, scolpite come pietre: “Vedo oggi più impunità, più segretezza, molte più rappresaglie per aver detto e scritto la verità, molta più auto-censura”.

La sede del Consiglio d’Europa

E’ difficile non tracciare una linea tra il governo degli Stati Uniti che attraversa il Rubicone criminalizzando il giornalismo a livello internazionale e il freddo clima attuale per la libertà d’espressione. La libertà d’espressione e tutto ciò che ne consegue si trovano ad un bivio oscuro. Temo che, a meno che istituzioni che stabiliscono norme come il Consiglio d’Europa non si svegliano di fronte alla gravità della situazione, sia ormai troppo tardi”.

Se l’Europa vuole avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare le verità non siano dei privilegi riservati a pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo tale che ciò che è accaduto nel mio caso non accada mai a nessun altro”.

E chiede con il cuore in mano, Assange, a tutti di fare la propria parte “per garantire che la luce delle libertà non si affievolisca mai, che la ricerca della verità continui a vivere e che le voci di molti non vengano messe a tacere dagli interessi di pochi”.

Ora la giustizia per me è preclusa perché il governo degli Stati Uniti ha insistito per iscritto nel suo patteggiamento che io non posso presentare un caso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo o anche una richiesta di legge sulla libertà di informazione, per ciò che mi è stato fatto a seguito della richiesta di estradizione. Gli europei devono obbedire alla legge sullo spionaggio degli Usa”.

Ma ha la forza di puntare i riflettori, Assange: “Il mio caso ha aperto la porta alla possibilità che qualsiasi grande Stato possa perseguire i giornalisti in Europa. Se le cose non cambiano, e presto, nulla impedirà che quanto è successo a me possa accadere di nuovo”.

La questione fondamentale è semplice: i giornalisti non dovrebbero essere perseguitati per aver scelto il loro lavoro. Il giornalismo non è un crimine. E’ un pilastro di una società libera e informata. Tutti i giornalisti devono essere degli attivisti per la verità. A volte si discute sul fatto che una persona sia un giornalista o un attivista. Ma la chiave è di essere sempre accurati”.

Ed eccoci al cuore del problema, esemplificato con parole semplici e chiare dal fondatore di WikiLeaks: “La mia ingenuità è stata di credere nella legge. Quando si arriva al dunque, le leggi sono come solo pezzi di carta e possono essere reinterpretate per convenienza politica”.

Le leggi sono regole stabilite dalla classe dirigente in senso più ampio e se quelle regole non si adattano a ciò che vuol fare, le reinterpreta o le cambia. Nel caso degli Stati Uniti, abbiamo fatto arrabbiare uno dei poteri costituenti: l’intelligence, che è abbastanza potente da spingere per una reinterpretazione della Costituzione”.

Penso che questa sia una lezione importante. Quando una fazione di potere importante vuole reinterpretare la legge, può spingere una parte dello Stato, in questo caso il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, a farlo. Non curandosi troppo di ciò che è legale”.

 

NOVITA’ IN CAMPO

Di recente è passato, a livello europeo, il Media Freedom Act che sulla carta dovrebbe tutelare il mondo dell’informazione e i giornalisti che fanno il loro mestiere.

Ma è solo un palliativo, pura finzione, un semplice ‘lifting’, perché la normativa è stata più volte modificata, alleggerita, resa alla fine quasi inoffensiva: senza cioè spuntare le armi a chi vuol realmente imbavagliare i giornalisti rei di fare informazione. Cioè i ‘potenti’ (politici, faccendieri, colletti bianchi, mafiosi e via di questo passo) che ormai ritualmente azionano  ‘querele temerarie’ e soprattutto ‘azioni civili risarcitorie’, a botte da milioni di euro, solo allo scopo di ‘intimidire’: proprio come puntando un revolver alla tempia di chi – come sottolinea Assange – vuol solo fare il suo lavoro, caso mai per scoprire le ‘verità’ che ‘inguaiano’ gli inquilini eccellenti del Palazzo o dei tanti Palazzi del Potere, svelando le loro trame, le loro connection, i loro ‘dirty business’.

A livello nazionale, circa un anno fa la nostra Cassazione ha firmato una sentenza ‘storica’, la quale, prendendo spunto da un caso concreto, mette nero su bianco che il giornalismo d’inchiesta deve essere tutelato in modo particolare dalla normativa, proprio per il ruolo che svolge: ossia quello di aprire delle piste, indicare delle rotte da seguire per la stessa magistratura, su filoni investigativi di particolare delicatezza.

Quindi – secondo la Cassazione – quel giornalismo ha bisogno di una ‘particolare attenzione’, facendo in modo che sia difeso da aggressioni pretestuose, le quali molto spesso si basano non sui contenuti ma sul ‘tono’ dell’articolo stesso, caso mai un po’ acceso per la rilevanza sociale del tema trattato, o dei titoli, che possono essere a volte un po’ sopra le righe proprio vista quella particolare pregnanza.

Una sentenza che parla chiaro, accende nuovi riflettori e assicura un minimo di garanzie per il reporter coraggioso il quale intenda far luce su un caso delicato.

Quella pronuncia della Cassazione è stata totalmente ignorata dai tre giudici che hanno condannato in primo grado la Voce per i tre processi in cui è coinvolta: stiamo parlando, come vi abbiamo già raccontato e come potete rileggere dai link in basso, dei casi WADA, KEDRION-MARCUCCI e MARASCA-DI PIETRO.

Solo pochi cenni, adesso, per evidenziare in che modo le tre toghe se ne sono altamente fregate di quanto ha sentenziato qualcuno un po’ più in alto di loro, ossia le toghe della Cassazione. E come lo scenario dipinto con grande coraggio da Assange sia proprio quello in cui ha lavorato e lavora la Voce, che si è scontrata frontalmente con quei Poteri Forti e con una Giustizia (sic) ormai ridotta a pezzi di carta facilmente ‘reinterpretabili’.

Partiamo dal caso del quale abbiamo avuto la fortuna di poter leggere le motivazioni.

 

Un’aula del tribunale di Napoli

 

I TRE GIALLI GIUDIZIARI DELLA VOCE

Si tratta del processo VOCE contro ‘WADA’, ossia la ‘World Anti Doping Agency’ venuta in questi giorni alla ribalta per il clamoroso caso che vede coinvolto il nostro campione del tennis Jannik Sinner.

Prima di arrivare alla sentenza, solo due parole.

La Voce scrisse, nel 2017, una ventina di pezzi sul giallo di un altro nostro campione, il marciatore anche lui altoatesino Alex Schwazer. Articoli e inchieste che, documenti alla mano, smascheravano la combine orchestrata da WADA e‘IAAF’ (l’associazione internazionale di atletica, poi diventata ‘World Athletics’) per distruggere l’immagine, e non solo, di Alex: come ha poi messo nero su bianco, in una monumentale (89 pagine) ordinanza il gip di Bolzano Walter Pelino, che ha accusato nel 2021 WADA di corruzione e, addirittura, frode processuale.

Ecco, la sentenza firmata a gennaio 2024 dal giudice del tribunale di Napoli Cristiana Sirabella condanna la Voce per il solito reato di diffamazione e anche a risarcire i danni d’immagine causati all’immacolata WADA. Il giudice è costretto a riconoscere che tutti i pezzi sono inattaccabili, perché in essi è scritta e documentata la realtà e la verità dei fatti. Fatti che, ammette, sono di grande interesse pubblico, visti i protagonisti coinvolti. Solo il ‘tono’, in alcuni titoli, è un po’ eccessivo, a parere della toga partenopea: tono che peraltro è ’tutelato’, come visto, dalla Cassazione.

Ma qual è stata la nostra vera colpa, il colossale reato del quale ci siamo infangati e resi protagonisti? Aver denunciato quelle cose con troppo anticipo, addirittura 4 anni! Perché l’ordinanza Pelino è del 2021…

Come abbiamo fatto? Quali le nostre misteriose e occulte fonti?

Ai confini della realtà. Per capire quelle motivazioni le parole appena pronunciate da Assange calzano a pennello.

Dimenticavamo solo di aggiungere che il pm del processo VOCE-WADA ha pronunciato una requisitoria in cui ha elogiato il giornalismo d’inchiesta della Voce, e rammentato proprio quella fresca pronuncia della Cassazione. Un ultimo dettaglio: vista la mala parata dopo l’ordinanza Pelino del 2021, a metà dello stesso anno, nel corso dell’udienza al tribunale di Napoli, l’avvocato WADA ha chiesto di poter rimettere la querela. Andrea Cinquegrani, direttore della Voce, ha rifiutato, chiedendo di veder riconosciute le sue palesi ragioni dal giudice del tribunale di Napoli.

E ora ci vengono in mente le parole di Assange: “Ho sbagliato a fidarmi della legge”.

Mai parole più vere.

Passiamo rapidamente alle altre due storie, per le quali ovviamente siamo stati condannati per il reato di diffamazione, senza peraltro conoscere ancora le motivazioni.

Ma si tratta certo, ancora una volta, del tono. Della lesa maestà.

 

Nel caso KEDRION-MARCUCCI i ‘re’ offesi sono i Padroni del Sangue, ossia gli oligopolisti nel grande business internazionale degli emoderivati, una vera miniera.

Andrea Marcucci

Si tratta di Andrea Marcucci, l’ex capogruppo del PD al Senato per anni, renziano di ferro, il quale sostiene che i nostri 4 articoli messi in rete nei primi mesi del 2020 (contenenti sono dati incontrovertibili e ‘storici’), hanno causato – udite udite – la sua trombatura alle ultime politiche, quando è stato bocciato addirittura nel suo feudo toscano! E poi, diPaolo Marcucci, il fratello e Ceo di KEDRION, la corazzata degli emoderivati nata ad inizio anni 2000: ci accusa, Sua Maestà Paolo, di aver con i nostri 4 letali articoli, causato incalcolabili danni (mai provati) economici e d’immagine alla sua azienda!!

E uno dei veri motivi dell’acredine nei nostri confronti – lo hanno confermato i suoi legali in udienza – è quello di voler rammentare sempre a tutti quella ‘strage del sangue infetto’ che ha causato in Italia almeno 5 mila vittime, rimaste senza uno straccio di giustizia dopo la sentenza assolutoria (“il fatto non sussiste”) pronunciata 5 anni fa dal tribunale di Napoli. Ancora una volta ‘lese maestà’: perché è un reato, secondo lorsignori, onorare e rispettare la MEMORIA di quell’esercito di vittime. Che, di tutta evidenza, si sono suicidate in massa, perché quel sangue infetto, quegli emoderivati killer non c’entravano niente!

Passiamo al terzo caso, quello del giudice Massimo Marasca, il quale ha firmato la sentenza che ha ucciso, dieci anni fa esatti, la Voce. Condannandoci a 70 mila euro di risarcimento danni per aver leso’ l’immagine di Annita Zinni, una preside di Sulmona grande amica di Antonio Di Pietro, il pm di Mani Pulite eterodiretto dai Servizi di casa nostra e soprattutto dalla CIA per l’Operazione Mani Pulite.

Massimo Marasca e Antonio Di Pietro

Ce l’ha giurato all’epoca, don Tonino, perché tutte le documentate accuse della Voce, un paio d’anni dopo, vennero riprese pari pari da ‘Report’ in una puntata che significò, nel giro di 48 ore, la fine di ‘Italia dei Valori’.

Colse la palla al balzo, il pm di punta dal pool di Milano, per farci querelare dalla compaesana e preside Zinni, per un breve articolo sulla contestata maturità del figlio, Cristiano Di Pietro. Le piccole imprecisioni contenute nel nostro articolo vennero subito rettificate, nel numero seguente, dall’autore, Alberico Giostra, giornalista Rai. Ma niente: il carro armato targato Di Pietro-Marasca investì in pieno la Voce, 70 mila euro che in pochi mesi si trasformano in una valanga che ci costrinse a chiudere l’edizione cartacea in vita da 30 anni esatti.

Cin cin. E le parole di Assange, sul quel Potere, e soprattutto su quella Legge che si fa finzione, sono più vive e attuali che mai. Perché se nulla succede il funerale dell’Informazione è ormai pronto…

 

N.B. Per leggere i pezzi messi in rete dalla Voce su personaggi e sigle citati in questo articolo, come al solito vi invitiamo ad andare alla casella CERCA, in alto a destra della nostra home page, e quindi digitare WADA, ALEX SCHWAZER; oppure KEDRION, ANDREA o PAOLO MARCUCCI; o ANTONIO DI PIETRO e MASSIMO MARASCA. Ne potrete ritrovare di tutti i colori.

Ecco, comunque, l’ultimo pezzo della Voce sulle 3 vicende giudiziarie.

INFORMAZIONE / COME UCCIDERLA – IL CASO “VOCE”


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