INFORMAZIONE / COME UCCIDERLA – IL CASO “VOCE”

Bavaglio all’informazione, quel poco che resta sul campo. Sanzioni ancora più pesanti da comminare ai quei cronisti che cercano, sempre più a fatica, di esercitare il loro diritto-dover per raccontare a lettori e cittadini i retroscena dei Palazzi. Una ulteriore stretta decisa dal governo sfascista guidato da Giorgia Meloni, esecutivo ben deciso a far piazza pulita dei sacrosanti diritti conquistati in tanti anni e fare a pezzi e bocconi la Costituzione. Da perfetto plotone nazi.

Giorgia Meloni

Viaggiano in tal senso le ultime ‘mosse’ studiate nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato che stanno affrontando i temi della ‘diffamazione’ e del ‘bavaglio’ da imporre con le buone o con le cattive, dalla galera, per ora accantonata, alle multe che intendono inasprire sempre più, per scoraggiare i pochi reporter che cercano di lavorare in modo ancora ‘autonomo’, mentre i ‘free lance’ sono abbandonati al loro destino.

La mannaia delle querele facili e, soprattutto, delle richieste ‘civili’ di risarcimento danni, sono lo ‘strumento’ imbracciato da politici e ‘colletti bianchi’ da oltre trent’anni, un revolver puntato alle tempie dei giornalisti-contro, dei report d’inchiesta, per intimidirli al punto giusto sparando richieste arcimiliardarie un tempo, arcimilionarie poi.

Come è successo fin dalla fine degli anni ’80 e inizio ’90 alla ‘Voce’. Da quel ‘mitico’ risarcimento da 11 miliardi di vecchie lire chiesto da Paolo Cirino Pomicino nel 1991 per il libro a lui dedicato, ‘O Ministro’; fino alle querele intentate da colossi come WADA e KEDRION (del potente gruppo Marcucci) negli ultimi anni: un fronte sul quale siamo sempre in prima linea.

Ma cominciamo dalle news.

 

COMMISSIONI AL LAVORO

Siamo alla stretta finale. Presto arriveranno in Parlamento le ‘nuove’ leggi, per l’ok finale che verrà votato in modo compatto dalle destre (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia), finalizzate ad imbavagliare ancor di più la stampa (ripetiamo, quel po’ di informazione ‘libera’ rimasta stoicamente a cercar di fare il suo mestiere) e, soprattutto, ad assestare le randellate, le ‘manganellate’ giuste al posto giusto, ossia colpendo i cronisti nella tasca, sul fronte economico, comminando per chi sgarra multe e sanzioni a go go, fino a mezzo milione di euro. Cin cin.

Francesco Petrelli

In questi ultimi giorni sono in corso audizioni alle Commissioni Giustizia di Montecitorio e Palazzo Madama. E una delle più azzeccate e ‘mirate’ è stata quella del presidente delle Camere Penali (che riuniscono gli avvocati a livello nazionale), Francesco Petrelli che, elogiando le normativa già predisposta dal governo sulla materia, ha suggerito di inasprirla, puntando con decisione sull’aumento delle multe a carico dei giornalisti: “Queste norme – ha detto gonfiando il petto – vanno rafforzate anche sotto il profilo sanzionatorio, perché per quanto ci sforziamo di estendere sotto un profilo orizzontale il livello delle tutele, se le sanzioni restano quelle previste dal nostro codice è evidente che avremo una scarsa possibilità dissuasiva. E’ ovvio che non pensiamo affatto a sanzioni di tipo detentivo, ma il ventaglio dei rimedi è talmente vasto…”.

Una prateria di sanzioni illimitata e senza confini, di tutta evidenza.

Del resto, osserva il padre delle norme-bavaglio, Enrico Costa, appena passato da Azione sotto i vessili di Forza Italia: “Se si stabiliscono regole precise per la pubblicazione degli atti giudiziari, bisogna sanzionare chi le viola. Le attuali multe e sanzioni sono del tutto ridicole”.

Capito?

Ecco, per entrare nel dettaglio tecnico-operativo, quello che potrà succedere nei prossimi giorni, passando dalle Commissioni fino al Parlamento per l’ok finale.

Sentiamo un ‘esperto’ parlamentare del ramo: “La maggioranza sembra intenzionata ad accogliere le richieste delle Camere Penali. C’è solo un dubbio: se inserire le sanzioni all’interno del decreto legislativo o se invece introdurle nel disegno di legge sulla diffamazione che è in discussione proprio in Commissione Giustizia al Senato e che aveva fatto discutere non poco prima dell’estate per un emendamento del senatore Gianni Berrino, molto vicino alla Meloni, il quale aveva proposto pene fino a 4 anni di galera per i giornalisti e multe fino a 120 mila euro. Poi quell’emendamento è stato ritirato”.

Gianni Berrino

Così continua il ragionamento: “L’idea è di inserire nel parere di maggioranza da approvare in Commissione Giustizia la richiesta di introdurre le sanzioni forti a carico dei cronisti che sgarrano. Più concretamente, in seno alla maggioranza stanno valutando due possibilità. La prima è di applicare agli editori il decreto legislativo 231 del 2000, cioè la responsabilità penale a carico degli editori stessi e in questo caso le multe vanno da un minimo di 25 mila ad un massimo di 550 mila euro. La seconda ipotesi è invece quella, più subdola, di depenalizzare il reato, rendendolo ‘civilistico’, punibile quindi in via amministrativa, cioè risarcitoria: ma comminando, stavolta, multe stratosferiche”.

Anche milionarie.

Capita la fogna nella quale ci stiamo muovendo, facciamo un salto indietro, per contestualizzare appena un po’ la ‘diffamazione story’.

IN 30 ANNI E PASSA, MAI UNA SOLUZIONE

La ‘diffamazione story’ è lunga e tortuosa. A inizio anni ’80 andava ancora di moda la galera: chi non ricorda le sbarre per il cronista Fabio Isman e per Giuseppe D’Avanzo, che si fece le ossa a metà ’70 proprio alla redazione dell’allora ‘Voce della Campania’ diretta da Michele Santoro e poi diventata ‘Voce delle Voci’?

Poi, invece della galera, Lorsignori ritennero più opportune le vie ‘giudiziarie’: da un lato le querele penali, poi le più rapide citazioni civili. Soprattutto più concrete e realmente intimidatorie, perché capaci di tradursi in realtà economica a carico dello sventurato cronista in tempo quasi ‘reale’: il tempo, cioè, del veloce iter civilistico, spesso e volentieri attivato attraverso la corsia preferenziale dell’articolo 700. Detto fatto: nel giro di pochi mesi il politico, faccendiere o mafioso di turno che ti cita in sede civile può vedersi il danno – quasi sempre inventato di sana pianta – miracolosamente ‘esigibile’ subito. Da liquidare cash, perché quella sentenza, proprio al pari di una ghigliottina, è immediatamente esecutiva. Gli ufficiali giudiziari, cioè, il giorno dopo possono bussare alla tua porta e se hai qualcosa di ‘pignorabile’ sei fottuto!

Capito il clima in cui già da anni e anni non pochi giornalisti – che cercano solo di lavorare con la schiena dritta e denunciare, carte alla mano, intrallazzi & corruzioni degli inquilini del Palazzo – sono costretti a vivere? Da vero regime fascista: che adesso trova solo la sua ‘formalizzazione’ attraverso l’esecutivo guidato dalla ‘Giorgia’ nazionale!

Come Voce, per tutti gli anni ’90, abbiamo preso parte ad una serie di iniziative promosse da FNSI e meritorie associazioni, per documentare il disastro di una stampa sempre più al guinzaglio, sempre più intimidita e sempre più minacciata. Ma niente. Solo retorica e pochi fatti. La sinistra, sotto questo profilo, dormiva, in pole position Massimo D’Alema, alle prese con le continue querelle, per dirne solo una, con il vignettista Forattini.

Giorgio Bocca

Ricordiamo l’impegno civile di firme del calibro di Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa, che furono al fianco della Voce nei frangenti più delicati.

Il primo con il suo mitico ‘Inferno’ sui drammi quotidiani del Mezzogiorno, stretto nella morsa ‘infernale’ di politici e imprenditori collusi con le mafie: un intero paragrafo era dedicato a ‘La Voce nel deserto’, che lottava in prima linea per dettagliare e denunciare quelle connection.

Il secondo si trovò a Napoli per presentare il suo ‘Penne Sporche’ proprio sui giornalisti taroccati al soldo del Potere, guarda caso in occasione nel giorno di un’intera paginata de ‘Il Mattino’ contro di noi, ‘Quella Voce dei misteri’ e al Circolo della stampa di Napoli disse: “I carri armati del Mattino contro le biciclette della Voce. Come in questi giorni a Sarajevo”.

Alberto Spampinato

Sul fronte delle querele temerarie e delle cause civili taroccate di risarcimento danni, da anni si batte – autentica voce nel deserto – l’associazione ‘Ossigeno per l’Informazione’, fondata e animata una quindicina d’anni fa da Alberto Spampinato, fratello del giovane cronista dell’Ora di Palermo ammazzato dalla mafia su input di un potente colletto bianco mai venuto alla luce sotto il solito profilo ‘giudiziario’. ‘Ossigeno’ documenta, in modo coraggioso e minuzioso, quotidianamente, le minacce e le intimidazioni subite dai cronisti, spesso free lance con pochi mezzi, da mafia, camorra, ‘ndrangheta; e, soprattutto, quelle subite per via ‘legale’, cioè azionando le famigerate querele temerarie e le azioni risarcitorie. In più, Ossigeno ha attivato un efficiente Sportello legale per dare una mano ai giornalisti e alle piccole testate indipendenti alle prese con chi li denuncia e che ha sempre grossi mezzi a disposizione e stuoli di avvocati al seguito.

ATTACCO ALLA VOCE

Finiamo il tour ‘infernale’ (ci vorrebbe ancora, in tempi come questi, la penna di Bocca o Pansa per affrescarlo) con le ultime performance giudiziarie della Voce. Che dopo averne passate di tutti i colori con la sua edizione cartacea trentennale, dal 1984 al 2014, appunto, ha dovuto abbassare la saracinesca proprio per mano giudiziaria.

E’ stata infatti una sentenza pronunciata dieci anni fa esatti, nel 2014, dal tribunale di Sulmona, ed ‘eterodiretta’ dal celebre pm del pool di Milano, Antonio Di Pietro, a sanzionare la nostra fine: la condanna infatti, partita da 69 mila euro, proprio come una palla di neve rotolando ha oltrepassato il tetto dei 100 mila. Ai confini della realtà, e ben dentro i confini di una giustizia sempre più ‘patologica’ e ridotta – per chi ancora ci crede – in uno stato comatoso.

Antonio Di Pietro

Ma il bello deve ancora venire. Perché da quella ‘dirty story’ è scaturita un’altra interminabile querelle con la toga che aveva firmato la sentenza killer. Cominciata quattro anni fa al tribunale di Napoli, si è conclusa pochi mesi fa in primo grado, con la condanna della Voce, perché l’articolo sulle ultime performance giudiziarie di quel giudice, Massimo Marasca, era troppo forte nei ‘toni’. Al solito: fatti veri, incontrovertibili, dimostrati, ma lesa maestà…

Passiamo ad un’altra freschissima sentenza, sempre di primo grado, pronunciata giusto una settimana fa, il 18 settembre al tribunale di Napoli, e relativa a 4 articoli usciti tra febbraio e maggio 2020, appena scoppiata la pandemia. In quegli articoli (un’inchiesta e tre ‘brevi’) si parlava del gruppo Marcucci e della loro corazzata ‘Kedrion’, leader dall’inizio degli anni 2000 sul fronte della lavorazione degli emoderivati. Siamo stati condannati, anche stavolta, per lesa maestà, ossia il tono dei pezzi era ‘lesivo’ dell’onorabilità dei querelanti, vale a dire gli azionisti di Kedrion: Paolo Marcucci, il suo Ceo, Andrea Marcucci – per anni potente capogruppo del PD al Senato, super renziano – eMarilina Marcucci, in sella alla Fondazione Carnevale di Viareggio. Il primo ci ha accusati – senza produrre una minima prova – di aver causato ingentissimi danni, con i nostri 4 articoli, a Kedrion. Il secondo di averne causato la trombatura, clamorosa nel suo sicuro seggio toscano, alle ultime politiche. Chiedono of course danni da novanta e ne ottengono, dal giudice di primo grado, già una fettina in via subito esecutiva! Ne scriveremo con molti più dettagli quando leggeremo le motivazioni (sic) della sentenza.

Andrea Marcucci

Motivazione che ben conosciamo e vi abbiamo già illustrato per la terza condanna, sempre in primo grado, e pronunciata dal solito tribunale di Napoli a gennaio 2024. Stavolta la nostra controparte era un “carro armato” – secondo le profetiche parole di Pansa – ancor più possente e di livello internazionale. Si tratta, infatti, della ‘WADA’, acronimo di ‘Word Anti Doping Agency’, per la ‘dirty story’ che ha coinvolto il nostro campione di marcia, Alex Schwazer. Abbiamo scritto una ventina di articoli e inchieste (19 per la precisione) in tutto il 2017. A fine anno stappiamo lo champagne con una querela che ci arriva da un accorsato studio legale svizzero, che ci accusa sempre di lesa maestà, per aver offeso l’onore di WADA accusandola di aver tradito il suo scopo statutario, la lotta al doping, che ha fatto solo sulla carta.

Per farla breve (il resto lo potete leggere via link a seguire), a metà gennaio siamo condannati per il solito ‘tono’ di alcuni titoli e soprattutto per una fondamentale circostanza: abbiamo scritto la verità di tutti i fatti, ma con troppo anticipo, perché l’ordinanza del gip di Bolzano a carico di WADA (con una serie di addebiti pesantissimi, che arrivano fino al falso processuale) è del 2021. Come facevamo quindi a scrivere – ha ragionato il giudice, Cristiana Sirabella – già nel 2017 di cose che si sono verificate 4 anni più tardi? Quale misteriosa fonte ci ha informati con tale anticipo?

Di nuovo: ai confini della realtà. Ma ben dentro quelli di una giustizia che ormai è una pallida utopia.

Per maggiori dettagli circa le ultime tre vicende giudiziarie, vi invitiamo a leggere il nostro pezzo che le riepiloga per sommi capi e che contiene anche un appello a fornirci un sostegno per il nostro fondo SPESE LEGALI, viste le traversie che hanno totalmente prosciugato le nostre risorse. Il nostro IBAN, vi ricordiamo, è il seguente

IT53F0503003400000011024262

Ecco il link del pezzo,

AUTUNNO CALDO PER LA ‘VOCE’ / I PROSSIMI TRE APPUNTAMENTI GIUDIZIARI & UN APPELLO PER SOSTENERCI  

E comunque, per saperne di più sulle tre storie, basta andare alla casella CERCA che si trova in alto a destra della nostra home page e digitare KEDRION, oppure ANDREA MARCUCCI, PAOLO MARCUCCI, MARILINA MARCUCCI; ANTONIO DI PIETRO o MASSIMO MARASCA; infine WADA. Leggere per credere.


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