Meno peggio, meglio di niente

Una graduatoria degli analisti di eccellenze e nefandezze dei Paesi del Mondo colloca l’Italia al diciassettesimo posto, qualche gradino più su di Francia, Germania, Regno Unito. Basta a legittimare il lusinghiero appellativo di “Bel Paese” che tutto il mondo ci riconosce?  Il felice attributo ha origini antiche, coniato da Dante (…del bel paese là dove ‘l si sona), da Petrarca (“…il bel paese ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe), ripreso nell’Ottocento dall’abate Antonio Stoppani per la copertina di un suo libro che esalta le meraviglie non solo ambientali dell’Italia. L’espressione alimenta la consapevolezza degli italiani di vivere in un Paese unico.ma…. L’Italia è il luogo del Pianeta con più siti Unesco, gode di grande equilibrio naturale tra monti e mare, vanta una storia millenaria senza pari di civiltà ospitate e inglobate. Perché diciassettesimo allora? Perché pur se preceduto e seguito da chi nega i diritti umani, la libertà di espressione, il rispetto delle donne e dei bambini, da eredi dell’ignobile passato nazifascista, da chi tollera e copre la piaga degli abusi sessuali (Città del Vaticano sotto accusa), l’Italia gode di scarsa considerazione per numerosi difetti di comportamento e uno determinante è l’imperfetta accoglienza degli stranieri. I ‘sacerdoti’ del bon ton, ci addebitano gesti e azioni sgarbate, alcune offensive ma, peggio,  il Bel Paese deve fara i conti con la sua giovane democrazia, ancora in rodaggio, in contrasto con il passato remoto di culla dell’impero romano, con la cultura greca, le incursioni delle dominazioni spagnola e francese inglobate nel loro meglio. L’elenco del ‘non si fa’, di comportamenti contestati dal mondo,  è corposo. Un esempio: intrecciare le dita per gli asiatici corrisponde al gesto osceno di mimare le parti intime delle donne, parlare con le mani in tasca segnala scortese disattenzione e così incrociare le gambe, mangiare in pubblico per i giapponesi è mancanza di rispetto, ci imputano di non attraversare le strade sulle strisce pedonali, di non rispettare il rosso dei semafori, di intrufolarci in faccende personali altrui(“che lavoro fai, quanto guadagni?”). Parliamo al cellulare in pubblico, a voce alta, mangiamo anche con le mani, non lasciamo nulla nel piatto come a dire “abbiamo ancora fame, non siamo soddisfatti di quanto è stato servito”, arriviamo in ritardo agli appuntamenti. Se l’Italia gode comunque del favore di imponenti flussi turistici, nonostante l’insufficiente qualità dei servizi, dei trasporti, il vulnus della sicurezza non garantita, lo deve alla generosità della natura e alla sua cultura senza pari. Napoli lo conferma esemplarmente, con l’offerta della sua ‘grande bellezza’ e una la ricchezza culturale unica al mondo, che compensa i suoi difetti. Incombe, soprattutto sul Sud del Bel Paese la mannaia della cosiddetta ‘autonomia differenziata’ destinata a peggiorare il disavanzo di qualità sud-centronord. Ma l’Italia nel suo insieme ha molto altro di che cui rimproverarsi. Paese di trasformazione delle materie prime, si svende a mezzo mondo, si è liberata quasi per intero di quasi della filiera  alimentare, paga la dipendenza da fonti energetiche non autoctone, soffre per le scorie mai eliminate del tutto del Ventennio nazifascista, per la progressiva  degenerazione della sua classe politica, l’assalto delle mafie a tutti i gangli del sistema economico e da un paio d’anni per la iattura di un governo da zero  in condotta, con minimo credito internazionale, orfano di leader compatibili con il nobile rispetto della Costituzione, affollato di mestieranti della politica imbarcati in un esecutivo di amici e parenti responsabili dello s-governo, di dilettanti allo sbaraglio. A consolarci provvede la classifica dei Paesi peggiori. Il Bel Paese è migliore della Russia di Putin, di Israele a guida Netanyau, dei sovranisti che sopprimono i diritti umani, che accendono guerre, provocano con cinismo le povertà. E però: il meno peggio non è purtroppo il meglio.


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