Napoli, laboratorio sociologico nel bene, nel male

Considerate Cenerentole del Tv system, le emittenti locali, nel bene e nel male, si rappresentano come presidi di attenzione a tutto campo e politicamente neutrali per quanto accade nell’intero territorio nazionale. Fanno eccezione, a causa di dipendenza coatta, quelle sostenute economicamente dai colossi del network, che inseriscono nei loro contratti pubblicitari il via libera per smistare parte degli spot a televisioni regionali e cittadine in cambio di totale condivisione della matrice politica dei ‘benefattori. Un clic incontrollato sui tasti del telecomando ha indotto a interesse. Canale 9, omonimo, ma ben altro rispetto al ‘9’ che accoglie il meglio degli esuli dalla Rai, ha trasmesso un esemplare racconto su Napoli, città delle meraviglie e del disagio, con un filo conduttore di forte coinvolgimento. Strada per strada, vico per vico, luci e ombre della città sono apparse nella dimensione neorealistica del buon cinema, di risposte schiette, espressione di genuina napoletanità di uomini e donne d’ogni età, di ogni status sociale, a domande non prevaricanti dell’intervistatore.  L’esito: un’analisi per nulla superficiale, priva di banalità e folklore, come solo osservatori napoletani sono abilitati a delineare. I precedenti: una mediocre lettura del bravissimo Augias, in quella circostanza di estraneo che ha osservato Napoli nel breve volgere di un fine settimana e la sontuosa rappresentazione di Alberto Angela, ma senza entrare nell’anima, nelle passioni, nelle gioie e dolori della città. L’operazione di Canale9 è stata un’introspezione-verità nell’intimo di un popolo che vive intensamente la Napoli pulsante di miserie e nobiltà. Ha sollecitato risposte delle big televisive, non superficiali, alla domanda sulla rappresentazione dominante di quanto accade nelle città, sulla loro carente e discriminante narrazione, interessata per decenni solo a limiti e difetti di capitale del Sud.

Di che meravigliarsi se Napoli, leader mondiale della pizza, trova sconveniente l’incursione aggressiva di Briatore, che snatura il ruolo storico della ‘margherita’, raddoppia il suo costo popolare, seleziona culturalmente il personale e quasi chiede al personale di sala un master in ristorazione…Di che stupirsi se circola porta a porta l’idea di boicottare l’iniziativa della  pizza di lusso, così lontana dalla tradizione popolare, dalla generosità  della ‘pizza sospesa’ per chi non se la può permettere?

Estemporaneo partenopeo è anche il nigeriano, fenomeno del pallone, Victor Osimhen. Napoli lo accoglie come un figlio, gli riserva calore, stima, empatia. In azzurro merita sicuramente un dieci e lode, ma irriconoscente per quanto la città gli ha dato, forse per giovanile immaturità, annuncia l’addio. Mentre si dipana a stento la matassa dell’esodo, con scelte da ragazzo viziato sembra dicono che si goda i milioni di calciatore strapagato in discoteca. Caso bis di Maradona, genio del calcio gestito malissimo dal suo molto discutibile entourage? Ovvero, chi ha cura della maturità di Osimhen? Dubbio amletico. Meglio trattenerlo a Napoli o agevolarne l’addio?

Che dire dello studio in maniche di camicia della redazione sportiva Ski?

Ha ispirato il mini show televisivo di una battaglia navale al tempo dei pirati e sulle vele ha stampato solo i loghi di Inter, Milan e Juventus. Ha travestito il garbato Costacurta da paludato uomo di mare, che osserva l’orizzonte con un ridicolo cannocchiale. Il calcio, definito con enfasi “Il più grande spettacolo del mondo’, da tempo in Italia ha messo in atto l’autonomia differenziata della destra e il calcio, in una sua quota purtroppo consistente, conferma di essere al servizio del potere discrimina il Napoli ed esibisce il suo lato leghista.


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