L’EUROPA BOCCIA ANCORA L’ITALIA DELLA MELONI

Ci risiamo. L’Europa boccia ancora l’Italia e critica le politiche liberticide del nostro paese sulla libertà di stampa. Risulta dal report 2024 sullo stato di diritto nei paesi membri e servono veramente a poco le critiche piccate del nostro governo. In verità non è la prima volta, già nei precedenti anni la UE aveva aspramente criticato il nostro paese, ma quest’anno le critiche sono state ferocissime e incontrovertibili su diversi ambiti. A cominciare dalla libertà di stampa per finire alla occupazione governativa dei siti dell’informazione istituzionale. Poi la censura nei confronti di troppi giornalisti, spesso culminate in aggressioni verbali e persino fisiche, degne dei peggiori regimi. Come era ampiamente previsto, la maglia nera dei diritti negati spetta all’Ungheria di Orban. Ma subito alle spalle di questa la novità emergente riguarda l’Italia, indicata come uno dei paesi a maggior rischio.

Le critiche che la UE rivolge al nostro paese si riferiscono alla qualità delle riforme costituzionali in cantiere, dal premierato all’ennesimo attacco alla magistratura.

Ma torniamo ai giornalisti, perché ci sembra la critica più grave. In Italia sono ormai all’ordine del giorno pressioni improprie e censure a giornalisti che fanno il loro mestiere. E poco o nulla si riesce a fare per arginare questa tendenza. A volte si fa fatica persino a riconoscere queste aggressioni come atti di violenza e quindi non si riesce condannarle. E quando si abbozza un minimo di autocritica, come ha fatto il presidente del senato La Russa, ne risulta un parlare balbettante, con toni blandi, qualche volta persino giustificatori. Si direbbe che quegli squadristi costituiscano una irrinunciabile risorsa elettorale … da proteggere ad ogni costo contro ogni evidenza.

Il documento della UE critica, tra l’altro, l’occupazione massiccia da parte del governo non solo dell’informazione istituzionale, cosa da anni denunciata dalla UE, ma anche della stampa “indipendente”, che appare asservita alle direttive della destra. Una vera e propria riesumazione del famigerato Minculpop. Ma purtroppo per loro, molti giornalisti “di regime”, sono professionalmente così poco abili e preparati da non mostrare una riconosciuta autorevolezza intellettuale. Hanno inesorabilmente affondato l’audience delle reti RAI, facendone crollare ascolti e credibilità in favore di altre reti indipendenti che, fiutato lo spazio che si andava aprendo, si sono immediatamente attrezzate per accogliere la pletora di professionisti in fuga e in cerca di spazi. Quelle emittenti hanno recuperato molte trasmissioni cancellate dai palinsesti della televisione pubblica e alcuni talk show di confronto giornalistico, che mostrano ancora la loro vitalità e ricevono un grande successo di ascolti.

È la prova che la gente vuole informarsi, ma anche che rifiuta di sentirsi strumentalizzata. Così alcuni programmi che hanno fatto grande la RAI ora sono trasmessi da altri. A queste emittenti (le più note la 7, la 8 e la 9) sembra volersi aggiungere persino qualche rete della nuova Mediaset del giovane Berlusconi (Pier Silvio), che decidendo di mandare in onda un palinsesto con meno piagnistei televisivi o programmi imbottiti di “ballerine e paillettes”, ha invece programmato nuovi talk di informazione e reclutato, allo scopo, noti conduttori in fuga dalla RAI. Queste reti offrono spazi e programmi anche ai giornalisti vittime di censure o intimidazioni.

Ogni anno con questo report la UE stila una graduatoria sullo stato della libertà di stampa nei paesi europei ed esprime una sua valutazione sullo stato di diritto in quegli stessi paesi. Ne risulta una fotografia dello stato dei valori di libertà. Bruxelles basa questo suo giudizio su dati raccolti da dibattiti politici nazionali includendo le obiezioni delle opposizioni, delle associazioni di categoria e delle organizzazioni interessate ai singoli argomenti trattati. Si allarga poi a valutazioni politico-istituzionali sulle nuove riforme in discussione. La prima trattata non poteva che essere la riforma sul premierato. Sono state valutate, anche in questo caso, sia le riflessioni della stampa che le considerazioni di merito fatte dai maggiori costituzionalisti. In quest’ottica il premierato della Meloni è stato definito una minaccia alla “stabilità istituzionale”.

Critiche sono state formulate persino alla “riduzione demagogica” del canone Rai. Si osserva che ciò mina la capacità della tv pubblica di operare efficacemente e in modo indipendente. Preoccupano molto le ripetute minacce e gli attacchi specifici giornalisti per le loro idee.

In conclusione, si evidenzia un problema di “spazio civico”, ormai estremamente ristretto. Ciò coinvolge anche le organizzazioni umanitarie, che continuano a finire sotto attacco per la loro attività di sostegno ai migranti, minacciate da leggi sempre più penalizzanti al solo scopo di rendere inefficaci i loro interventi di salvataggio, costringendo le loro imbarcazioni a girovagare alla ricerca di un cosiddetto “porto sicuro” sempre più lontano, a volte irraggiungibile. Ma soprattutto dando disposizioni alle forze militari deputate al controllo del mare e della sicurezza delle frontiere sempre più confuse. Come dimostra la sentenza conclusiva del processo per i 94 morti di Cutro.

E tutto ciò è solo uno dei tanti contenuti, da cui è scaturita la brutta pagella attribuita all’Italia sul suo stato di diritto.

Infine, il documento analizza la nuova legge abrogativa del reato di abuso d’ufficio, affermando che ciò potrà avere implicazioni nella individuazione delle frodi e degli episodi di corruzione. Tipologie di reato che preoccupano molto la UE, perché siamo considerati inclini a commetterli.

Si è trattato di una dura requisitoria contro un paese, il nostro, che continua imperterrito sulla strada della negazione dei diritti fondamentali. Ora sulla genialata della legge sull’Autonomia Differenziata, cominciano a dissociarsi anche alcuni dirigenti meridionali della destra, a cominciare da presidenti di regione.

Costoro cominciano ad annusare un clima ostile persino tra il proprio elettorato. In questi giorni abbiamo sentito e visto dirigenti locali di partiti governativi raccogliere le firme per chiedere un referendum abrogativo, accanto ai promotori di centro sinistra.

 


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