Occidente alla frutta.
Tutto può cambiare, dalla Francia all’Inghilterra fino agli Usa nel giro di pochi mesi; eppure pochi sembrano rendersene conto.
Un esempio lampante: il voto nel Regno Unito di domani, non poco ‘storico’ perché al 99,9 per cento vedrà tornare dopo 14 anni al governo il Labour Party.
Ma poche mosche bianche lo sanno, i media tacciono, solo oggi una ‘breve’ nei tiggì.
Possibile un tale, e totale, oscuramento?
Concepibile che l’opinione pubblica sia ormai trattata come una mandria da nutrire solo a botte di fake news & disinformazione continua?
Bene, un cenno alle urne british, su cui ovviamente torneremo voti alla mano.
Anche se l’esito, stando ai sondaggi, non lascia scampo ai dubbi: fino a una settimana fa i laburisti ‘doppiavano’ addirittura i conservatori, 40 a 20, percentuale lievemente ridotta nelle ultime ore. E rischiano anche la terza posizione, i Tories, insidiati dai liberali ed erosi, a destra, da quel Nigel Farage che torna in campo al timone di ‘Reform UK’.
Un autentico suicidio politico, il voto anticipato chiesto un paio di mesi fa dal premier britannico Rishi Sunak, “una vera pazzia”, come hanno bollato la sua decisione parecchi colleghi di partito.
Un virus che, di tutta evidenza, contagia i pezzi da novanta dell’Europa, vista la repentina decisione del capo dell’Eliseo, Emmanuel Macròn, a tre settimane dalla debacle, con i drammatici ballottaggi che si svolgono domenica e il rischio concreto della marea NERA di Marine Le Pen: sarà maggioranza assoluta o solo relativa?
Ma l’ingovernabilità, a Parigi, il caos e le tensioni sono assicurate.
Torniamo a Londra. Dove sbarcherà in quel di Downing street un perfetto sconosciuto, un signor nessuno di cui – siamo stracerti – ben pochi conoscono qualcosa.
Perché gli inglesi sono convinti dalle grandi idee Labour?
Neanche per sogno; solo perché sono nauseati dai conservatori.
Quindi c’è anche da aspettarsi un astensionismo crescente.
Il marziano, comunque, si chiama Keir Starmer.
Per una vita avvocato senza infamia e senza lode, una ‘barrister’ come non pochi nei paesi anglosassoni, ossia quei legali che si occupano in prevalenza di ‘diritti umani’. Poi scopre una passioncella per la politica, si iscrive al Labour Party, diventa un esponente della ‘soft left’: in realtà, solo soft e ben poco left.
Il suo ‘programmino’ è morbido, per non dar fastidio a nessuno: un po’ a favore della ‘proprietà sociale’, degli investimenti – senza esagerare – nei servizi pubblici, per alleggerire e caso mai abolire in futuro le tasse universitarie, per una maggiore equità fiscale, caso mai con un occhio alle più grosse evasioni (ma senza ‘toccare’ i padroni del vapore). Ancora, per allungare la listarella delle buone intenzioni, chiede di rallentare le ‘guerre illegali’ (chissà quali sono nella sua mente), e una piccola revisione sulla vendita di armi del Regno Unito all’estero.
Barra dritta, comunque, sul fronte ucraino: “Con me al governo – assicura – il sostegno a Kiev rimarrà forte e solido. Su questo Downing street, opposizione e Parlamento non si sono mai divisi”.
Una decina d’anni fa, nel 2015, appena diventato deputato, ebbe il coraggio (poi perso per strada) di affermare che “la guerra in Iraq non era legale ai sensi del diritto internazionale perché non c’è stata mai una risoluzione ONU che la autorizzava”.
Guerra, invece, non solo avallata, ma addirittura ‘creata’ dal suo illustre predecessore Labour aDowning street, quel Tony Blair che inventò – in combutta con la Casa Bianca ma quale autentico regista – le ‘prove false’, taroccate sul possesso di armi nucleari da parte di Saddam Hussein.
Dopo il defenestramento (e addirittura poi l’espulsione) dell’ex numero uno Jeremy Corbyn, nel 2020 il Signor Nessuno viene catapultato al vertice del mitico Labour Party, dove non dà alcuna prova di esistere fino a qualche mese fa: quando il premier Sunak, incredibile ma vero, chiede il voto anticipato.
Costretto a manifestarsi davanti ai britannici, espone il suo programmino che neanche uno studentello avrebbe osato presentare, totalmente scontato. Ma lui è pacioso, rassicurante, soddisfatto di sé e afferma: “Siamo il partito del cambiamento, ma anche delle speranze di tutti i giorni. Per questo, con il sorriso sul volto, vogliamo vincere le elezioni”. Deamicisiano…
Nell’unico faccia a faccia con il rivalino Sunak – guerra fra ‘titani’ – ha pareggiato, un confronto stucchevole. Neanche animato da ‘tasse’ e ‘immigrazione’, due temi caldi nel Regno Unito.
Secondo il premier, il governo laburista aumenterà le imposte di almeno 2.000 sterline in più all’anno per ogni cittadino. “Una bugia”, ha risposto e niente più il contendente.
Una frecciatina sull’immigrazione, quando Sunak ha ‘accusato’ (sic) il candidato Labour di “voler sedere al tavolo delle trattative con gli ayatollah”. Così gli ha risposto l’avvocato Starmer: “Le politiche dei conservatori non hanno funzionato. Un numero record di persone sta attraversando la Manica. Alcune centinaia verranno portate con dei voli in Ruanda, una spesa enorme per i contribuenti. Sono 50.000 le persone arrivate da quando Sunak è premier”.
Capito il ‘livello’ dello ‘scontro’?
Un altro avvocato, con la scontata vittoria Labour, sbarcherà come ministro degli Esteri, in questo drammatico frangente geopolitico di guerre ovunque.
Si tratta di David Lammy, 52 anni, da 24 in politica, genitori della Guyana, cresciuto in uno dei quartieri più malfamati di Londra, Tottenham. Laureato ad Harvard, il prestigioso ‘Tatler’ lo colloca al secondo posto della hit dei vip britannici d’oggi. Pro Israele, è stato fortemente contestato dagli studenti scesi in piazza a fianco del popolo palestinese massacrato quotidianamente.
Una breve nota: il futuro numero uno di Downing street Starmer ha sposato Victoria Alexander, professione avvocato tanto per cambiare, di fede ebraica: e i due figli della coppia sono stati cresciuti nell’osservanza della religione che si ispira alla ‘Torah’.
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