SAMARCANDA, IL MITO TRADITO DI UN’INTERA GENERAZIONE

Si arriva a Samarcanda dopo un lungo viaggio di avvicinamento tra meravigliosi siti UNESCO e piccole cittadine. Samarcanda nel secolo scorso è stata un luogo mitico per intere generazioni, perché crocevia dei commerci con la Cina in quanto snodo obbligato lungo la via della seta, e tappa intermedia per tanti giovani nei viaggi spirituali in India. Le sue madrase, le scuole coraniche deputate alla formazione dei giovani ma anche vere e proprie università rivolte a giovani uomini e qui, in Uzbekistan, anche alle donne, non solo per addestrarli a gestire i riti della religione islamica ma anche di formare e fornire le necessarie competenze a medici, astronomi, ingegneri e ogni altro tipo di professionalità. Alle madrase si affiancano spesso splendide moschee e incredibili piazze colme di sogni e di bellezza. Le donne di Samarcanda sono certamente le più libere ed emancipate del mondo islamico. La città insiste in un paese giovane e pieno di potenzialità. È uno dei pochi paesi influenzato positivamente dalla dominazione sovietica post-rivoluzionaria che ha aggiunto quel tocco laico che ha consentito agli uzbeki di acquisire una grande libertà e un’attenzione alla modernità.

Ma qui vogliamo sottolineare due fatti importanti significativi della struttura psicologica e caratteriale di un popolo.

Il primo è certamente la presenza sui minareti e sui pinnacoli di tanti nidi vuoti di cicogne. Da notare che questi splendidi migratori da oltre ottanta anni non arrivano più in quelle terre a causa dei mutamenti climatici dovuti alla desertificazione causata dal prosciugamento del lago di Aral. Quei nidi vuoti restano lì nella certezza che le cicogne torneranno. Se per tutti questi anni le cicogne non sono più tornate a Samarcanda e in tutto l’Uzbekistan è perché non potrebbero sopravvivere a causa del caldo asfissiante e dell’inaridimento di quelle terre ormai desertificate. Quei nidi vuoti sono però custoditi con cura dagli uzbeki, e costituiscono il segnale che indica l’ottimismo di quel popolo, ancora capace di guardare al futuro con fiducia aspettando il ritorno di un animale simbolo della sua identità.

Il secondo è un rilevante fenomeno naturale, quello del prosciugamento del grande lago di Aral. Un lago che fino alla metà del secolo scorso era il terzo più grande specchio di acqua salata al mondo e che oggi è ridotto a un decimo della sua estensione originaria. Aral rappresenta uno dei più gravi disastri ecologici causato dall’uomo … e non solo nell’area eurasiatica. Le cause del progressivo prosciugamento del lago risiedono nella pratica delle colture intensive di cotone, introdotte dall’Urss a partire dagli anni Sessanta nell’ambito dei celebri piani quinquennali che assegnava all’allora repubblica socialista dell’Uzbekistan l’obiettivo di diventare il principale produttore di cotone, coltivazione sviluppatasi con la realizzazione di grandi opere di canalizzazione che hanno deviato i fiumi immissari dell’Aral per consentire, con la tecnica dell’inondazione, il raggiungimento degli obiettivi connessi al compito loro assegnato. Questa modalità di sviluppare l’economia ha esposto, da quegli anni, le falde acquifere al clima ­torrido della regione. Come l’utilizzo massivo di pesticidi e fertilizzanti ha totalmente distrutto l’ecosistema dell’area, inquinando pesantemente il lago e minando l’economia dei popoli di quella zona che vivevano di pesca. La spaventosa crisi da inquinamento del terreno ha accentuato i danni dovuti ai concomitanti esiti dei cambiamenti climatici locali e causato la sostanziale sparizione dello stesso lago, le cui acque regolavano il clima del territorio circostante e consentivano di vivere in territori fertili con ricche coltivazioni. Si è allora determinata un’alta incidenza di malattie, soprattutto nelle fasce infantili con un alto tasso di mortalità, più che doppio rispetto a quello del resto del paese. La mancanza d’acqua ha causato anche un inevitabile impoverimento della regione distruggendone l’economia, fino a quel momento fondata su pesca e agricoltura. Al punto che il confinante governo kazako ha introdotto, a partire dal nuovo secolo, alcune misure efficaci per arginare il disastro ecologico costruendo una grande diga allo scopo di innalzare il livello delle acque almeno nella parte nord del lago, oggi è diviso in quattro piccoli laghi confinati nella dorsale nord-occidentale del bacino originario.

Ardui e infruttuosi nonché vani sono stati i tentativi di affrontare la questione sul piano regionale coinvolgendo tutte le nazioni interessate. La portata transnazionale della problematica ha ostacolato la realizzazione di progetti coerenti e l’assunzione di misure tempestive d’intervento, questo a causa degli egoismi nazionalistici e della inevitabile politicizzazione degli interventi stessi. I paesi che con l’Uzbekistan sono attraversati dai fiumi immissari del Lago Aral (il Tagikistan e il Kirghizistan) hanno infatti voluto negoziare la concessione della preziosissima acqua che attraversa i loro territori in cambio di accordi per ricevere forniture energetiche. Tutto ciò a causa dell’estrema povertà di quei paesi e della mancanza sul loro territorio di giacimenti di idrocarburi.

La storia, come sempre, si ripete inesorabilmente e splendide civiltà rischiano di scomparire sotto i colpi di una dissennata politica locale e del disinteresse del resto del mondo … cosiddetto civile.


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