Mi dimetto? Non mi dimetto? E’ guerra aperta in Sogin, la società controllata dai ministeri dell’Economia e dello Sviluppo e incaricata del delicatissimo (e multimilionario) compito di “gestire” le scorie nucleari nonché di programmare e mettere in campo la realizzazione del maxi Deposito Nazionale che dovrà ospitare tutto quanto proviene dalle varie centrali e depositi ancora sparsi nel Paese (una quindicina).
A fine ottobre l’amministratore delegato di Sogin, Riccardo Casale, lancia un pesantissimo j’accuse e invia una lettera di dimissioni ai ministeri. Pier Caro Padoan coglie la palla al balzo, ne prende atto e comunica di accettarle. Ma ecco che Casale fa marcia indietro, potendo contare sui freschi dati dell’ultimo – a quanto pare positivo – anno di gestione: dimissioni revocate, punto e a capo. La guerra continua. Intanto, la voragine nei conti si allarga, ogni mese escono sei milioni dalle casse pubbliche per finanziare le non più funzionanti (ma presidiate) centrali e per “non gestire” il futuro, visto che il decommissioning è ancora in alto mare, così come la scelta del sito per il Deposito e il varo della nuova autorità in materia, ossia l’Isin, istituto per la sicurezza nucleare, che dovrebbe svolgere il ruolo dell’Ispra.
Ma cosa denunciava Casale nella sua lettera di dimissioni di tre mesi fa? Fa riferimento a “problemi gravi dettati dallo stato di inerzia dell’operatività di Sogin”, provocati da un consiglio d’amministrazione “sfiancato da interminabili e sterili polemiche instillate irresponsabilmente da chi lo presiede” e che “si attarda sempre più su questioni di micro-management mentre manca di visione e non è più in grado di deliberare con la necessaria serenità”. Un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del presidente, Giuseppe Zollino. “La governance societaria, profondamente inadatta, andrà ripensata – prosegue Casale – perchè c’è bisogno di una nuova Sogin se si vuole andare avanti”. Non è finita, ecco altri strali: “I verbali del cda attendono da quasi cinque mesi di essere approvati, il consiglio non viene convocato da quasi quattro mesi, opere soggette a prescrizione Via (valutazione d’impatto ambientale, ndr) non vengono deliberate, con il rischio di illeciti penali e ormai si è fuori tempo massimo per l’approvazione del piano quadriennale”.
Una vera bomba, quasi nucleare. Per denunciare la totale inadeguatezza di Sogin a svolgere il suo compito istituzionale: accuse verso tutto il management, verso il presidente Zullino, ma in qualche modo verso se stesso, visto che da due anni Casale occupa la poltrona di amministratore delegato, non proprio l’usciere di casa Sogin.
A livello politico, il silenzio più assoluto. Rotto unicamente dai 5 Stelle che hanno rivolto una dettagliata interrogazione parlamentare nei confronti dei ministri interessati, Padoan e Guidi. E dalle rimostranze del Pd Alessandro Bratti, presidente della commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Ecco cosa osservava Bratti ad ottobre, prima della bufera Casale. Cnapi, ossia la Carta Nazionale delle Aree potenzialmente idonee ad ospitare il sito: “siamo in forte ritardo, ancora nella fase preliminare che precede l’avvio di un percorso condiviso di informazione sui territori che saranno coinvolti”. E Bratti puntava l’indice contro chi, come Simona Vicari dell’Ncd, sottosegretario allo sviluppo economico, fa riferimento ad alcune località come possibili siti, “facendo immaginare una sorta di trattativa sotterranea su ipotetici siti del nord Italia, con una procedura perlomeno curiosa”.
Bratti parla di “ritardi della Sogin nelle attività di decommissioning che hanno un riverbero importante sul costo complessivo del nucleare che, a sua volta, si ripercuote sul costo delle bollette dei cittadini”. Poi, a proposito dell’Isin: “si tratta di un’altra grandissima criticità. L’Istituto, che avrà importanti funzioni di controllo, deve essere completato prima della pubblicazione della Carta. La nomina del direttore è ferma da mesi”.
E pensare che era stata fissata una dead line, una data massima per il varo della Carta: 20 agosto. E per iniziare quella denuclearizzazione votata – al solito inutilmente – dagli italiani nel referendum del 1987: una montagna di voti finiti in discarica (come, per fare solo un esempio, sulla responsabilità civile dei magistrati, una sceneggiata senza fine).
Un’altra Zuppa del Casale, dopo le denunce da novanta dell’amministratore delegato? O dal governo lo straccio di una risposta?
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