FINCHE’ LA CASSA VA

E’ la nuova Iri della Renzi generation? La cassaforte del prossimo partito della Nazione? Il fresco Vangelo economico-finanziario secondo Matteo? Se ne sentono un po’ di tutte a proposito della neo CDP, la Cassa Depositi e Prestiti che dopo aver messo a segno l’operazione Saipem (con una valanga di danari pubblici “per ora” buttati al vento) vede profilarsi altre tre operazioni da novanta (e da brividi), come Monte Paschi di Siena, Ilva e Telecom. Ma su tutto lo scenario pende l’incognita Ue: si tratta di aiuti di Stato, quindi vietati dalle regole comunitarie, oppure no?

Procediamo con ordine e partiamo proprio dalle ‘news’.

Schermata 2016-01-31 alle 20.19.08Fronte Monte Paschi. Dopo un mese bollente, con una tre giorni da super crac e una perdita in Borsa che sfiora il 50 per cento, e poi un altrettanto repentino recupero, ecco profilarsi all’orizzonte un maxi salvagente di Stato, a bordo delle Poste, che si stanno sempre più trasformando in una vera e propria Banca, potendo contare sulla capillare presenza di sportelli sul territorio e sulla gran massa di clienti (oltre 5 milioni). Secondo le indiscrezioni, il braccio operativo dell’operazione sarà proprio la Cassa depositi e prestiti, che già gestisce la gigantesca massa di risparmi postali, oltre 250 miliardi di euro. Il trend in ascesa dei buoni fruttiferi postali è confermato dal dato più recente, con una fresca raccolta, negli ultimi mesi, da 2 miliardi di euro. Non è escluso poi un corollario, che potrebbe vedere l’ingresso in scena anche di alcuni operatori creditizi. Potrebbe infatti essere proprio il nuovo soggetto che nascerà dalle ceneri delle 4 banche ad entrare in pista, caso mai per gestire una parte – la migliore, quella più garantita – delle ingenti sofferenze destinate invece alla bad bank. Fantasie? Ipotesi campate per aria? “Una pista più che credibile – osservano a piazza Affari – visto che il salvagente pubblico è stato già azionato generosamente con Monte Paschi, con un allegro prestito da 4 miliardi di euro su cui la Ue ha chiuso gli occhi. Mentre i risparmiatori sono abbandonati regolarmente al loro destino e le piccole imprese muoiono”.

Fronte d’acciaio. Fine gennaio, clima bollente anche a Genova per la due giorni di manifestazioni operaie (sembra di respirare finalmente qualche boccata di sana lotta d’un tempo) sul caso Ilva. L’esecutivo Renzi non risponde alle sollecitazioni Fiom per un confronto politico immediato in vista dell’incontro del 4 febbraio sull’Ilva di Cornigliano e soprattutto per far chiarezza sulle ultime esternazioni del ministro dello sviluppo economico e su alcune voci trapelate dai vertici di CDP. Secondo Federica Guidi le trattative per la vendita del gruppo procedono speditamente, “per rimettere a breve tutto il complesso Ilva sul mercato, rilanciarlo, fare un turnaround, mantenere gli impegni sull’aspetto ambientale”. Mentre il direttore generale della Cassa, Fabio Gallia, si dichiara “disponibile, con un ruolo di minoranza, a un progetto sull’Ilva che permetta all’azienda di tornare competitiva”.

 

UN ASSO NELLA MANICA CHIAMATO SCARONI

Tramontata la pista coreana con Posco? Sarà cordata italiana capeggiata, appunto, dalla Cassa di casa nostra? O un poco credibile mix? Comunque sia, in pole position per la guida della nuova Ilva, corteggiatissimo dal premier Renzi, si profila un ‘uomo forte’, Paolo Scaroni. Ecco cosa scrive il Sole 24 Ore: “E così assume una consistenza maggiore il pressing, morbido ma perseverante, che il governo – nelle persone del premier Renzi e del ministro Guidi – ha iniziato, un mese e mezzo fa, su suggerimento anche di alcuni imprenditori interpellati, e ha intensificato sull’ex amministratore dell’Eni nel periodo natalizio, in concomitanza con la predisposizione del bando d’asta per l’Ilva”. “Scaroni – viene aggiunto – conosce bene il mondo della siderurgia: dal 1985 al 1996 è stato vicepresidente delegato della Techint, la società della famiglia Rocca. Da metà del 2014 è vicepresidente di Rotschield. La banca d’affari inglese, nell’estate di quest’anno, è stata scelta come advisor dell’Ilva dal commissario Piero Gnudi”.

Gian Felice Rocca

Gian Felice Rocca

Facce che ritornano, destini che s’incrociano. Eterno candidato alla poltronissima di Confindustria, rimbalzato anche come possibile candidato (per il centro destra o sinistra fa al solito lo stesso) per la corsa a sindaco di Milano, Gianfelice Rocca preferisce coltivare i suoi affari ‘pesanti’, a bordo di Techint & consorelle, e magari il super sogno nel cassetto: la scalata a RCS e la fusione tra Corsera e Sole 24 Ore.

Per la prossima (in primavera) successione di Squinzi molti vorrebbero proprio Scaroni al vertice di viale Astronomia, capace di tessere le giuste trame politiche per rilanciare il ruolo di Confindustria: lui, invece, preferisce attendere la grande chance Ilva, convinto anche del fatto che le inchieste a suo carico per “corruzione internazionale” legate alle vicende Eni-Saipem sono un problema facilmente bypassabile. Come del resto è successo proprio per la nomina di Gallia alla direzione Cdp, nonostante vi sia ancora a suo carico l’inchiesta della procura di Trani per lo scandalo “derivati”, venduti allegramente dai grossi istituti di credito, come BNL-Paribas, dal cui vertice proviene Gallia. Per Gallia e Scaroni, dunque, portoni aperti e tappeti dorati ad accoglierli.

E proprio in compagnia di Scaroni (cugino della craxiana doc anni ’80 Margherita Boniver) approdiamo a casa Saipem. Dove tre mesi fa ha fatto il suo trionfale ingresso nell’azionariato il Fondo Strategico controllato da Cdp, con l’acquisizione del 12,5 per cento. Tutto ciò nonostante la bellezza di tre inchieste per corruzione internazionale sul groppone (appalti in Nigeria, Algeria e Brasile), di cui la Voce ha fornito ampi dettagli in altre inchieste, e i continui tonfi in Borsa. L’ultimo, pesantissimo crollo, il 22 gennaio; e l’azienda alle prese con l’aumento di capitale e le strategiche decisioni sul prezzo del titolo. Risultato dell’operazione: per gli investitori si è registrata una perdita record, pari al 38 per cento, cui si aggiunge un’identica percentuale per il maxi sconto deciso (tra non pochi contrasti interni) al fine di sostenere le vendite azionarie. Tenuto presente l’andamento in picchiata nel prezzo del greggio, il valore di Saipem sul mercato ha perso oltre i due terzi: da Guiness dei primati. “Ciò rende quasi irrealizzabile il piano industriale presentato a ottobre scorso dall’amministratore delegato Stefano Cao”, commenta Repubblica. In soccorso arrivano i pompieri del Corsera, sempre pronti ad esaltare le performance del colosso impiantistico: “il buon esito dell’operazione è garantito da un nutrito consorzio di banche”, sette sorelle del credito nazionale e internazionale, da Unicredit e Mediobanca, a Jp Morgan e Goldman Sachs.

Claudio Costamagna

Claudio Costamagna

Ma a suonare la fanfara è il neo super presidente di Cdp, Claudio Costamagna, una vita ai vertici di Goldman Sachs. Mentre il titolo sprofonda, il comandante suona la tromba: “Saipem risponde alle caratteristiche di un investimento stabile per Cdp. Si tratta di un’azienda ben gestita e con fondamentali solidi. Inoltre le notizie che arrivano dall’Iran potrebbero essere importanti”. Merito del taumaturgico incontro del premier Renzi con il capo iraniano Rouani? Di un magico coniglio che potrebbe uscire dal cilindro a base di quasi 2000 chilometri di oleodotto da realizzare nell’ex Persia e lavori per 4 miliardi di euro? Ecco le anticipazioni via Corsera, che potrebbero ridar fiato al titolo e ri-ossigenare le casse: “Saipem ha siglato due memorandum of understanding: uno con la National Iranian Gas Company, per una possibile collaborazione su progetti relativi a pipelines, e l’altro con la Persian Oil & Gas Development per una possibile collaborazione nei lavori di ammodernamento e potenziamento delle raffinerie di Pars Shariz e di Tabriz”. Memorandum d’intesa, progetti ‘possibili’: promesse alle quali difficilmente possono abboccare gli habitué di piazza Affari…

Altro capitolo, uno dei must per i Renzi boys: “banda larga” per tutti, la democrazia che corre nell’etere. Da qui, il sempre caldo dossier Telecom, storicamente appetibile a partire dalla Colaninno-D’Alema story. Oggi in Cdp smentiscono ogni ipotesi di entrare in una scatola intricata e “pericolosa” come Telecom. Ma fino a ieri non era così, ricordando anche i casi delle ‘sorelle’ tedesca (con KfW socia di Deutsche Telekom) e francese (con CDC azionista di maggioranza in Orange, la ex France Telecom). E’ Costamagna in versione Babbo Natale a confermare sotto l’albero. Ecco cosa scrive Florina Capozzi il 17 dicembre per il Sole 24 Ore: “Cassa depositi e prestiti non esclude la possibilità di entrare nel capitale di Telecom Italia. Il presidente Costamagna lo ha detto chiaramente nel corso della presentazione del piano industriale di Cdp che annuncia 60 miliardi di investimento tra 2016 e 2020. Per la prima volta, l’ex banchiere di Goldman Sachs esce allo scoperto sul tema della fibra. E lo fa a via XX settembre, con accanto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e l’ad di Cdp Fabio Gallia. ‘Abbiamo due obiettivi – ha spiegato Costamagna – il primo è sostenere il governo nello sviluppo della banda ultralarga in tempi brevi, il secondo è valorizzare l’investimento in Metroweb’, la controllata Cdp attorno alla quale l’ex presidente Franco Bassanini avrebbe voluto costruire un ‘condominio di operatori’ per la fibra. Per il momento, però, sul tema della banda ultralarga, nulla è dato per scontato: Metroweb sta dialogando con Telecom, ma anche con Enel, Vodafone e Wind, come ha puntualizzato il banchiere sostenendo che si sceglierà la migliore opzione per favorire un rapido sviluppo della nuova rete in fibra”. “In base a quale criterio sarà ritenuta ‘migliore’ resta un mistero – commentano a piazza Affari – se è quello che ha portato all’operazione Saipem stiamo freschi. E staranno freschi soprattutto i risparmiatori, quelle migliaia di piccoli e piccolissimi risparmiatori che con i loro libretti postali alimentano ogni giorno una immensa liquidità pari alla stratosferica cifra di 250 miliardi di euro”.

Ma dal pedigree di Costamagna emerge un piccolo conflitto d’interessi: è stato uno dei principali consulenti di Vodafone…

 

CONFLITTI & MATTONI

Da un conflitto all’altro il passo è breve. Ed eccoci all’ennesima gemma nel curriculum del fresco numero uno di Cdp: la presidenza di un altro Big One, il colosso di mattoni & infrastrutture Salini-Impregilo, nel cui multimiliardario portafoglio di ordini nazionali ed esteri fa capolino, per fare un solo esempio, la realizzazione dei lavori per la linea 4 del metrò milanese. Opere che costano circa 1 miliardo e 800 milioni di euro pubblici destinati a finire nelle grasse casse dei mattonari privati: una fetta, pari a circa 200 milioni, verrà stanziata proprio dalla sempre generosa Cassa depositi & prestiti. Per la serie: il presidente di Cdp Claudio Costamagna finanzia la Salini-Impregilo presieduta da Costamagna Claudio. Ma sicuramente un terzo Costamagna ha firmato la letterina di dimissioni (di certo nella stessa data in cui entrava nei salotti Cdp) dal colosso di dighe & ponti.

Scherzi a parte, sempre più salda l’amicizia tra Renzi e il timoniere del colosso, Pietro Salini, soprattutto via Kazakistan. Grazie agli sforzi del premier, infatti, il barometro dei rapporti con quel Paese volge al meglio, con una sfilza di maxi appalti per casa Salini-Impregilo e il fresco affare da 50 milioni di euro per la vendita della controllata Todini alla Prime System Kz Ltd (l’ex europarlamentare Pdl Luisa Todini è l’attuale presidente di Poste Italiane). Ma per big Salini c’è un altro maxi affare in vista: quel Ponte sullo Stretto che sembrava ormai in soffitta e che oggi il governo Renzi – in perfetta linea con gli esecutivi Berlusconi – vuole a tutti i costi: “non è solo un’idea affascinate – rivela il neo ministro degli Affari regionali Enrico Costa – è una scossa decisiva per rilanciare sviluppo e occupazione nel Mezzogiorno”. E per dare un formidabile sprint ai fatturati di casa Salini-Impregilo.

Fabio Gallia

Fabio Gallia

E sempre a proposito di mattone, nella hit degli investimenti targati Cdp resta in prima linea: “Cdp – scrive Fiorina Capozzi – continuerà ad investire nel mattone degli enti locali, per ‘aiutare i comuni a valorizzare i loro asset’, come è stato fatto in passato con Firenze e la discussa compravendita del teatro comunale”. Del resto non vanno dimenticate, nel vasto arcipelago di partecipate e controllate in Cassa, il 70 per cento riconducibile a CDP Investimenti Sgr e il 100 per cento di CDP Immobiliare (l’ex colosso Fintecna) ai quali potrebbe presto aggiungersi una nuova gemma, Invimit Sgr, oggi interamente nelle mani del ministero dell’Economia, al timone Elisabetta Spitz, per anni regina del parastato in sella alla direzione generale del Demanio. “Un’operazione – sottolineano ancora a piazza Affari – che porterebbe ad un rapporto privilegiato e diretto tra Cdp ed enti locali, visto che l’80 per cento di tutti gli immobili pubblici fa capo agli enti locali. Nell’ultimo triennio la Cassa ne ha già acquisiti per quasi 800 milioni di euro e lo shopping potrebbe continuare, anche a ottimi prezzi, visto che solo una briciola sono vendibili subito sul mercato. Per gli altri occorrono lavori di ristrutturazione, manutenzione e valorizzazione, operazioni che potrebbero finire tutte nell’orbita Cdp”. Il mattone di (para) Stato, quindi, s’ingrossa…

Da un settore all’altro, eccoci addirittura alla lavorazione e commercio di derivati del sangue. Caso mai dei lavoratori Ilva? O di piccoli e medi imprenditori, per favorire i cui destini la Cassa (speriamo non funebre) promette di intervenire nei sui svariati ‘piani strategici’? No, stavolta abbiamo a che fare sul serio col sangue. Visto che i fluenti rubinetti del Fondo Strategico Italiano controllato da Cdp non si sono aperti solo per l’oro nero (Saipem, 12,5 per cento), o per le fibre (Metroweb, 46 per cento), oppure per il lusso e il made in Italy (la catena Rocco Forte Hotels, 11,5 per cento; la IQ Investment Company con il Quatar, 50 per cento), o ancora sui vasti fronti energetici (Ansaldo Energia, 44 per cento: Hera, 0,4 per cento) o delle infrastrutture (Trevi spa, 8,5 per cento; Valvitalia spa, 49,5 per cento; Sia spa, 42 per cento). Ma anche dell’oro rosso, entrando a vele spiegate nel già ricco azionariato di Kedrion, la corazzata (con una nutrita flotta al seguito) di casa Marcucci.

Non nuova a regali di Stato, Kedrion, l’azienda che detiene il quasi monopolio della distribuzione di emoderivati in Italia, e in pole position a livello internazionale: da segnalare, infatti, oltre ai pingui fondi via Cdp, anche un cadeau confezionato dal governo Monti proprio sotto l’albero di Natale 2011. C’è chi commenta a palazzo Madama: “E’ riuscita ad ottenere dal ministro della Salute Lorenzin una normativa confezionata su misura, Kedrion, per le forniture di emoderivati in tutte le Asl del Paese, finti bandi dall’esito scontato. E poi può contare sulla star di famiglia, Andrea Marcucci, l’antenna di Matteo in Senato, il più renziano dei renziani”. Vero cuor lib-lab, visti gli esordi a Montecitorio sotto i vessilli, nel 1992, di Sua Sanità Francesco De Lorenzo. Importerà mai qualcosa, in casa Cdp, se i nomi delle aziende del gruppo Marcucci rimbalzano tra le carte dell’inchiesta sul sangue infetto, con un processo che dopo quasi vent’anni il 15 febbraio approda in tribunale a Napoli? A quanto pare le fedine penali non contano, in Cassa. Anzi, vanno esibite con fierezza.

Qualche passaggio finale sui vertici di Cassa, Costamagna e Gallia. Non pochi gli itinerari paralleli, a partire dalle alte frequentazioni delle sfere bancarie. Denominatore comune, per un lungo tragitto, ‘O Banchiere, al secolo Cesare Geronzi. E’ tutta targata Banca di Roma e poi Capitalia, infatti, la carriera di Gallia, fino alla fusione con l’Unicredit made in Alessandro Profumo. Una fusione, guarda caso, “orchestrata” proprio da Costamagna, in quel 2007 “super consulente per le alleanze strategiche”. E a quanto pare fu lo stesso Geronzi a volere Costamagna come advisor di Capitalia. Aveva cominciato alla Montedison di Mario Schimberni, Costamagna, nella cui irresistibile ascesa una tappa fondamentale si chiama “Britannia”, giugno 1992, i potenti della finanza a decidere i destini del mondo: e lui a consolidare – tra gli altri – il legame con Romano Prodi, che “eseguirà” con metodo il piano Britannia per la svendita dei gioielli di casa Italia, in sella all’Iri.

E il fresco numero uno Cdp così potrà a ragione gonfiare il petto: “quando lavoravo in Goldman Sachs ero l’europeo più importante in assoluto”: e in effetti entrò in Goldman quando il fatturato europeo, nel 2001, era di appena 700 milioni di dollari, per uscirne, cinque anni dopo, con un volume d’affari lievitato a 12 miliardi. “In fondo Draghi è entrato in Goldman dopo di me – gongola ancora – quando io ero al vertice”.

 

Nel fotomontaggio di apertura, Matteo Renzi e, a destra, Paolo Scaroni

 

per approfondire:

SAIPEM / MILIARDI FACILI DALLE BANCHE E BUFERE GIUDIZIARIE IN ARRIVO

10 gennaio 2016

LA MAXI CORRUZIONE DELLA BRASILIANA PETROBRAS / DENTRO SAIPEM E MONTE DEI PASCHI DI SIENA

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