Confronto all’americana tra pochi giorni – il 18 febbraio – a Palermo. Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino, ammazzato insieme alla ragazza che aveva appena sposato il 5 agosto 1989, verrà messo faccia a faccia con un nuovo, “vecchio” indagato: ossia un collega di polizia della mobile di Palermo, Giovani Aiello, alias “faccia di mostro”, il cui nome fa capolino in altre torbide vicende di mafia.
L’ottantenne ma lucidissimo Vincenzo dovrà indicare – tra una serie di volti, tutti molti simili a quello di Aiello – quello dell’uomo che pochi giorni prima di quel duplice omicidio aveva fatto una strana visita a casa Agostino, a Villagrazia di Carini. “Erano in due – ha più volte ricostruito davanti agli inquirenti il papà dell’agente ammazzato con la moglie, Ida Castelluccio – quello con il volto sfregiato guidava una moto, l’altro era più giovane, di statura più bassa e con i capelli scuri. Fu quello più basso a bussare alla porta della mia villetta. Mi chiese dov’era Nino. Io gli risposi che era in viaggio di nozze. Fu a quel punto che l’altro, lo sfregiato, che fino a quel momento era rimasto sulla moto, disse all’amico: ‘Digli che siamo dei colleghi, poliziotti’. E se ne andarono. Una settimana dopo vennero uccisi Nino e Ida, che era incinta”.
Quindi, un triplice omicidio per il quale ancora oggi, a 27 anni di distanza, i killer sono uccel di bosco, nessuno ha pagato niente ma ora – vivaddio – nel processo si apre uno spiraglio. Inchiesta e processo di particolare significato – anche se perfettamente oscurati dai media – dato che potrebbero emergere altre piste per la strage di Capaci e l’attentato dell’Addaura; e soprattutto sulla collusione di pezzi dello Stato – in questo caso delle forze di polizia – con Cosa Nostra.
“Io devo la vita a questo ragazzo”, rivelò Giovanni Falcone all’ispettore Saverio Montalbano (la figura che ha ispirato i celebri romanzi di Andrea Camilleri), all’epoca dirigente del commissariato di San Lorenzo dove lavorava Nino. Così commenta l’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino: “Si tratta di una circostanza che richiama con evidenza l’attentato subito da Falcone un mese e mezzo prima del delitto Agostino ad opera degli stessi affiliati alle famiglie mafiose di Resuttana e dell’Acquasanta”.
Fino ad oggi sul banco degli imputati per l’omicidio di Ida e Nino due boss da non poco, Antonino Madonia e Gaetano Scotto, per i quali però già nel 2013 i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene a dicembre 2013 chiesero l’archiviazione. E i nomi di Scotto e Madonia (peraltro condannati all’ergastolo per un omicidio di tre mesi prima, aprile 1989) portano a non poche inquietanti connection. Agli atti, ad esempio, ci sono le rivelazioni fatte al giudice Vito Lo Forte da Pietro Scotto, fratello di Gaetano, sui rapporti tra intrattenuti da quest’ultimo con esponenti della polizia e dei servizi segreti. Ma c’è un altro pentito che sa parecchio: si tratta di Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta, lo stesso che a novembre 2014 svelò il piano mafioso per eliminare il giudice Di Matteo. E’ Lo Forte a ricordare, pur se non in modo particolarmente preciso, una circostanza: “Vito Galatolo mi sembra che me ne parlò, mi disse la stessa cosa che mi ha detto Pietro Scotto”.
Certe amicizie, a quanto pare, sarebbero arrivate molto in alto. Così ha scritto, a metà 2015, il Gip Maria Pino: “Dovrà tenersi conto di quanto il collaboratore Angelo Fontana ha ritenuto di aver appreso da Angelo Galatolo, figlio di Giuseppe, e da Antonino Pipitone, sia di quanto dichiarato da Francesco Onorato, in merito al rapporto che anteriormente al 1992 sarebbe valso a legare Antonio Madonia, esponente apicale del clan di Resuttana, al funzionario della polizia Arnaldo La Barbera”.
Scomparso qualche anno fa, l’ex capo della Mobile di Napoli e Palermo, La Barbera, è stato accusato mesi fa al Borsellino quater da Vincenzo Scarantino di aver “gestito”, con altri agenti e funzionari, il suo pentimento taroccato per la strage di via D’Amelio, sotto la supervisione del pm Anna Maria Palma (la consorte di Adelfio Elio Cardinale, per anni al vertice del Cerisdi ubicato a Castel Utveggio): e quel processo ha causato una condanna (e la galera) a 16 anni per 8 imputati poi “scoperti” del tutto estranei a quella strage!
Ma torniamo al caso Agostino. E al legame tra quegli omicidi e l’attentato dell’Addaura. Ecco un’altra dichiarazione di Vito Galatolo resa ai pm: “Stefano Fontana mi rivelò che Angelo Galatolo lo aveva visto all’Addaura”: si tratta sempre del giovane agente Nino. Aggiunge Galatolo: “Agostino dai boss era ritenuto un cattivo. Lui come Emanuele Piazza cercavano latitanti, erano i cattivi per noi”. Piazza ha vissuto solo un anno in più: venne freddato a maggio 1990.
Del resto Luigi Ilardo, un collaboratore che sapeva molto, soprattutto sui “movimenti” del super boss Bernardo Provenzano (ma le sue “confidenze” – che poi gli costarono la vita – non vennero tenute in alcuna considerazione), nel 1996 – e cioè pochi mesi prima d’essere ammazzato – sosteneva che i “servizi deviati” avevano giocato un ruolo determinante nell’attentato dell’Addaura: il primo, e unico, avvertimento per Giovanni Falcone.
Per approfondire:
BORSELLINO QUATER, SCARANTINO ACCUSA IL PM PALMA – 3 giugno 2015
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