Il massacro di Mosca.
Le (per ore) 143 vittime al ‘Crocus City Hall’ e un numero imprecisato di feriti.
Benzina sul fuoco di una polveriera già sul punto di esplodere, secondo alcuni esperti la nostra Sarajevo (quando venne assassinato Francesco Ferdinando) che costò l’inizio della prima guerra mondiale.
Ma alcune tessere del possibile mosaico ‘terroristico’ (certo eterodiretto) cominciano a saltar fuori. Nell’auto bianca dei ‘fermati’ sono stati trovati una pistola, cartucce per un fucile d’assalto AKM e, soprattutto, dei ‘passaporti tagiki’, ossia di cittadini originari di una delle 5 repubbliche centro-asiatiche dell’ex impero sovietico, il Tagikistan.
I servizi d’intelligence russa fanno trapelare che i 4 fermati avevano come obiettivo di raggiungere il territorio ucraino, infilandosi in una “finestra” di passaggio per varcare il confine.
E’ cominciato immediatamente lo scambio di accuse reciproche tra Mosca e Kiev, scontato, anche a botte di ‘false flag’, mentre Usa e Regno Unito (ma anche la nostra Farnesina) ribadiscono di aver avuto nei giorni scorsi segnali di possibili, prossimi attacchi di matrice terroristica islamica a Mosca, soprattutto in luoghi molto affollati, e di averli comunicati alle autorità sovietiche.
Insomma, un vero caos che più deflagrante, in questo già bollente momento del conflitto, non si può. La goccia che, come detto, rischia di far traboccare il vaso; o (modello Sarajevo, appunto) la ‘causa occasionale’ che rappresenta la scintilla per dar fuoco alle polveri.
Ma partiamo dall’unico dato a quanto pare certo, il solo elemento che possa indicare perlomeno una pista: i passaporti tagiki.
ATTENTI A QUEI 5
Per trovare un qualche bandolo alla intricata matassa o, se preferite, per cominciare a orientarci nel labirinto delle possibilità, vediamo più da vicino un paio di ‘eventi’ di fine 2023.
19 settembre. Alle ‘Nazioni Unite’ si svolge la 68esima sessione dell’Assemblea. Al termine dei lavori il capo della Casa Bianca, Joe Biden, ha un incontro riservato con Shavkat Mirziyoyev, il presidente di una delle 5 repubbliche asiatiche ed ex sovietiche, l’Uzbekistan. E’ l’occasione buona per rafforzare i rapporti bilaterali tra i due paesi e, soprattutto, per rinsaldare quella ‘cooperazione regionale’ già avviata con i leader degli ‘STAN’, come vengono definite le 5 nazioni centroasiatiche, ossia Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan. Così le definiscono gli esperti di geopolitica: “Cinque repubbliche indipendenti dal 1991 che Washington cerca di corteggiare dopo la guerra lanciata dalla Russia contro l’Ucraina, anche per sottrarle alla crescente influenza cinese nello sfondo della sempre più stretta alleanza tra Pechino e Kiev”.
Su quell’incontro alle Nazioni Unite tra Biden e il presidente uzbeko, potete leggere il pezzo pubblicato il 22 settembre da ‘NuovoMondoEconomico.eu’ e titolato Biden, un bilaterale con il presidente dell’Uzbekistan guardando agli ‘Stan countries’.
Non passa neanche una decina di giorni – è per la precisione il 29 settembre – quando il Cancelliere tedesco Olaf Scholz organizza a Berlino una maxi summit proprio con i 5 leader dei paesi ‘STAN’(Stan e Olaf, coloriscono non pochi).
Al centro dell’incontro, la comune volontà di “consolidare e migliorare” la cooperazione in vita da un trentennio (ossia dopo le ‘indipendenze’ sancite nel 1991) su un’ampia gamma di fronti: economia ed energia tanto per cominciare, quindi clima e ambiente che vanno tanto di moda, cooperazione regionale e scambi commerciali per far girare di più le valute. Un entusiasta Cancelliere – che nel frattempo si mostra favorevole a sostenere in modo sempre più massiccio Kiev contro il nemico russo – promette un prossimo, fattivo incontro con i leader STAN per il 2024, da tenersi stavolta in Asia Centrale. Saranno loro, i 5, a scegliere la location preferita.
Per ulteriori dettagli e ammirare anche le belle immagini d’insieme dei 5 più 1 (sembra il promo per una band musicale), vi proponiamo un reportage messo in rete il 4 ottobre da ‘Asia News’, Berlino corteggia i paesi dell’Asia centrale.
LA PISTA TAGIKA
Ma è arrivata l’ora di sbarcare in Tagikistan, per un flash su quella repubblica lontana e ancora non poco avvolta nel mistero.
Ecco alcuni rapidi cenni storici che forse vi faranno correre qualche brivido lungo la schiena.
Appena ottenuta l’indipendenza, nel ’91, dall’Orso russo, subito brilla la stella cometa del generale che si tuffa in politica e, come vedremo, si autoproclama Zar assoluto, alla faccia della ‘liberazione’ da stalinismi e zarismi.
Ha inizio l’irresistibile ascesa di Emomali Rahmonov, e del figlio prediletto Rustam, super baciato dalla fortuna (ricorda tanto il tandem a stelle e strisce Joe Biden–Hunter Biden). Dopo due anni (dal 1992 al 1994) come Presidente dell’Assemblea Suprema, un piccolo antipasto, viene eletto a furor di popolo (90 per cento e passa dei suffragi) Capo di Stato, proprio mentre infuria la guerra civile che durerà fino al 1997, con oltre 100 mila morti, non una bazzecola. Nel frattempo, sfugge ad un attentato (1997) e schiva due golpe (sempre nel tormentato 1997 e poi nel 1998).
Passata la bufera, arriva il momento per il secondo mandato presidenziale, che celebra trionfalmente a fine millennio, nel 1999, con un tondo 99 per cento dei voti!
Da allora in poi la stella Emomali Rahmonov è in continua ascesa e brilla sempre più forte e, soprattutto, incontrastata.
Nel 2007 decide di tagliare il cordone ombelicale che ancora lo lega alla Russia e, in modo emblematico, cassa le due ultime lettere del suo cognome, che passa da Rahmonov nel più agile (e soprattutto senza le due fastidiose lettere che riportano tanto agli ‘ov’ di antica memoria russa) Rahmon, certo più musulmano, secondo i suoi gusti.
L’escalation continua senza tregua, puntando a vette quasi divine, da vero unicum nella storia (ma chi sono mai i megalomani e i dittatori di turno?).
Nel 2015 si autoproclama ‘Fondatore della Pace’ e ‘Leader della Nazione’. Quindi, si autoconcede l’‘Immunità a vita’, ossia da quel momento in poi non potrà essere più perseguito per alcun reato ed è liberato, a priori, da ogni possibile accusa: lo trovano con il pugnale conficcato nella schiena dell’avversario (tanto non c’è nemmeno)? No problem. Assolto, per lui il fatto non costituisce reato, come direbbero nelle nostre aule di giustizia (per la verità non tanto dissimili, vista l’aria che tira ormai da anni…).
Non è certo finita qui. L’appetito, si sa, viene mangiando, e quindi il Nostro pensa bene che può a questo punto autoproclamarsi ‘Presidente a Vita’, revocando, di fatto, ogni limite ai mandati presidenziali.
Ma è anche uomo di spirito, ‘O Presidente Maximo: perché ha l’amabilità di concedere la chance presidenziale ad un solo candidato in tutto il Tagikistan. E sapete mai a chi? Ma al rampollo tanto amato Rustam, of course! Il quale – lo decide una democratica legge varata nel 2017 – può candidarsi da quel momento in poi quando gli passa per la testa per lo scranno presidenziale occupato da papà.
Ma è ancora presto. Il ragazzo può continuare a divertirsi con il pallone che tanto ama, visto che a soli 24 anni il babbo lo nomina a capo della ‘Federazione nazionale di calcio’ del Tagikistan, l’equivalente della nostra Figc. Non basta, perché anche il prode figliolo è ingordo, e così il sempre generoso babbo lo fa eleggere, sempre democraticamente, dal suo popolo, ad appena 29 anni, sindaco della capitale, Dusanabe. Come se Mattarella avesse fatto ‘scegliere’ ai romani un suo figlio ventinovenne per il Campidoglio, in perfetto stile Nerone (o Caligola, che comunque si limitò a nominare senatore il suo cavallo: e oggi tanti equini figurerebbero ben meglio di tanti, troppi inquilini a Palazzo Madama).
La story della dinasty presidenziale (dimenticavamo, c’è un altro figlio maschio e un settebello di femmine) non è certo finita qui. Perché non vanno mai dimenticati gli affari. Bene, la famiglia è proprietaria del più importante istituto di credito del paese, ossia la ‘Banca Nazionale del Tagikistan’, NTB (‘National Tagikistan Bank’) per i suoi fans. Mentre non disprezza certo le faraoniche infrastrutture, come una delle più grandi (ed è la più ‘in alto’, come altitudine per la sua costruzione) dighe al mondo, quella di Rogun.
E sapete chi sta lavorando da anni per realizzarla e proprio a gennaio 2024 ne ha completato lo strategico ‘basamento’? Ma la nostra ‘WEBUILD’ capitanata dall’intrepido Pietro Salini: quellaWEBUILD tornata prepotentemente alla ribalta delle cronache per il maxi affare – tanto caldeggiato dal ministro e capo Lega Matteo Salvini – del ‘Ponte sullo Stretto’.
Ma com’è davvero piccolo il mondo!
Finito il tour che ci ha permesso di apprezzare tutte le meraviglie ambientali e, soprattutto, politiche e presidenziali dell’ex repubblica sovietica, facciamo un salto indietro proprio a quel fatidico 1991.
QUEL FATIDICO 1991
A proposito del quale ha scritto un memorabile reportage l’autorevole settimanale tedesco ‘Der Spiegel’ proprio nel giorno dell’inizio del conflitto in Ucraina, 22 febbraio 2022, poco più di due anni fa. La ‘Voce’ lo ha ripreso il 23 febbraio e potete rileggerlo: si intitolava LO SCOOP DI “DER SPIEGEL” / I PATTI 1991 CON LA RUSSIA TRADITI DAGLI AMERICANI. OGGI PUTIN HA RAGIONE…
Ebbene, quella grande inchiesta giornalistica – merce ormai rarissima nel panorama mediatico sempre più omologato, cloroformizzato e soprattutto genuflesso davanti al Potere, vuoi rappresentato dagli Usa, vuoi da Big Pharma – dimostrava carte & documenti alla mano (trovati dai reporter di ‘Der Spiegel’ nel Grande Archivio di Londra) come gli accordi di quel fatidico ’91 raggiunti tra la Russia di Michail Gorbacev e i capi delle 4 nazioni più potenti al mondo (Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania) vennero totalmente disattesi, calpestati negli anni seguenti. Veniva infatti stabilito che la NATO non si sarebbe allargata ad Est neanche di un centimetro, oltre la linea del fiume Oder, come fu espressamente messo nero su bianco.
E invece sappiamo tutti – è storia – come sia successo esattamente il contrario: perché da allora in poi sono finiti sotto l’ombrello NATO (e quindi il controllo Usa), una quindicina di paesi ex sovietici. E la Russia, man mano, si è sentita sempre più accerchiata, con i missili puntati dritti in direzione Mosca. E qui nasce – commenta ‘Der Spiegel’ – il crescente risentimento russo, più volte espresso da Vladimir Putin in occasioni ufficiali (ben due volte nel corso del 2021) e infine sfociato nel conflitto con l’Ucraina guidata dal presidente-pupazzo Volodymyr Zelensky, eletto con voto bulgaro (oltre il 70 per cento) alle elezioni farsa del 2019 (almeno si è mantenuto sotto la soglia tagika!).
E proprio due anni fa, ad inizio anno, e prima ancora dello scoppio del conflitto, la ‘Voce’ ha pubblicato ben tre reportage su tre nazioni (Ucraina, Kazakistan e Georgia) dove gli Stati Uniti avevano messo da anni gli occhi e le mani, impiantandovi tra l’altro quei pericolosissimi bio-laboratori, tante piccole Wuhan. In Ucraina oltre una quarantina, dei quali 13 ammessi ufficialmente davanti al Congresso Usa dall’ex numero due del Dipartimento di Stato (si è dimessa poche settimane fa), la ‘zarina’ Victoria Nuland, la regista del golpe bianco di piazza Maidan nel 2014 e dell’operazione bio-laboratori, in combutta proprio con Hunter Biden. Cin cin!
Ecco quei pezzi della ‘Voce’, di estrema attualità anche oggi, con tutto quel che ribolle in quelle aree. E tutti usciti prima dell’inizio del conflitto.
Del 20 gennaio 2022, NEL CUORE DELL’UCRAINA / I 13 BIO-LABORATORI MILITARI & SUPER SEGRETI DEGLI STATI UNITI
Poi, dell’11 febbraio 2022, KAZAKISTAN / “FUGHE” & SEGRETI DEL SUPER BIO-LABORATORIO AMERICANO
Infine, del 14 febbraio 2022, PENTAGONO / PROVOCAZIONI E ‘BIOLOGIC WARS’ CONTRO LA RUSSIA, DALL’UCRAINA ALLA GEORGIA
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