“Nel vostro Paese è molto difficile fare informazione sul Potere e sui poteri mafiosi perchè i giornalisti vengono spesso minacciati e intimiditi, o si autocensurano per via degli editori che li condizionano pesantemente. Da noi in Spagna la situazione è ancora peggiore: se non obbedisci, vieni licenziato direttamente, e non hai via di scampo. Nel giro di alcuni anni, quando la crisi si è fatta più pesante, hanno perso il lavoro oltre diecimila giornalisti”.
Parole dure come macigni quelle di Mario Garcia de Castro a proposito di censura e libertà d’informazione (o meglio, quel poco che ormai resta sul campo). Docente di Informazione Audiovisiva all’Università di Madrid, de Castro a metà dicembre ha partecipato alla stimolante e affollata due giorni (“La censura in maschera”) organizzata alla Biblioteca Nazionale di Roma da “Ossigeno per l’Informazione”, la onlus nata nel 2007 per impulso di Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, il cronista dell’Ora ammazzato dalla mafia. E Ossigeno da anni ha come obiettivo prioritario proprio quello di raccogliere e documentare tutti i casi di giornalisti minacciati, in vario modo, dalle mafie, dando vita ad un “Osservatorio” ad hoc. Tra l’altro, nell’ultima relazione della Commissione antimafia, uno specifico capitolo è dedicato proprio a questi temi “caldi”, regolarmente e “incredibilmente” oscurati dagli stessi media. Ma torniamo alle parole del docente spagnolo, che nella sua analisi parte della “Ley Mordaza”, la Legge Bavaglio da poco approvata dall’esecutivo guidato da Mariano Rajoy.
“A novembre l’International Press Institute ha segnalato che negli ultimi mesi in Spagna sono state adottate misure restrittive della libertà d’informazione. L’analisi critica anche le misure dell’attuale governo: la legge di sicurezza cittadina, chiamata Ley Mordaza, e la controriforma dell’azienda di Radio Televisione Spagnola, la televisione pubblica. Segnala che le multe a chi fotografa le manifestazioni e i membri della polizia, fatti punti dalla nuova legge, pongono in grave pericolo la libertà d’informazione e, rispetto alle misure adottate per Rtve, una riduzione della sua indipendenza”.
Cosa è successo, in sostanza, nella vostra tivvù di Stato?
“Sono state denunciate pressioni, ingerenze e manipolazioni dell’informazione televisiva negli ultimi anni. Prima delle elezioni generali la direzione arrivò a creare un redazione parallela alle informazioni prodotte dai redattori ideologicamente parziali o filo governativi. Anche il rapporto dell’IPI raccomanda che in Spagna sia creato un organismo regolatore indipendente che segua la linea della Legge Generale della Comunicazione Audiovisiva del 2010 su Rtve, che questo governo non ha neanche sviluppato perchè contrario. Ha anche fatto riferimento al fatto inusuale che sia il governo a concedere le licenze della televisione e che lo abbia fatto praticamente in periodo elettorale. E raccomanda al prossimo governo di derogare alla legge e di restituire indipendenza a Rtve. A questa petizione hanno aderito la Piattaforma in Difesa della Libertà di Espressione, il Comitato per la protezione dei giornalisti e la Federazione Europea dei Giornalisti. Il rapporto Ipi sulla Spagna, inoltre, osserva un allarmante aumento della sfiducia dei cittadini nei mezzi di titolarità pubblica, ampiamente percepiti come strumento al servizio del potere politico”.
Ci può dare qualche numero sullo stato di crisi del giornalismo in Spagna?
“Dall’inizio della crisi economica, più di 11 mila giornalisti hanno perso il lavoro e più di 100 media in Spagna hanno dovuto chiudere. La perdita dei ricavi per la pubblicità è stata traumatica, dimezzando letteralmente in pochi anni. Ma è sul versante dell’impiego che si registrano le note e i numeri più drammatici”.
Quali sono?
Gli espedienti di regolazione dell’impiego e il prepensionamento dei giornalisti veterani, sostituiti nel migliore dei casi da giovani con contratti precari, si sono verificati in tutti i grandi media. La precarietà è la caratteristica comune: il 67 per cento dei giornalisti ha vissuto quello che da noi si chiama ERE (“espediente per la regolarizzazione del lavoro”) nella propria azienda negli ultimi cinque anni e il 76 per cento una riduzione del salario. In queste condizioni l’esercizio rigoroso della professione giornalistica è messo in discussione e il rispetto dei codici deontologici tradizionali diventa impensabile”.
Ci può descrivere un caso emblematico?
“Il nuovo direttore del Pais ha affrontato una nuova ondata di licenziamenti e blocchi delle decisioni del Consiglio di Redazione contro la rimozione di informazioni che facevano riferimento alle nuove grandi imprese proprietarie del capitale del giornale. Il licenziamento del direttore di El Mundo rispondeva a pressioni sulla redazione dei proprietari del media. E allo stesso modo quella del direttore della Vanguardia, per ragioni di posizionamento politico rispetto al separatismo catalano, a partire da pressioni istituzionali. La vita finanziaria di tutti questi mezzi d’informazione è in mano alle banche creditrici, a loro volta in mano al governo che le ha salvate, attraverso la bolla economica, con un riscatto milionario. Quello che è più grave è che in nessuno dei tre media, coinvolti in processi di adeguamento commerciale, la redazione si è opposta a licenziamenti frutto di cambi editoriali”.
Sul fronte dell’informazione di minori dimensioni, o a livello locale, le cose vanno ancora peggio o no?
“Il collegamento più debole davanti alle pressioni politiche ed economiche lo troviamo anche nell’ambito della stampa locale. E proprio sul terreno dei media locali la situazione è ancora peggiore. La connivenza tra poteri politici, economici e mezzi di comunicazione nell’ambito locale è diretta. La bolla immobiliare ha prodotto anche una bolla mediatica in quest’ambito generata dal capitale in eccedenza dei costruttori. Le pressioni politiche sui redattori erano una prassi consentita, che oggi si ciba anche della precarietà salariale e lavorativa dei giovani redattori vulnerabili. Al momento la complicità tra i piccoli media bisognosi di ricavi e rappresentanti delle istituzioni politiche con risorse pubbliche, fa dei redattori carne da cannone per l’autocensura. Da notare ancora che se i media locali e regionali vivono nella più pesante precarietà, le edizioni regionali dei media nazionali sono praticamente scomparse o si sono ridotte al minimo, a causa della necessità di tagliare risorse e/o della minore pubblicità locale”.
Ci può dire qualcosa per quanto concerne minacce, pressioni oppure intimidazioni nei confronti dei giornalisti spagnoli?
In questa legislatura ci sono state mobilitazioni dei settori sociali colpiti dai tagli, come la sanità e l’educazione. E anche nel campo dell’informazione è sorto un movimento in difesa del giornalismo minacciato, e molti giornalisti licenziati hanno creato i propri media online in difesa dell’indipendenza professionale. “Senza giornalisti non c’è giornalismo. Senza giornalismo non c’è democrazia”, è stato il motto di questo movimento promosso dalla Federazione dell’Associazione della Stampa che tenta di resistere perchè “lasciar morire il giornalismo è come lasciar morire la democrazia, perchè i media contribuiscono al suo sostentamento promuovendo il dibattito civico, lo scambio di idee e si comportano da controparte per evitare gli abusi”. In un’inchiesta dell’Associazione della Stampa di Madrid realizzata nel 2013, l’80 per cento dei giornalisti ha sostenuto di subire pressioni per manipolare le informazioni, oltre che di essere costretti a lavorare di più con meno mezzi e maggiore insicurezza professionale”.
C’è qualche prospettiva oltre questi drammatici numeri e situazioni di precarietà a vita?
“I cambi tecnologici sono l’ultimo episodio di una lunga storia di adattabilità della specie giornalistica a un mezzo in perenne mutazione. Poichè mentre alcuni media sparivano ne nascevano altri, nei quali le redazioni sono una miscela di veterani licenziati e giovani giornalisti desiderosi di lavorare in un’industria in cui pochi ottengono il contratto. Dei nuovi media il 92,5 per cento sono digitali, mentre solo il 7,5 per cento sono cartacei o con una versione stampata. Dall’altra parte, del totale dei media digitali, il 6,9 per cento sono radio o televisioni online. Media indipendenti o redazioni digitali che portano una ventata di aria fresca alla vecchia professione, che affermano di non essere sostenuti da investitori o inserzionisti finanziari, ma dai lettori stessi, attraverso sistemi quali crowfunding di abbonamenti a basso prezzo. Sono media digitali giovani di basso costo, supportati dai social network, però con contenuti che erano stati negati o nascosti dai media tradizionali, e che si mostrano molto critici con i poteri politici e finanziari”.
Nella foto di apertura Mario Garcia de Castro
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.