Il diritto a conoscere e divulgare la verità è garantito all’informazione, per fortuna anche al giornalismo d’inchiesta, con il fondamentale privilegio di non dover rivelare le cosiddette ‘fonti’ e specialmente quanto consente alla magistratura di indagare, incriminare e condannare reati di ogni genere. Uno dei prodigi generati dalla rapida evoluzione della tecnologia, agevola il compito delle forze di polizia, di Gip e Pm, impegnati nel contrasto a criminalità, corruzione, omicidi, colpi di Stato. Ne hanno tratto vantaggio la diffusione di fatti e misfatti, grazie al ‘news system’ che cattura il contenuto delle intercettazioni telefoniche, la chance di rendere visibili i reati e si deve al sofisticato programma di recupero di quanto è racchiuso nella memoria dei cellulari. Nel background del ‘watergate’, dello scandalo alla base dell’impeachment di Nixon, di ‘tangentopoli’, delle condanne di corrotti e corruttori, di tanto altro, c’è la libertà dei media di rendere visibile a tutti. Antitesi: in mezzo mondo la licenza di informare è repressa, il diritto di sapere è azzerato, l’informazione è ammutolita e anche l’Italia è sulla perversa via di affiliarsi al clan dei sovranisti, delle dittature che impediscono di conoscere verità scomode per il regime. Il governo Meloni marcia spedito su questa direttrice, mette il bavaglio alla libertà dell’informazione, azzera la possibilità di conoscere i dialoghi telefonici di persone coinvolte nelle indagini. Obiettivo: legare le mani a i giudici e mettere il bavaglio alla stampa. Di qui, un suggerimento ‘sovversivo’ ai magistrati: ignorate limitazioni e divieti, fornite alla stampa quanto agevola il suo compito etico di informare, ma prima selezionate il rapporto con i giornalisti, escludete per ovvie ragioni le testate ideologicamente solidali con la destra e il suo progetto di zittire i media, fornite al giornalismo libero quello che agevola la trasparenza dell’iter giudiziario, ad esclusione di quanto potrebbe compromettere indagine e iter processuali. Ancora nessuno ha osato discutere il diritto dei giornalisti di non riferire l’origine delle loro informazioni. In margine, un quiz finora senza risposta, o al contrario di facile risoluzione: se nel corso di molti anni le prove di reati ottenute grazie alle intercettazioni hanno determinato decine di condanne di crimini, perché chi ne commette lo lascia trapelare da colloqui telefonici? Estrema tracotanza o idiozia che conta sull’impunità? La decisione del governo sembra impedire che i due ‘casi’ mettano nei guai i protagonisti del suo entourage, storicamente più esposto a indagini e processi.
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