Smantellare il nostro servizio sanitario nazionale è ormai una precisa scelta di politica sanitaria che orientata a valorizzare il privato convenzionato, oltre a quello speculativo. Ma per fare ciò i decisori hanno bisogno di svalutare prima e distruggere poi la sanità pubblica. Come lo fanno? Strangolando il sistema, non potendo farlo con un provvedimento secco – sarebbe troppo impopolare – tagliano risorse destinate a ospedali ed ambulatori specialistici, bloccano il turn over del personale e rinviano l’approvazione dei nuovi contratti di lavoro. Creano così un clima di disagio tra il personale, spingendo le migliori professionalità a trasferirsi nel privato o, come accade ad un’intera generazione di giovani laureati, a cercare all’estero un lavoro ben retribuito che riconosce le loro competenze. Ora, non causalmente, persino la radio e le televisioni cominciano a raccontare di una sanità pubblica che non funziona e dell’esistenza di lunghe liste di attesa. Anche per una prestazione urgente bisogna mettersi in fila e aspettare mesi. Senza contare gli inviti pressanti a sottoscrivere un’assicurazione sanitaria, come accade in America, con la solita annotazione colpevolizzante che siamo il paese industrializzato che ne sottoscrive di meno. Sembra quasi che la responsabilità del malfunzionamento sia tutta dei cittadini che continuano ad affollare l’ospedale più vicino per ogni tipo di prestazione anziché rivolgersi al proprio medico di base. Non parliamo poi di quando si ha bisogno di una prestazione specialistica più complessa, di un esame strumentale o di laboratorio. Ma di chi è allora la responsabilità? Mai che si indichi chi doveva reclutare il personale sanitario e non lo ha fatto. In genere perché ha scelto di non garantire quelle risorse ai servizi pubblici e le ha destinate al privato. Quello stesso privato chiamato a compensare le carenze prestazionali di un pubblico che è stato volontariamente definanziato. Un sistema sanitario, con queste premesse, non può funzionare e l’onere dell’assistenza ricade tutto sul cittadino che deve pensarci da solo … pagando di tasca propria.
Il “mercato della salute” è il nuovo grande business che si prospetta nel prossimo futuro. Ma questo business impone a sua volta di soffocare il servizio pubblico, dirottare le risorse e creare liste d’attesa sempre più lunghe per ogni tipo di prestazione.
Dai dati disponibili sembra proprio che, alcune Regioni e gran parte del governo, lavori per far fallire quel capitolo del PNRR dedicato alla transizione verso la sanità territoriale che, anche grazie soprattutto a quei fondi, poteva completare quella transizione e dotare le regioni di servizi e personale di comunità, per un’assistenza più vicina ai cittadini. Un modello di sanità, del resto, già indicato dalla riforma del 1978, efficace anche perché era già dotata di servizi territoriali e di centri di prevenzione con attribuzione di risorse proprie, capaci di funzionare bene e contrastare anche eventuali epidemie e nuove patologie.
Ma la forza del business non vuole sentire ragioni. “Perché – si chiedono in molti – dovremmo continuare a pagare tante tasse e curare tutti, proprio tutti, anche quelli che non sono (ancora) malati? Perché dovremmo accettare di sborsare i nostri soldi per comprare vaccini e pagare costose attrezzature. Alcuni diritti, a cominciare da quelli alla cura e all’istruzione, perché devono essere garantiti dallo Stato con le nostre tasse? Rimettiamo quei soldi nelle tasche degli italiani e che ognuno provveda per sé. Chi ha possibilità pagare per ospedali e medici si curerà, gli altri si arrangino pure come possono”.
Le regioni non sanno programmare la sanità pubblica … o non vogliono farlo. È molto più remunerativo elargire le risorse pubbliche alla sanità convenzionata o privata. Se ne potranno ricavare ricche elargizioni e avremo medici più motivati e, più avanti, anche infermieri e altri profili sanitari retribuiti meglio che potranno seguire le orme dei loro colleghi medici. Intanto questi ultimi stanno già abbandonando in massa il servizio pubblico, facendo da apripista a tutti gli altri operatori.
“È il progresso bellezza e tu non puoi farci niente” si potrebbe così parafrasare la celebre affermazione di Humphrey Bogart in un film del 1952. “È il favoloso modello americano” che sa sfruttare persino la salute per fare profitti. Intanto le fasce più fragili e i poveri pagheranno il prezzo più alto, perché non potranno più accedere alle cure. Se poi non potranno neanche studiare allora non saranno mai in grado di competere con i figli dell’intellighenzia, che potranno continuare a fare indisturbati il mestiere dei padri, sarebbe come un diritto ereditario e non il frutto del tanto sbandierato “merito”.
Se ciò è possibile dipende solo dalle carenze di una classe politica incapace di programmare per perseguire gli obiettivi indicati, con rara precisione, dal nostro PNRR. È falsa l’idea che si continua a far circolare, per la quale mancherebbero strumenti e risorse finanziarie. È vero invece che manca solo volontà politica di attivare quei programmi e di utilizzare bene tutte le risorse già disponibili. Queste continuano ad essere ignorate da alcuni governatori che vorrebbero avere mano libera per utilizzarle diversamente e per altri scopi, più utili alle proprie carriere. Non si apriranno, allora, le previste case e ospedali di comunità, uniche strutture che potrebbero contribuire a curare meglio i cittadini e che farebbero anche risparmiare molto danaro pubblico. Risorse oggi regolarmente sprecate perché disperse in mille rivoli clientelari. Si potrebbe dimostrare tutto ciò con statistiche e documenti ufficiali. È falsa l’idea che non abbiamo risorse da investire o che la sanità è un mero costo e non invece un investimento. Le risorse le messe a disposizione l’Europa, senza chiedere nulla in cambio se non la prova di una volontà di riformare un sistema vecchio e farraginoso, ormai ottocentesco. Attivando le riforme richieste saremmo oggi in grado di trasformare radicalmente la nostra sanità, rendendola più moderna ed efficiente. La sanità privata, anche convenzionata, è generalmente più costosa di una buona sanità pubblica. Non è più il tempo di puntare su grandi ospedali generalisti, quando non sono più in grado di fornire tempestivamente le prestazioni necessarie. Spesso risultano inutili.
L’attuale organizzazione sanitaria è stata concepita sin dal secolo scorso come Servizio Sanitario Nazionale, universale e gratuito, con la legge 833 (nel 1978), una delle migliori riforme sanitarie al mondo.
Oggi l’Italia, dall’essere una delle migliori organizzazioni di assistenza pubblica al mondo è scivolata agli ultimi posti nelle graduatorie di efficacia prestazionale nel mondo civile. Offre servizi scadenti e malfunzionanti.
Abbiamo parlato tante volte di cosa bisognerebbe fare. Non è difficile. Si tratta solo di volerlo veramente e di utilizzare bene tutto ciò che già abbiamo. Le leggi, il personale, le strutture ci sono. Persino la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante e ci ha messo a disposizione nuovi farmaci e nuove cure.
Sogniamo una sanità veramente per tutti e il perseguimento di politiche di pari opportunità, che possono derivare solo dalla possibilità di studiare e vivere in ambienti sani. Questi i pochi e semplici obiettivi da perseguire al di là di ogni ideologia e oltre ogni interesse speculativo. Oltre anche alle facili demagogie di chi da un lato urla contro le troppe tasse mentre dall’altro approva condoni e sanatorie per favorire chi specula e lucra sulla pelle altrui.
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