Non si proclama il lutto nazionale, non si celebra il rito funebre di Stato, sono silenti le donne piangenti di alcuni luoghi del Paese dov’è in uso vegliare i morti con nenie struggenti. Anzi c’è chi se la ride, chi sprizza gaudio entusiasta, chi commissiona al tipografo di fiducia ironiche locandine per il defunto che “Si è spento poco serenamente. Non fiori, ma opere di bene”, chi nel Nazareno gongola per la chance di conservare poltrone e di spazi di potere minacciati da revisionismo interno. Di che si parla? Ma della sinistra, di quel che fu, del rosso progressivamente sbiadito, diluito, fino al pallore di un rosa sbiadito, svilito, evanescente, fino all’estinzione, per ora annunciata. La missione impossibile di dare concretezza all’abusato “dite, fate qualcosa di sinistra” ha vissuto di ingenuo ottimismo, di utopica euforia del popolo deluso dal Pd, del consenso atipico a un outsider con forti radici nel sociale, esterna al partito governato prima di lei da Letta, con moderata prudenza. Elly Schlein, prova a destrutturare l’impianto ingessato degli eredi di Berlinguer di varia fede. Acclamata e apertamente osteggiata la neo segreteria ha davanti a sé il gravoso onere di ritessere la trama del rapporto con la classe operaia, le fragilità abbandonate, il lavoro precario, gli stipendi di fame, il sostegno ai disoccupati, le povertà, la sanità pubblica. Deve gestire l’opposizione all’autonomia differenziata, i ritardi nell’attuazione del Pnrr, l’impresa di impedire l’esodo dei tanti dem approdati nel Pd per sopravvivere alla vedovanza post mortem dei partiti moderati. Gli intoppi creati dal ‘fuoco amico’ del Nazareno, concomitanti con la crescente aggressività politica della destra graziata dalla blanda e spuntata opposizione, sono a un passo da esplodere e rintanare la sinistra nella zona d’ombra dei consensi da’ metà classifica’. Se non è scissione, storico virus del dissenso interno, manca poco alla separazione non consensuale tra le ‘correnti’ che la Schlein fatica ad azzerare. Si può sperare che l’agonizzante partito della sinistra sia soltanto in fase di catalessi, che il ‘de profundis’ per il Pd sia ovvia parte della campagna elettorale permanente della destra, che dia per spacciata la Schlein perché la teme, che tenti di dare spago ai nemici interni del Pd. La combattiva segretaria ha qualche nodo da sciogliere in fretta: sindaci dem condividono la linea Nordio sull’abuso d’ufficio da abolire, sulle armi all’Ucraina c’è contrapposizione tra il “sì” e il “no” (abbraccio della Schlein con il leader pentastellato Conte). Il nucleo degli esuli cresce e crea disagi al vertice del partito. Dopo Fioroni, Marcucci, Borghi, Chinnici (emigrata clamorosamente in Forza Italia, dice addio D’amato, ex candidato alla presidenza del Lazio: Sono critici Guerini, Malpezzi, Picierno, Alfieri, De Luca junior, il cattolicissimo Del Rio. Bonaccini è in stand by per riflettere. Vita dura per la Schlein. Dovrà dimostrare che al ruolo di ideologa della sinistra, alla coerenza nel perseguire l’opera di rifondazione, somma l’indispensabile capacità di mediazione senza rinunciare al suo progetto. In questo caos, tutt’altro che calmo, il vento dell’ottimismo sfiora Elly Schlein che, con la sua grinta di pasionaria, esegue il test sul futuro del movimento. Trova una sponda in Roberto Fico, nell’area dei 5Stelle più contigua ai ‘rivoluzionari’ del Pd.
Ma basta? Al capezzale dei dem, in morte apparente, servono con urgenza anamnesi storica, check up totale e soprattutto una terapia drastica, risolutiva.
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