Le crisi internazionali sono rimaste fuori dall’uscio del Consiglio artico, Stati Uniti e Russia hanno continuato a parlarsi, a studiare insieme lo smottamento del permafrost, la decimazione degli orsi, lo stravolgimento dell’ecosistema marino. Le guardie costiere dei Paesi artici non hanno cessato di condividere codici di navigazione per gestire gli inediti pericoli creati dal crescente traffico commerciale e turistico.

Il «patto del ghiaccio» tra gli Otto aveva superato anche l’annessione russa della Crimea nel 2014. Ma non l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Sette Paesi artici hanno chiuso ogni collaborazione con la Russia, tra l’altro presidente di turno del Consiglio e titolare del 52 per cento di coste polari. L’Artico s’è spaccato in due e s’è rotto il tabú della guerra. L’attenzione è sul Donbass e il Mar Nero, le mappe dei generali occidentali segnate in rosso riguardano il Grande Nord, il Mare di Barents e lo Stretto di Bering. «Dopo l’Ucraina è cambiato tutto. Ora la questione non è se ci sarà un conflitto nella regione polare, ma come evitarlo» mi ha detto Angus King, senatore indipendente del Maine: «Ciò che si prepara sul tetto del mondo è un problema di sicurezza nazionale per ogni Paese occidentale».

Con l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, il Consiglio artico è interamente euro-atlantico e di fatto il braccio politico della Nato. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina, l’Alleanza ha presto accelerato verso una dottrina militare a trazione nordica, concentrando le sue attenzioni lì dove la Russia potrebbe sfidare l’articolo V del Patto atlantico perché è dove Putin ha ammassato la sua forza non convenzionale in grado di colpire l’Occidente con una gittata balistica più breve.

L’invasione russa dell’Ucraina mette in crisi il Consiglio Artico. La Russia stringe la presa sul Grande Nord e rafforza la partnership con la Cina.

Fra le conseguenze della guerra di aggressione della Russia all’Ucraina ce n’è una di cui si parla poco: la sospensione dei lavori del Consiglio Artico. Dal 2021 fino a maggio 2023 la Presidenza del Consiglio è in mano a Mosca e questo è stato il motivo principale per cui, a seguito dello scoppio del conflitto, il 3 marzo scorso, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti -tutti gli stati membri eccetto la Russia – hanno concordato di interrompere gli incontri ufficiali e le attività dell’organismo. I progetti già in porto – e che non vedono la presenza della Russia – proseguono, ma senza la possibilità di rendicontare ad alcuno o ricevere l’approvazione per un’estensione del mandato.

Otto stati sul Mar Artico

Il Consiglio Artico nasce nel 1996 come forum di coordinamento fra gli stati artici e gli organismi che rappresentano le popolazioni indigene. Fra i suoi obiettivi i più importanti ci sono la promozione di uno sviluppo sostenibile e la protezione di clima e ambiente nella regione polare. La maggior parte delle decisioni del Consiglio non sono vincolanti e nel tempo sono stati presi solo tre accordi che ne obbligano le parti al rispetto: quello sulla ricerca e il soccorso (2011), quello riguardo l’inquinamento marino da idrocarburi (2013) e quello per rafforzare la cooperazione scientifica (2017).

De iure, fra le competenze del forum, sono escluse quelle relative alla sicurezza militare. Tuttavia, complice lo scioglimento dei ghiacci, da regione ai margini dei giochi fra potenze mondiali, l’Artico è diventata un’area di spiccato interesse politico ed economico. L’apertura di nuove rotte che collegano Atlantico e Pacifico e le risorse energetiche e minerarie nascoste sotto al fondale polare, hanno riportato al centro questioni di sicurezza. L’anno simbolo di questo cambiamento è il 2007, quando due sottomarini russi hanno piantato la bandiera della Federazione sul fondale marino al Polo Nord. La mossa ha simboleggiato una dichiarazione – unilaterale – di sovranità sulla regione artica, in particolare sulle dorsali di Lomonosov e Mendeleyev.

Il parere finale da parte della Commission on the Limits of the Continental Shelf (CLCS) circa le rivendicazioni della Russia sono arrivate solamente lo scorso 6 febbraio: la Commissione conferma che le aree in oggetto appartengono alla piattaforma continentale estesa di Mosca. Tuttavia, le implicazioni di questa decisione non sono scontate. Infatti, secondo la Dichiarazione di Ilulissat del 2008, il parere della Commissione non vincola gli stati ad alcunché e l’eventuale ridefinizione dei confini di ciascuno stato è rimessa alla conclusione di un accordo fra gli stati artici. Data la sospensione dei lavori del Consiglio Artico e le tensioni con la Russia dovute alla guerra in Ucraina, la risoluzione della questione è stata rimandata a data da definirsi.

Il Consiglio Artico traballa e c’è da preoccuparsi

Gli incontri interministeriali del Consiglio Artico non riprenderanno a maggio, quando la presidenza passerà alla Norvegia, per il rifiuto degli stati membri di collaborare con Mosca. Ciononostante, resta salda la volontà di non paralizzare del tutto le attività del forum, e quindi di far ripartire i lavori fra funzionari statali (non di livello ministeriale) e tecnici. Questo data la necessità di affrontare crisi come quella della perdita di biodiversità e dell’innalzamento delle temperature, e di coordinare la gestione politica, economica e sociale della regione.

Oltre che per gli effetti sulla tenuta della governance artica, il progressivo allontanamento della Russia dal Consiglio Artico preoccupa anche per il conseguente avvicinamento di Mosca a Pechino. Sebbene non sia uno stato artico, nel senso che non condivide alcun confine con la regione polare, anche la Cina ha interesse per le risorse naturali e le rotte navali. Già ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina si parlava della formazione di un asse sino-russo in Artico. Ora, quest’asse sembra si stia consolidando: lo testimoniano la dichiarazione condivisa circa il rafforzamento della cooperazione in Artico, l’avvio di nuovi progetti energetici e la conclusione di accordi di cooperazione riguardo lo sfruttamento delle risorse naturali e l’aspetto militare e di sicurezza.

Sebbene l’avvicinamento fra Mosca e Pechino preceda l’invasione dell’Ucraina, a seguito del 24 febbraio 2022 il rapporto fra i due stati è cambiato. Prima la Russia vedeva sì nella Cina un partner essenziale per mettere in pratica la propria strategia sull’Artico, ma allo stesso tempo cercava di limitarne l’influenza. Collaborare sì, ma mettendo in chiaro di chi fossero le prerogative di sovranità sulla regione. Ora, invece, il regime di Putin, isolato dall’occidente e sotto sanzioni, ha bisogno più che mai di un partner strategico, al quale indirizzare le proprie esportazioni di gas e dal quale ricevere supporto economico, nonché tecnologico, anche se questo può significare dover condividere potere decisionale con il vicino asiatico.

Attriti anche nel Grande Nord

Interrottasi di fatto la cooperazione con gli altri stati membri del Consiglio Artico, Mosca ha un motivo in più per procedere in modo autonomo – o con partner che ritiene più affini – sui dossier aperti in ambito energetico e securitario. Nella penisola di Yamal, ad esempio, la russa Rusitan e la cinese China Communications and Construction Company hanno firmato un accordo di partenariato per lo sviluppo di un progetto di estrazione di materiali che serviranno, fra le altre cose, per costruire un nuovo gasdotto. Power of Siberia 2 trasporterà gas verso la Cina passando per la Mongolia ed è il progetto cardine della strategia di diversificazione di Gazprom per far fronte al crollo delle esportazioni verso l’Europa a causa della guerra in Ucraina.

Un altro cambiamento provocato dalla crisi russa-ucraina e dall’interruzione della collaborazione ministeriale in sede di Consiglio Artico riguarda la strategia di sicurezza di Putin per la regione polare. Ora la narrazione dominante nel Cremlino è che l’Artico non rimarrà fuori dal confronto con il blocco occidentale. Se il processo di adesione di Svezia e Finlandia alla NATO si concluderà positivamente,i confini orientali dell’organizzazione si sposteranno a est fino al Mar Baltico e verso il mare di Barents, aree considerate dalla Russia appartenenti alla propria orbita. È logico aspettarsi che Mosca percepirà questo sviluppo come una minaccia per i propri interessi in Artico.

Sono svariate le evidenze del fatto che la Russia sta cercando di rafforzare il proprio controllo sulla regione. A dicembre 2022 il parlamento russo ha approvato una legge che limita la libertà di navigazione lungo il passaggio a nord-est della rotta artica, infrangendo quanto stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Inoltre, il 21 febbraio 2023 Putin ha emendato per decreto la strategia della Russia in Artico. Là dove prima si faceva riferimento al rafforzamento della cooperazione con gli altri stati artici, in primis attraverso il Consiglio Artico, ora si predilige lo sviluppo di relazioni bilaterali. Per di più, la nuova strategia antepone l’interesse nazionale a obiettivi di cooperazione economica, tecnologica e scientifica.

Attualmente la Russia definisce l’Artico come una regione vitale per il successo della propria dottrina marittima: una dicitura che dà il via libera al paese all’utilizzo di mezzi militari per proteggere i propri interessi in caso di minaccia – o percezione di minaccia. Un motivo in più per ritenere preoccupante l’interruzione del dialogo con la Russia riguardo le questioni artiche. Infatti, lindebolimento della governance regionale aumenta il rischio che sorgano incomprensioni e che le tensioni fra occidente e Russia arrivino anche in Artico, esponendo al fallimento l’obbiettivo di uno sviluppo sociale e ambientale sostenibile.

Al momento sarebbe irrealistico prefigurare la ripresa dei lavori del Consiglio Artico e della collaborazione fra tutti e otto i suoi stati membri – Russia compresa – com’era prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Ciononostante, rimane auspicabile e plausibile ragionare all’interno di una cornice che mantenga quantomeno il dialogo fra tutti gli stati artici e la trasparenza circa progetti e strategie.

FONTE https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-guerra-in-ucraina-echeggia-anche-nellartico-120600