Un’arancia in fette rotonde, ben disposte nel piatto, saporosi ‘friarielli’, grappoli d’uva bionda da tavola e da vino, un nutriente sartù di riso, insalate, pomodori succosi e ogni altro ben di Dio che fa della nostra gastronomia un invidiatissimo made in Italy, ci nutre e contribuisce in dimensione multimiliardaria all’export. Né l’una né l’altra opportunità sarebbe possibile senza la fatica mal retribuita dei migranti: non il raccolto, la quantità di prodotti della terra che finiscono nei mercati ortofrutticoli, nelle botteghe dei fruttivendoli, nelle nostre dispense, sulle nostre tavole imbandite, nei mercati di mezzo mondo. I produttori agricoli lamentano il deficit di braccia che ostacola l’economia di settore.
Il nostro sistema di tutela sociale, largamente imperfetto, carica sulle spalle dei familiari l’onere di assistenza agli anziani non autonomi e il problema si proporrebbe anche più tragicamente se a compensare il mancato intervento dello Stato sociale non provvedessero i migranti, le badanti.
L’Italia, Paese specializzato nella trasformazione di materie prime, tenta invano di coprire i vuoti d’organico della manodopera e denuncia il bisogno di almeno centomila immigrati per soddisfare le esigenze di produzione. All’allarme per il presente e soprattutto per il futuro si associa in particolare il Veneto, storicamente ostile all’accoglienza di migranti.
L’impoverimento economico dell’Italia, e involuzioni comportamentali inducono un numero crescente di famiglie e non mettere figli al mondo, causa del grave squilibrio tra nascite e morti, del nostro connotato di Paese di vecchi. E trema l’Inps. Senza il prelievo fiscale sul lavoro dei migranti rischia di non poter corrispondere più le pensioni.
Di qui il paradosso del governo Meloni: blocco delle navi salvavita, respingimenti, xenofobia e ora la ‘scoperta’ di dover consentire l’ingresso in Italia di duecentomila immigrati, in contrasto con la disumanità di Piantedosi.
Preoccupa l’appello di industriali, imprenditori agricoli e famiglie per il via libera all’immigrazione, a strutture di formazione dei migranti per le esigenze del Paese, a sanare il trattamento discriminatorio che sconfina nello sfruttamento del lavoro, nella condizione di emarginati.
Sconcerta l’assurdo di aziende che per mesi e mesi non riescono ad assumere personale: fabbriche, alberghi, ristoranti e non meno l’incapacità dei centri di avviamento al lavoro di connettersi con la domanda inevasa di occupazione.
Sviare questo assunto, giustificare il mancato soccorso in mare dei migranti con il mancato coinvolgimento dell’Europa e la condanna degli scafisti, denuncia l’incapacità del governo di liberarsi dalle scorie della sua autarchia ideologica, discriminatoria, razzista.
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