La cosiddetta “globalizzazione” si è rotta e chi aveva immaginato di poterla gestire a proprio vantaggio per sempre – il capitale finanziario Usa, insomma – sta sbattendo i denti su un paracarro.
Due anni e mezzo fa Larry Summers – già ministro del Tesoro con Clinton e autore dell’abrogazione del Glass Steagall Act – scrisse un editoriale (seguito poi da Janet Yellen, già governatore della Fed e attualmente Ministro del Tesoro), in cui sosteneva che gli Usa potevano permettersi un mega pacchetto fiscale durante la pandemia perché nel mondo c’era eccesso di risparmio.
In effetti era così. E la storia degli ultimi 40 anni insegnava che in casi come questo quel risparmio in eccesso poteva essere facilmente indirizzato verso gli Stati Uniti.
Quel che Summers non immaginava è che nel frattempo i capitali si stavano spostando verso altri lidi. Che stranezza…
Comunque, tra Trump e Biden, ci sono state manovre fiscali pari a 4 mila miliardi di dollari. Non appena l’amministrazione ebbe problemi di finanziamento, intervenne la Fed (aumentando i tassi di interesse, come Paul Vocker ai tempi di Ronald Reagan).
Siccome non bastava, scoppiò anche per questo la guerra in Ucraina, fomentata da Usa e Nato. Si è così rapidamente arrivati alla dollarizzazione dell’euro e a mega deficit commerciali in area Ue, che da sempre erano in surplus.
I capitali europei, anche grazie agli aumenti di tassi, si indirizzavano verso gli Usa. Ancora una volta gli europei pagavano i conti di Washington.
Ad un certo punto però lo scorso anno c’è stata una smobilitazione, un disinvestimento mondiale da Wall Street e dal debito Usa (in particolare la Cina).
Pechino annunciava la fine della politica covid zero, e negli ultimi mesi stiamo assistendo ad una mega spostamento di capitali, anche a seguito della confisca delle riserve valutarie russe (una vera e propria “appropriazione indebita”): l’Occidente non è visto più come un porto sicuro. Che stranezza…
Se leggete l’editoriale di Guido Salerno Aletta su Milano Finanza vi accorgerete che la questione dei palloni spia, e la paranoia americana, simile a quella contro l’Urss negli anni 50-60, serve a ricompattare l’opinione pubblica e il Congresso in vista dell’approvazione dell’aumento del debito federale a 19 mila miliardi in 10 anni.
E’, se vogliamo, una mossa disperata, si tratta di vedere se capitali arabi, cinesi, giapponesi, asiatici in genere e anche europei, anche questa volta sarano disposti a sottoscrivere debito americano.
Ma nel frattempo le cose continuano a cambiare, e molto velocemente proprio sotto la spinta alla frammentazione del mercato mondiale innescata dalle “sanzioni” stabilite unilateralmente dall’area “euro-atlantica” (ricordiamo che solo l’Onu avrebbe questo diritto-potere).
Avverte infatti il quotidiano cinese Global Times che, per esempio, la Russia ha deciso di eliminarel’euro e mantenere soltanto yuan e oro nel Fondo patrimoniale nazionale.
Questo non solo significa un drastico cambiamento nella struttura delle riserve sovrane della Russia in quanto potenza strategica, ma promuove anche direttamente l’internazionalizzazione dello yuan a un livello superiore. Di conseguenza, questa mossa porterà anche a un’ulteriore de-dollarizzazione.
Il fondo russo sarà composto fino al 60% di yuan e non più del 40% di oro. Secondo i media russi, in precedenza lo yuan rappresentava il 30% e l’oro il 20%.
L’esclusione dell’euro dalla NWF è in sostanza una continuazione della precedente politica di de-dollarizzazione sistematica della Russia. “Considerando che ci sono poche opzioni nel mercato valutario globale per il benchmarking con il sistema del dollaro americano basato su fintech, forza economica e scala commerciale, il sistema dello yuan è oggettivamente la soluzione migliore per la de-dollarizzazione della Russia e di altri Paesi”, ha dichiarato venerdì al Global Times Chen Jia, un analista indipendente di strategia internazionale.
Questo è anche il risultato delle sanzioni finanziarie occidentali contro la Russia – scrive il Global Times – che hanno spinto quest’ultima a cercare una valuta più sicura, aggiungendo che la popolarità dello yuan tra gli imprenditori russi è la prova che le aziende si stanno rivolgendo a nuovi mercati, in particolare alla Cina.
Il sondaggio tra le imprese russe ha rilevato che lo yuan è favorito dall’aumento degli scambi commerciali con l’Asia e dai minori rischi di pagamento associati all’utilizzo di questa valuta rispetto al dollaro e all’euro (il circuito Swift è controllato direttamente dal governo degli Stati Uniti).
Lo yuan ha tra l’altro mantenuto una relativa stabilità di fronte ai rialzi degli interessi statunitensi e all’inflazione globale. Questo è il motivo principale per cui un gran numero di Paesi in via di sviluppo e mercati emergenti del mondo, tra cui la Russia, continuano ad aumentare la quota di yuan nelle loro riserve sovrane.
“La competizione geopolitica sta accelerando la tendenza alla de-dollarizzazione globale”, ha dichiarato venerdì al Global Times Hong Yong, ricercatore dell’Accademia cinese per il commercio internazionale e la cooperazione economica.
“Il ruolo del dollaro USA nel mercato finanziario internazionale non è più così forte come un tempo e il governo americano ha aumentato il suo controllo sul dollaro, spingendo molti Paesi a cercare valute alternative“.
Hong ha anche osservato che, con l’indebolimento dell’economia statunitense, la fiducia internazionale nel dollaro sta diminuendo, accelerando il processo di de-dollarizzazione.
Non sentite anche voi qualche sinistro scricchiolio nell’architettura messa su dopo la Caduta del Muro?
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