CASO UNITA’ / QUANDO 125 MILIONI DI DEBITI VENGONO RIPIANATI DAI CITTADINI…

E’ pienamente in vigore, oggi, una legge varata nel 1998 dal governo ulivista di Romano Prodi, proprio nell’anno di nascita dei Ds, i Democratici di Sinistra, che paghiamo ancora a caro prezzo: 107 milioni di euro più 18 a breve. Tutto per coprire i debiti delle passate, fallimentari gestioni dell’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci (che di sicuro sta facendo le capriole nella tomba) e da qualche mese tornato in edicola, versione “firmata” Renzi. Un buco che sono gli italiani a dover ripianare. Lo scandalo è stato denunciato, a maggio, da Report, che intervistò il tesoriere dell’ex Pci, poi Pds, quindi Ds, ora Pd, il compagno Ugo Sposetti che dichiarò: “Il debitore è morto. Se il debitore muore, che succede? Ci sono le norme e in questo caso un magistrato civile ha detto ‘guarda signor Stato, che devi pagare tu’”. A un piccolo rilievo del giornalista circa le pesanti conseguenze di quella legge e alcuni passaggi “calcolati e strategici” conseguenti, l’attuale senatore Pd e presidente della ‘Fondazione Ds’ così replicò: “Quindi che vuol dire? Che sono stato bravo! Una società mi avrebbe dato tanti soldi per fare questo lavoro…”.

Ma cerchiamo di dipanare la matassa e capirci qualcosa nell’intrigo. Per farlo leggiamo alcuni passaggi di un fresco reportage firmato da Sergio Rizzo sulle colonne del Corriere della Sera. “Hanno pagato senza fiatare. Ma la legge è legge. Così tocca ai contribuenti ripianare i debiti dei Democratici di Sinistra: 107 milioni di euro, versati dallo Stato nei giorni scorsi. Mentre già infuriavano le polemiche per i tagli della legge di Stabilità alle Regioni, quel gruzzolo finiva nelle casse delle banche creditrici”. Soldi pubblici che – precisa Rizzo – “si trovano ora parcheggiati nei forzieri delle banche creditrici dei Ds con ‘riserva’. Significa che pende ancora il giudizio di appello ma le speranze che quei denari tornino indietro sono al lumicino”. Aggiunge ancora: “il finale era scritto da tempo. Il Corriere e Report di Milena Gabanelli avevano già raccontato come il rischio che si è materializzato fosse concretissimo. E tutto grazie ad una legge del 1998 che stabiliva l’estensione della garanzia dello Stato già vigente sui debiti degli organi di partito ai debiti del partito che si faceva carico dell’esposizione del proprio giornale con le banche. Sembrava un norma scritta su misura per il quotidiano diessino dell’Unità”.

Ugo Sposetti

Ugo Sposetti

Erano gli anni – fine ’90, poi i 2000 – di grossi problemi economico-finanziari in casa Unità. Da qui il ricorso ai “salvatori”, gli ex nemici-capitalisti di turno. E così comincia la stagione dei Marchini (dinasty di mattonari romani comunque ex rossi, con un “erede”, Alfio, ora conteso da centrodestra e centrosinistra – sic – per la prossima nomination al Campidoglio), poi quella dei Marcucci (con la socia Marilina, figlia del re degli emoderivati Guelfo, per anni sotto processo per traffici di sangue infetto, e sorella di Andrea Marcucci, oggi fedelissimo di Renzi al Senato, dopo gli esordi sotto l’ala protettiva di Sua Sanità Franco De Lorenzo alle politiche 1992), quindi quella degli Angelucci (con un capo famiglia che da barelliere è diventato star della sanità nel Lazio, corso al capezzale dell’Unità, così come dei giornali targati Berlusconi), per finire la compagnia di giro con Renato Soru, l’imprenditore a capo di un piccolo regno informatico poi balzato, sulle ali diessine, ai vertici della regione Sardegna. Imprenditori “illuminati”? Seguaci del verbo gramsciano? Oppure stregati dalle sirene dalemian-veltroniane di una “sinistra” (sic) che fu?

Pian piano l’Unità moriva: sia come organo d’informazione, sempre più marginale, che sotto una montagna di debiti. “Ci fu una totale malagestione – osserva un ex cronista del quotidiano – quegli imprenditori se ne fregavano del tutto del prodotto, dell’organizzazione, di giornalismo: avevano deciso di buttare dei soldi dalla finestra per compiacere i D’Alema e compagni di turno”.

Imprenditori, comunque, ben illuminati. Previdenti e in grado di capire quel che – grazie alle legge dell’amico Prodi – bolliva in pentola. Infatti, hanno pensato bene di non investire un euro di tasca loro: ma di farsi anticipare tutto dalle banche che aprivano allegramente i rubinetti del credito, indebitandosi fino al collo. Loro? Macchè. Gli italiani. Proprio perchè – grazie a quella legge killer, per i cittadini – le stesse banche sapevano bene di avere le spalle coperte. Quindi, tutto ok: Ds (poi Pd) uniti nella lotta sulla pelle dei contribuenti che dovranno poi saldare il conto. Una “libera” informazione “anticipata” dagli imprenditori di riferimento, via banche amiche, potendo contare sullo Stato futuro pagatore, secondo la magnifica intuizione dello storico tesoriere “rosso” Sposetti e grazie ad una legge ad partito!

Aggiunge ancora Sergio Rizzo, venendo alla incredibile situazione odierna: “siamo arrivati a oggi, quando le banche creditrici, non avendo più un mattone da pignorare, hanno preteso di escutere la garanzia dello Stato sui debiti residui: 125 milioni”. Tutto il patrimonio dei “compagni”, costituito da centinaia di immobili anche di gran valore, è infatti confluito in decine di fondazioni scientificamente create ad hoc – Sposetti gran regista – per evitare pericolose intrusioni bancarie.

Non soli comunque, i nipotini di Gramsci, a ricorrere alle generose casse pubbliche: nel 2003 aveva portato a segno la stessa operazione, ma per soli 10 milioni di euro scarsi, l’Avanti di craxiana memoria.

Sul soccorso “rosso” pagato dai contribuenti per tenere il vita un giornale che ormai era un lontanissimo parente della mitica Unità anni ’70, abbiamo sentito il parere di Elio Lannutti, ex parlamentare e fondatore dell’Adusbef, l’associazione a tutela dei risparmiatori contro i Bankster di casa nostra, e Luciano Scateni, giornalista, scrittore, pittore e autentico cuor di comunista, per anni al timone dell’edizione partenopea di Paese Sera e poi notissimo volto del Tg Campania.

Osserva Lannutti. “Siamo alle solite. Lo Stato si fa carico dei debiti di un giornale glorioso ma di partito. Le perdite di un partito ora vengono incredibilmente ripianate da tutti i cittadini. Siamo alla follia, mentre la libera informazione muore, i pochi media indipendenti e coraggiosi chiudono i battenti, la democrazia ogni giorno perde qualcosa. Si tratta di gravissime ingiustizie, portate a segno in punta di legge: quella famigerata del ’98, che occorre modificare a tutti i costi”. E aggiunge: “Ma ci aspettiamo qualcosa dal governo Renzi? Con un premier che tiene in vita l’Unità di oggi, una copia scolorita della Pravda di ieri? O dell’agenzia Stefani di mussoliniana memoria? Cose che oggi succedono solo in Corea del Nord”. Va giù durissimo con le banche, come nel suo stile: “E tutto ciò finisce per ingrassare i Bankster, che oggi hanno sofferenze da 300 miliardi da tuffare tutti in una bella Bad Bank in fase di lancio, coperta delle garanzie statali, come è successo con l’operazione Unità”. E spiega: “Oggi i crediti incagliati si vendono alle società impegnate nel recupero credito al 10-15 per cento. In un prossimo futuro si passerà al 30-40 per cento, proprio per via della quasi irizzazione dei debiti. Intanto già adesso le banche ingrassano: Intesa San Paolo fa due miliardi di utile e Unicredit 800 milioni”.

Passiamo a Luciano Scateni. “C’era un volta il Pci, un partito che combatteva prima di tutto per la giustizia sociale e i diritti dei deboli. E c’era l’Unità, che diffondeva quel pensiero alternativo ma già nel cuore di tanti. Quell’Unità si autofinanziava, attraverso il porta a porta di un grandissimo numero di compagni che tutte le domeniche diffondevano il quotidiano del Pci nei quartieri, andando a parlare con la gente. E poi tramite le mitiche, allora, feste dell’Unità. E’ così che veniva autofinanziato il giornale fondato da Gramsci, mentre gli altri quotidiani di partito trovavano i sostegni finanziari attraverso tangenti, mazzette e corruzione. Una differenza fondamentale, quindi, che caratterizzava la diversità dell’Unità rispetto agli altri media”. Continua l’analisi di Scateni: “E gli anni ’70, inizio ’80 furono anche i gloriosi anni di Paese Sera, un quotidiano di area comunista ma non etichettabile con il Pci. Per questo alla fine l’esperienza terminò: perchè al Pci ritenevano che non ci fosse bisogno di un giornale d’opinione a sinistra, bastava l’Unità. Che ha cominciato, però, la sua parabola discendente: cattive gestioni amministrative e poi, soprattutto, l’affidarsi ai capitalisti amici, che erano poco interessati ai reali destini del giornale o al prodotto informativo da realizzare. Tanto poi, come adesso vediamo, Pantalone paga”. E conclude: “una vergogna, l’utilizzo dei soldi dei contribuenti per ripianare i debiti di quelle gestioni. Mentre la stampa indipendente muore, i piccoli giornali non esistono più, l’informazione locale sta sparendo e soprattutto la controinformazione è sempre più messa con le spalle al muro. Ma siamo ancora in democrazia?”.

 

 

A MORTE LA CONTROINFORMAZIONE

La controinformazione, e il bene stesso della “libera” comunicazione, stanno man mano morendo. Alla faccia di tutte le difese parolaie dei diritti costituzionali di un articolo 21 stracciato e calpestato, da governi & opposizioni, sempre più uniti nella lotta perchè niente cambi e tutto sia regolarmente rose & fiori: con media-scendiletto omologati e cloroformizzati.

Leggi per l’editoria? Macchè, finzioni. Terni al Lotti – il renzianissimo delegato ai media – sempre più stravaganti, normative fantasma, fondi sempre più esigui e ormai inutili: per il malato terminale chiamato “informazione”.

“Stanno morendo ormai le ultime testimonianze di editoria indipendente, piccole imprese spesso artigianali, volontarie – osservano alla Stampa romana – non ce la fanno più a sopportare i costi. Intanto, il panorama via internet è una grossa risorsa, ma è lasciata a se stessa. Ormai l’informazione è merce rara. E solo chi ha grossi mezzi può permettersela”.

C’è poi il fronte bollente delle citazioni civili, le tante cause spesso e volentieri inventate di sana pianta solo per mettere il bavaglio a giornalisti scomodi e testate indipendenti. Le cosiddette “liti temerarie”, difficili però da fronteggiare, anche quando l’attacco è del tutto strumentale, per via dei costi legali, insopportabili per piccole realtà editoriali. “Non ci sono solo le minacce mafiose a minare la libertà dei giornalisti indipendenti, ma anche le intimidazioni che passano per via giudiziaria, con cause e richieste di risarcimenti danni del tutto infondati”, sottolinea – e non da oggi – Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, assassinato dalla mafia, e animatore di “Ossigeno per l’informazione”, uno dei pochi presìdi capaci ancora di lottare per un’informazione autenticamente libera da pressioni politico-mafiose . “Ossigeno” è sceso più volte in campo anche al fianco della Voce, nella sua battaglia per sopravvivere: e “per dar voce a chi non ha voce”, come era nel suo Dna scritto nell’editoriale d’esordio, aprile 1984.

Cristiano Di Pietro "interrogato" da Filippo Roma delle Iene

Cristiano Di Pietro “interrogato” da Filippo Roma delle Iene

Una Voce colpita, negli anni, da tanti contenziosi farlocchi, vinti perchè abbiamo dimostrato – carte alla mano – la totale infondatezza delle lamentele di Lorsignori (ministri, mafiosi, faccendieri & C.): ma ferita a morte da una causa per 100 mila euro scatenata da un’insegnate di Sulmona, Annita Zinni, storica amica della famiglia Di Pietro. Una storia ai confini della realtà, e settimane fa documentata in un servizio delle Iene, che sarà a breve in video, per Italia 1. Tutto partiva, infatti, da una querela della signora Zinni alla Voce, colpevole di aver scritto del suo “aiutino” – documentato da tutti i media dell’epoca – a Cristiano Di Pietro per ottenere un’ardua maturità, visto il suo bagaglio non proprio da Einstein. Filippo Roma, tanto per verificare il quoziente intellettuale del rampollo dell’ex pm, è andato ad intervistarlo, a metà settembre, beccandolo in consiglio regionale all’Aquila, dove è vicepresidente. Alcune domandine di fuoco. “La capitale del Brasile?”. “uhm, uhm, uhm… Buenos Aires!”. Passando poi agli scenari di guerra: “la prima guerra mondiale, si ricorda quando è scoppiata?”. “uhm, uhm, uhm… 1922…?”.

Quozienti a parte, restano in piedi una sfilza di azioni giudiziarie (sequestri, ingiunzioni, pignoramenti presso banche degni dell’impero Murdoch o Berlusconi) messe in campo dalla “maestrina” di Cristiano per radere al suolo – come neanche ai tempi delle Gestapo – la nostra Voce.

Ma l’ex pm Antonio Di Pietro è uomo tutto d’un pezzo. E con ogni probabilità correrà per la poltronissima di sindaco di Milano nella primavera prossima. Per portare, sotto la Madunina, Moralità & Trasparenza…

 

 Per approfondire leggi anche:

L’UNITA’ E’ RISORTA – ECCO GLI AUTORI DEL MIRACOLO – 6 luglio 2015

https://www.lavocedellevoci.it/?p=2455

 

Caso Voce/Zinni-Di Pietro – La solidarietà di Aldo Giannuli – 19 luglio 2015

https://www.lavocedellevoci.it/?p=2600

 


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