PAOLO BORSELLINO / MIRACOLO! DOPO 30 ANNI CALTANISSETTA RIAPRE LA PISTA “MAFIA-APPALTI”

Finalmente, a 30 anni suonati dalla strage di via D’Amelio, c’è una concreta speranza di arrivare ai killer e soprattutto ai mandanti – rimasti sempre a volto coperto – dell’eccidio in cui persero la vita

Paolo Borsellino e la sua scorta.

E anche a 30 anni esatti – guarda caso – dalla incredibile e arci-anomala archiviazione dell’inchiesta sulla vera pista che avrebbe potuto portare a ben altri esiti, evitando depistaggi d’ogni sorta: ossia l’archiviazione dell’inchiesta sul bollente rapporto ‘Mafia-Appalti’, circa 900 pagine redatte in due anni di minuzioso lavoro investigativo portato avanti dal ROS dei carabinieri, e depositato sulla scrivania di Giovanni Falcone il 2 febbraio 1991.

Ad un anno e mezzo dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Quindi tutto il tempo per Falcone prima e Borsellino poi di lavorare con gran lena e forza investigativa su quella pista letteralmente ‘esplosiva’.

 

 

SONO GIA’ INIZIATI I PRIMI INTERROGATORI

Qual è, adesso, la clamorosa novità?

Che è stata appena aperta dalla Procura di Caltanissetta – ne dà notizia l’ADN Kronos – una nuova inchiesta sulla pista ‘MAFIA-APPALTI’, affidata ad alcuni pm tra cui Claudia Pasciuti, con il coordinamento del procuratore capo Salvatore De Luca.

Il procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca. In apertura Paolo Borsellino e, sullo sfondo, il tribunale di Caltanissetta

A quanto pare le indagini stanno già procedendo a ritmo spedito, tanto che sarebbero stati già ascoltati i primi testi, tra cui un personaggio chiave, il colonnello Giuseppe De Donno, in pratica l’estensore di quel mastodontico dossier, con la supervisione del generale Mario Mori, all’epoca capo del ROS.

La nuova indagine dovrà chiarire, prima di ogni cosa, come mai l’inchiesta scaturita dal fascicolo finito sulla scrivania di Falcone e poi passato su quella di Paolo Borsellino che vi stava lavorando con tutte le sue forze nei mesi intercorsi tra le due stragi, sia stata inopinatamente archiviata dalla procura di Palermo. E che, addirittura, di tutto ciò sia stato tenuto all’oscuro proprio Borsellino, il quale in una infuocata riunione convocata in procura dall’allora procuratore Pietro Giammanco chiese conto di quelle carte, di quei documenti, archiviati – come detto – a sua insaputa. E – come ennesimo schiaffo alla memoria del giudice – la formale archiviazione avverrà proprio il giorno dopo i suoi funerali. Incredibile ma vero.

I giudici che hanno firmato quella folle archiviazione dovranno ora chiarire tutti i perché, i motivi che li hanno spinti ad una decisione totalmente campata per aria, che nei fatti annullava il lavoro svolto sia del ROS che da Falcone e Borsellino, i quali ci hanno rimesso la vita; e, in concreto, ‘depistava’, ossia evitava che le ricerche degli inquirenti potessero proseguire per accertare tutte le trame e le connection intessute tra POLITICI, IMPRESE e MAFIA non solo in Sicilia (da qui partivano i primi spunti investigativi), per allargarsi in tutta Italia. Sancendo un autentico PATTO fra grandi imprese del nord e Cosa Nostra, con la benedizione dei politici che all’epoca avevano in mano le leve della spesa pubblica.

Il capitano De Donno

Perché al centro di tutto c’erano i Grandi Appalti per le opere pubbliche, che riuscivano a canalizzare fiumi di miliardi, facile preda per cosche emergenti, rapaci politici e imprese ‘paravento’.

Gli obiettivi delle indagini del ROS, del resto, erano subito stati messi nero su bianco dal team guidato dall’allora giovane capitano De Donno: “si tratta di accertare la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi sul settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo. Si evidenzia una trama occulta, sostanziata da interessi, relazioni, intese volte a scavalcare norme e regole, e al tempo stesso giungere all’accaparramento di risorse pubbliche, con avidità mai esauste, comune sia ai mafiosi che agli imprenditori collegati. Esiste, di fatto, un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidono gli appalti e spartiscono i proventi”.

Più chiari di così?

Per questo quell’inchiesta doveva finire, ‘morire’: e insieme ad essai i due coraggiosi magistrati che avevano osato portarla avanti. Altro che ‘Trattativa Stato-Mafia’ servita a gettare fumo negli occhi, per anni, nei fatti ‘depistando’; proprio come sta succedendo con la neo-pista farlocca che porta agli ordinovisti neri per il tritolo di via D’Amelio, fatta propria addirittura da ‘Report’!

 

LE AUDIZIONE DAVANTI AL CSM DEL LUGLIO ‘92

In questi giorni il Consiglio Superiore della Magistratura ha ‘pubblicato’ – non desecretato, perché gli atti erano già noti da tempo – i verbali di quella infuocata riunione del 14 luglio 1992, dopo la strage di Capaci e a soli cinque giorni da quella di via D’Amelio.

Vi presero parte quasi tutti i sostituti della procura palermitana, e da non pochi venne sottolineata un’atmosfera molto ‘tesa’ che aveva caratterizzato la vita del ‘palazzo dei veleni’. E, soprattutto, in parecchi fecero riferimento all’inchiesta mafia-appalti, alle pressanti richieste avanzate da Borsellino di averne notizie, proprio mentre l’archiviazione era cosa già fatta…

Scorriamo, in rapida carrellata, alcuni passaggi delle verbalizzazioni di 30 anni fa esatti.

Luigi Patronaggio

A pagina 4 della sua audizione, l’allora pm Luigi Patronaggio sottolinea la “scarsa attenzione di tutti per quello che è il malaffare nella vita politico-amministrativa e specialmente nel settore degli appalti pubblici e ancor di più in tutte quelle attività che sono connesse con gli appalti pubblici, dai subappalti a caldo e a freddo che vengono effettuati. E questa scarsa attenzione a questo gravissimo nodo tra criminalità organizzata mafiosa e malaffare politico-amministrativo, ritengo che è un punto qualificante di una nuova strategia di lotta alla mafia”.

Sulle vane richieste di ottenere chiarimenti espresse da Borsellino, così si espresse Patronaggio: “mi stupisce ancora di più quando il collega Borsellino chiede addirittura delle spiegazioni, vuole chiarezza su determinati processi, chiede, si informa, e per cui già capisco che qualche cosa non mi convince, non va. (…) Paolo Borsellino chiede spiegazioni su un procedimento riguardante Siino Angelo ed altri, e capisco che qualcosa non va, evidentemente perché mi sembra insolito che si discuta così coralmente con delle proprie relazioni dei colleghi assegnatari dei processi”.

E poi: “fu lo stesso procuratore Giammanco che disse facciamo chiarezza, spieghiamo una buona volta e Borsellino in questa ottica chiese spiegazioni su questo processo contro Siino Angelo perché lui aveva percepito che vi erano state delle lamentele da parte dei carabinieri”. E precisò: “I carabinieri si aspettavano di più, molto di più da questo rapporto, i carabinieri si aspettavano da questa informativa dei risultati giudiziari di maggior respiro.Non solo nei confronti dei politici, ma anche nei confronti degli imprenditori, perché lì era il nodo, valutare a fondo il ruolo degli imprenditori”.

 

Passiamo all’audizione di un altro pm, Domenico Gozzo. A pagina 9 afferma: “C’è stata questa riunione il 14 luglio (che è stata l’ultima a cui ha partecipato Paolo Borsellino, era seduto due sedie dopo di me). (…) Su ‘Mafia e appalti’c’era il collega   Pignatone, se non ricordo male (Giuseppe Pignatone, anni dopo passato alla guida della Procura di Roma e ora Presidente del Tribunale della Città del Vaticano, ndr) e doveva esserci anche il collega Scarpinato (Roberto Scarpinato, ndr), che però non potè venire per problemi di famiglia”.

Domenico Gozzo

Continua il racconto di Gozzo: “Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che la riunione fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione di questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate…, ‘Mafia-appalti’, quello Siino per intenderci. Fece questa affermazione: come mai non fossero contenute queste carte all’interno del processo”.

“Si trattava di carte – precisò Gozzo – che erano state inviate alla procura di Marsala – e nella fattispecie dal collega Ingroia (Antonino Ingroia, ndr), che adesso è anche lui alla procura di Palermo – che era lo stesso processo però a Marsala. C’erano degli sviluppi (in particolare un pentito di questi che ultimamente aveva parlato), e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: ‘mah, vedremo’. Cioè di fronte ad un’offerta così importante, si risponde con un ‘Ma, vedremo se è possibile, se è il caso di acquisirlo’”.

 

Venne ascoltata anche Maria Falcone in quei bollenti giorni. Ecco un passaggio della sua audizione, significativo perchè che si riferisce al lavoro su ‘Mafia-appalti’ iniziato dal marito Giovanni e poi finito tra le mani di Paolo Borsellino: “… Le parole che ha detto, ‘acquisire tutte quelle le prove, tutti quei documenti’. Si sa come vanno le cose, è chiaro, i magistrati non fanno illazioni, è chiaro che quando si vogliono fare riferimenti a determinate cose ci vogliono delle prove”.

Maria Falcone

E aggiunse: “Borsellino sapeva che doveva competere come un leone, e quindi doveva portare delle prove, delle cose inconfutabili. Verso la fine mi ha anche detto, nel trigesimo della morte di Giovanni, durante la messa, che era molto vicino a scoprire delle cose tremende”.

 

Quelle cose tremende le scopriremo, analizzandole per filo e per segno, nella seconda puntata di domani.

Dedicata anche a quanto hanno scritto, con anni di anticipo, due grandi come Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, collaboratori storici della ‘Voce’ e autori di un profetico “Corruzione ad Alta Velocità”, dove balza in tutta la sua evidenza il vero movente delle due stragi: proprio il dossier ‘Mafia-Appalti’, per via dei pezzi da novanta della politica e dell’imprenditoria nazionale coinvolti e quindi ‘legati’ a mafia & camorra.

E scopriremo anche quanto ha scritto la ‘Voce’, proprio sulla pista ‘Mafia-Appalti’, con particolare focus sull’Alta Velocità, fin dai primi anni ’90. La bellezza di quasi 30 anni fa.

Senza ovviamente dimenticare i coraggiosi, solitari j’accuse dei familiari di Paolo: a cominciare dalla figlia Fiammetta Borsellino, passando per la sorella Lucia e per l’avvocato Fabio Trizzino (marito di Lucia), i quali in tutti i loro interventi hanno sempre denunciato – e da anni – la vera pista per capire le stragi, quella ‘Mafia-Appalti’, nonché i clamorosi depistaggi di Stato per la strage di via D’Amelio, facendo nomi & cognomi.

Riusciranno finalmente le toghe nissene, dopo 30 anni di sofferenze, giustizia negata, memoria calpestata, depistaggi di Stato, a far luce sulla madre di tutte le connection che ha letteralmente ‘deviato’ i destini del nostro Paese?

 

FINE PRIMA PARTE 

 

 

 

 

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