“Che fine faranno le armi fornite all’Ucraina? Negli USA cominciano a chiederselo”.
Negli Stati Uniti forse, ma da noi praticamente nessuno. Incredibile ma vero, l’unica voce ‘contro’ nel pandemonio bellico, arriva nientemeno che dal ‘mostro’ Silvio Berlusconi che ne canta a Joe Biden e alla nostra politica genuflessa della NATO.
Ma torniamo all’interrogativo d’apertura.
Se lo pone Gianandrea Gaiani, uno degli esperti di geopolitica più acuti (e per questo, of course, meno gettonati dal mainstream che più guerrafondaio non si può), dal 2000 direttore del sito ‘Analisi Difesa’ (ve lo consigliamo caldamente), autore di uno stimolante “Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane”, nel biennio 2018-2019 consigliere al Viminale per le politiche di sicurezza
Ecco cosa scrive Gaiani in un fondo del 17 maggio.
“La stampa statunitense si sta accorgendo dei rischi connessi alle massicce forniture di armi all’Ucraina per combattere i russi e comincia a porre gravi e inquietanti interrogativi circa la capacità di Washington di mantenere un efficace controllo delle armi inviate a Kiev. Il ‘Washington Post’, in particolare, ha posto il problema in un ampio e documentato articolo di John Hudsonpubblicato il 14 maggio, chiedendo se gli aiuti militari andranno nelle mani giuste e quanto alto sia il rischio che vengano risucchiate in un’Ucraina che è uno dei principali hub europei del traffico di armi”.
Continua Gaiani: “Ora oltre Atlantico c’è chi teme che gran parte delle attrezzature donate a Kiev possa finire nelle mani degli avversari dell’Occidente o che possa riemergere in altri conflitti nei prossimi anni. Questo perché – dichiara al ‘Washington Post’ William Hartung, un esperto del think tank ‘Quincy Institute’ -mentre in Afghanistan ‘gli Stati Uniti avevano una presenza importante nel Paese che consentiva di avere almeno la possibilità di tracciare i percorsi delle armi, in Ucraina il governo statunitense è cieco in termini di monitoraggio delle armi fornite alle milizie civili e ai militari’”.
Prosegue ‘Analisi Difesa’: “In Ucraina, secondo Rachel Stohl, vicepresidente dello ‘Stimson Center’, ‘è semplicemente impossibile tenere traccia non solo di dove vanno tutti questi equipaggiamenti e chi li userà, ma anche come vengono usati’. Il quotidiano statunitense ha del resto ricordato che l’Ucraina è sempre stata, fin dalla sua indipendenza post-sovietica, il paradiso del traffico e dei trafficanti di armi, grazie anche alla corruzione endemica e dilagante. ‘Small Arms Survey’ ha valutato che una grossa parte dei 7,1 milioni di armi portatili adisposizione dell’esercito ucraino nel 1992 fu ‘dirottata verso aree di conflitto’, sottolineando ‘il rischio di fuoriuscite nel mercato nero locale’. Situazione aggravatasi dopo lo scoppio della guerra nel Donbass, quando i combattenti di entrambe le fazioni svuotarono i depositi di armi e munizioni delle istituzioni statali e regionali, senza che si sappia dove questi equipaggiamenti siano poi finiti, aggiunge il ‘Washington Post’. ‘Non è chiaro – afferma Annie Sciel, consulente del ‘Center for Civilians Conflict’ – quali misure di mitigazione del rischio o di monitoraggio abbiano adottato gli Stati Uniti e gli altri Paesi, o quali garanzie abbiano ottenuto per garantire la protezione dei civili’”.
‘Analisi-Difesa’ ha più volte, fin dall’inizio del conflitto, paventato questo enorme rischio. E per questo a più forte ragione adesso sottolinea: “Aggiungiamo oggi che il tema andava posto e affrontato ad inizio marzo, quando tutti in Occidente decisero di armare in modo massiccio gli ucraini. Considerando la gigantesca mole di armi già fornita da tutte le nazioni dellaNATO al governo di Kiev che arma Esercito, Guardia Nazionale e persino civili, oltre a tenere conto che la situazione bellica potrebbe determinare il collasso dello stato ucraino, porsi oggi il problema come fa il ‘Washington Post’ e altri media statunitensi equivale a prendere in considerazione l’ipotesi di chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati da tempo”.
Parole sacrosante.
Come perfettamente condivisibile la lunga e articolata analisi elaborata da Gianandrea Gaiani in un altro illuminate editoriale, che potete leggere in versione integrale andando sul sito di ‘Analisi-Difesa’. S’intitola, in modo molto significativo, “Se la NATO si allarga ancora, l’obiettivo è l’escalation con Mosca”.
Ne riportiamo alcuni passaggi della parte conclusiva, dedicata in particolare alla probabile prossima adesione alla NATO di Finlandia e Svezia.
“Se teniamo conto che l’intervento militare russo in Ucraina è stato determinato da valutazioni strategiche in cui Mosca ha a lungo lamentato la minaccia costituita proprio dall’ampliamento della NATO, appare evidente che un ulteriore allargamento lungo i confini della Federazione Russa, non potrà far altro che aumentare la percezione russa della minaccia posta dalla NATO. Del resto, il confine finnico, domani presidiato potenzialmente da truppe e armi statunitensi, si trova a150 chilometri da San Pietroburgo e per comprendere le valutazioni russe in proposito è sufficiente chiedersi come reagirebbero gli Stati Uniti se vi fossero forze militari russe a 150 chilometri da New York, pur tenendo conto che la NATO si trova già da tempo alla stessa distanza da San Pietroburgo fin dall’ingresso dell’Estonia nella NATO”.
Continua la minuziosa disamina di Galani. “Attuare oggi l’adesione dei due stati scandinavi appare senza dubbio una provocazione nei confronti di Mosca che innescherà inevitabilmente un’escalation della crisi, anche tenendo conto che non vi sono state intimidazioni militari russe nei confronti di Helsinki e di Stoccolma”.
“ ‘Mi auguro che fino a che gli equilibri nell’area del Nord Atlantico non si saranno ristabiliti, né la Finlandia né la Svezia né nessun altro stato entrino a far parte dell’Alleanza’, ha dichiarato all’Adn Kronos il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare”.
Conclude ‘Analisi-Difesa’: “Se l’obiettivo della NATO o almeno dei suoi partner europei è la de-escalation con la Russia con l’intento di fermare il conflitto con l’Ucraina e avviare trattative di pace, allora l’adesione di Finlandia e Svezia dovrebbe venire riconsiderata o quanto meno posticipata. Se, al contrario, gli europei condividono con convinzione o quanto meno accettano supinamente la linea tracciata dagli anglo-americani tesa ad attuare un’escalation che logori e indebolisca nel lungo periodo la Russia, allora l’adesione immediata di Svezia e Finlandia è la strada più idonea ad aggravare ulteriormente la guerra e favorirne l’ampliamento, con tutte le potenziali incognite del caso”.
“I russi subirebbero certo un ulteriore logoramento militare, costretti da domani anche a presidiare una lunga frontiera divenuta ostile e prevedendo una serie di strumenti di deterrenza nucleare. Putin subirebbe certo una sconfitta, poiché l’operazione speciale’ in Ucraina che aveva lo scopo di costruire un ‘cuscinetto’ tra la NATO e i confini russi avrebbe invece determinato un rafforzamento ed una estensione della minaccia occidentale a ridosso della Federazione russa”.
“Al tempo stesso, però, il Cremlino incasserebbe, anche in termini di consenso interno, la conferma che Putin aveva visto giusto nell’accusare USA e NATO di minacciare la sicurezza della Russia. Una percezione che rafforzerebbe patriottismo e nazionalismo tra i russi e obbligherebbe Mosca a tenere aperte tutte le opzioni militari”.
“I governi europei, quindi, sono chiamati ad esprimersi chiaramente e consapevolmente scegliendo una delle due strade, assumendosene la piena responsabilità”.
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