Calci… al calcio educativo

C’era una volta il torneo universitario di calcio, erano iscritte quasi tutte le facoltà. Campo in terra battuta, righe di delimitazione appena visibili, in gesso, in gran parte portato via dal vento e dal calpestio di vecchie scarpe normali adattate per tirare calci. Benchè non fosse il corso di laurea a quel tempo molto frequentato, la squadra di ‘Architettura’, per chissà quale incrocio fortunato di studenti in confidenza con il pallone, non solo non aveva rivali, ma ‘strapazzava’ quasi tutte le rabberciate formazioni della Federico II. Storica la vittoria contro gli intellettuali un pò snob di “Lettere” con un sonante 21 a 1 e conseguenti sfottò del tipo “Troppo Dante, poco football”. La cattiveria, alla luce di episodi dei nostri giorni, è in fase di sentito pentimento: come disse in fin di vita l’eroico Francesco Ferrucci, al suo giustiziere Maramaldo: “Vile, tu uccidi un uomo morto”.  Con l’ovvio distinguo, infierire sui ragazzi in credito con i Promessi Sposi e in debito le imprese del ‘grande Torino’, fu bravata irrispettosa, non quanto l’umiliazione inflitta ai baby calciatori sardi del ‘La Caletta’, ragazzini di scuola media, dieci su undici alla loro prima partita, tornati a casa dopo la trasferta che li ha opposti al Fanum Orosei, di ragazzi più grandi. Risultato, 40 a 0. La settimana precedente un’altra sconfitta, per 20 a 0 con i ‘Lupi’.  E l’etica dello sport? Calpestata, vilipesa, mortificata. Lo sarebbe in assoluto come un 6-0, 6-0, 6-0 inflitto da Djokovic o Nadal al numero 480 del ranking tennistico mondiale, ma va condannato con maggiore severità, perché  contro educativo, imposto a ragazzini che in via di formazione della personalità hanno certamente subito il vulnus della mortificazione con qualche effetto collaterale. È probabile e auspicabile che la Federazione Gioco Calcio intervenga, per evitare episodi analoghi, ma di là delle sue decisioni, che diavolo c’era nella testa dei giocatori del Fanum Orosei, cosa soprattutto in quella del loro allenatore, che non ha impedito lo ‘sperpetuo’ in danno degli sconfitti? L’alibi, inaccettabile: alla squadra maramalda era richiesto un cospicuo bottino di gol per superare in classifica, con una migliore ‘differenza reti’ l’avversaria a pari punti C’era una volta il torneo universitario di calcio, iscritte quasi tutte le facoltà. Campo in terra battuta, righe di delimitazione di centro campo, laterali e dell’area di rigore, appena visibili, in gesso, portato via dal vento e da vecchie scarpe normali adattate per tirare calci. Benchè non fosse il corso di laurea a quel tempo molto frequentato, la squadra di ‘Architettura’, per chissà quale incrocio fortunato di studenti in confidenza con il pallone, non solo non aveva rivali, ma ‘strapazzava’ quasi tutte le rabberciate formazioni della Federico II. Storica la vittoria contro gli intellettuali un pò snob di “Lettere” con un sonante 21 a 1 e conseguenti sfottò del tipo “Troppo Dante, poco football”. Cattiveria, che alla luce di episodi dei nostri giorni inducono a pentimento: come disse in fin di vita l’eroico Francesco Ferrucci, al suo giustiziere Maramaldo: “Vile, tu uccidi un uomo morto”.  Con l’ovvio distinguo, infierire sui ragazzi ln credito con i Promessi Sposi e in debito le imprese del ‘grande Torino’ fu una bravata irrispettosa, meno, molto meno dell’umiliazione inflitta ai baby calciatori sardi del La Caletta, ragazzini di scuola media, dieci su undici alla loro prima partita, tornati a casa dopo la trasferta che li ha opposti al Fanum Orosei, di ragazzi più grandi. Risultato 40 a 0. La settimana precedente un’altra sconfitta, per 20 a 0 con i ‘Lupi’ .  E l’etica dello sport? Calpestata, vilipesa mortificata. Lo sarebbe in assoluto come un 6-0, 6-0, 6-0 inflitto da Djokovic o Nadal, al numero 48° del ranking tennistico mondiale, ma va condannato con maggiore severità, perché il deficit educativo imposto a ragazzini che in via di formazione della personalità hanno certamente subito il vulnus della mortificazione con qualche effetto collaterale.  È probabile e auspicabile che la Federazione Gioco Calcio intervenga, per evitare episodi analoghi, ma di là delle sue decisioni, che diavolo c’era nella testa dei giocatori del Fanum Orosei, cosa soprattutto in quella del loro allenatore, che non ha impedito lo ‘sperpetuo’ in danno degli sconfitti? L’alibi, inaccettabile: alla squadra maramalda era richiesto un cospicuo bottino di gol per superare l’avversaria pari in classifica, con una migliore ‘differenza reti’. Ci vuole un attimo per cancellare questa folle norma, che ha indotto i tifosi del Fanum a partecipare alla partita e tifare per ottenere dai loro ‘beniamini’ una valanga di gol. Il ‘caso’ ha sullo sfondo l’incoerente proliferare delle scuole di calcio, che nascono con l’obiettivo di favorire nei ragazzi il rispetto degli avversari.

Da condannare sono anche le intemperanze, il fanatismo di genitori di giovani calciatori, che li spingono ad eccessi di aggressività. C’è altro. Anche a Torre del Greco, importante cittadina in provincia di Napoli, ha la sua scuola di calcio e vi partecipa anche un bambino di sei anni. Partecipa per modo di dire perché perennemente escluso dai convocati per le partite di campionato. Ogni domenica resta a casa e la mamma, stanca di vedere il bimbo deluso, non ci sta. Protesta davanti alla sede della società con tanto di striscioni che accusano di ritenere il figlio ‘non allʼaltezza’ di giocare la domenica. Domanda al club in questione: se il bambino non ha la stoffa di baby calciatore, non sarebbe il caso di dirlo esplicitamente e non continuare a tenerlo, a umiliarlo?


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