ARABIA SAUDITA / 81 CONDANNATI A MORTE, l’OCCIDENTE IGNORA

Affollata esecuzione, lo scorso 12 marzo, in piazza Deera, nel centro di Riyad, più nota dagli abitanti della capitale saudita come ‘piazza Chop-chop’.

Sono stati giustiziati 81 condannati per i crimini più vari, dall’omicidio all’appartenenza a gruppi ‘militanti’, sbrigativamente ritenuti dei ‘terroristi’, soprattutto se di origine yemenita.

L’agghiacciante copione di terrore e di morte, e di crudeltà allo stato puro, è stata riferito, in Occidente, solo dal ‘Washington Post’.

Per tutti gli altri media – carta stampata e tivvù – il fatto non esiste. E quindi va reso il quotidiano spazio di pagine e pagine, oppure di ore ed ore, solo al conflitto in Ucraina.

Giorni fa abbiamo scritto delle migliaia morti in Yemen da otto anni a questa parte, nel più totale silenzio mediatico internazionale. La fresca esecuzione in massa nel cuore di Riyadh è una ulteriore conferma non solo dei continui e impuniti crimini sauditi, ma che per il mainstream occidentale ci sono morti di serie a, di serie b e perfino morti che non esistono.

Ma vediamo qualche dettaglio in più.

Secondo il quotidiano statunitense, si tratta della “più grande esecuzione di massa mai conosciuta nel regno saudita nella sua storia moderna”.

Il precedente record era stato raggiunto più di 40 anni fa, nel gennaio 1980, quando vennero giustiziati 63 militanti, condannati

Per aver assaltato l’anno precedente la Grande Moschea della Mecca, il più sacro simbolo dell’Islam.

Non è ben chiaro il motivo di un’esecuzione così eclatante (pur se silenziata dai media) in un momento drammatico come questo, non solo per via del conflitto in Ucraina ma anche per l’inarrestabile aumento del prezzo del petrolio, che proviene soprattutto dall’Arabia Saudita.

Nei giorni prossimi è previsto lo sbarco a Riyad del premier britannico Boris Johnson, proprio per affrontare la bollente

questione del greggio.

Il numero dei casi di esecuzioni capitali in Arabia Saudita era diminuito durante i mesi della pandemia ma non si era certo fermato.

Il ‘Washington Post’ fa sapere che, secondo notizie trapelate, alcuni fra i giustiziati erano presunti affiliati ad al-Qaeda; altri sostenitori dei ribelli Houthidello Yemen, dove è in corso dal 2014 una guerra scatenata dai sauditi contro gli sciiti andati al potete, guerra che sta causando oltre a migliaia di morti (oltre 15 mila da quando è iniziata), anche una crisi umanitaria di immani proporzioni: di cui le Nazioni Unite sono perfettamente a conoscenza ma non muovono un dito.

L’agenzia ufficiale di stampa saudita fa sapere che “il regno continuerà ad assumere una posizione rigorosa e incrollabile contro il terrorismo e le ideologie estremiste che minacciano la stabilità del mondo intero”.

La televisione di stato ha definito i condannati a morte e giustiziati come ‘seguaci di Satana’, come persone che, nel compiere i loro crimini, hanno ‘seguito le orme di Satana’.

La precedente esecuzione di massa era stata decretata sei anni fa, nel 2016, quando i giustiziati furono 47, tra cui un importante religioso sciita dell’opposizione, reo di aver indetto una pacifica manifestazione.

Nel 2019 le esecuzioni sono state 37, di cui la maggior parte, come al solito, apparteneva alla minoranza sciita. E anche in quella occasione era costituito dalla (sempre presunta) appartenenza ad organizzazioni legate al terrorismo.

Gli sciiti, che vivono principalmente nei territori ad est del regno, molto ricchi di petrolio, lamentano da tempo di essere trattati come cittadini di seconda classe. Da tempo, comunque, proseguono senza grandi risultati i colloqui diplomatici tra l’Arabia Saudita e il rivale Iran, a prevalenza sciita, per cercare di allentare le tensioni che durano da anni.

Da rammentare che l’assassinio del giornalista saudita, proprio del ‘Washington Post’, Jamal Khashoggi, per il quale ci sono stati e ci sono forti sospetti (come mandante) a carico del principe e di fatto il numero uno del regno, Mohammed bin Salman, ha per un po’ di leggermente frenato le ambizioni saudite.

Appena un po’, visto che Riyad ha in mano le chiavi dei pozzi petroliferi tanto utili e necessari per tutto l’Occidente.

Il ‘Washington Post’ mostra stupore per “la prossimità del capo di un partito di governo con Mohammed bin Salman, al quale ci si riferisce come a ‘Sua Altezza’. Si tratta di un partito di centro sinistra, dove in genere la pena capitale non è popolarissima”.

Il riferimento, of course, è ad ‘Italia Viva’ e al suo capo, Matteo Renzi.


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